L’avvento della “società liquida” è alla base anche dello “scioglimento” della nostra sanità. Motivi per reagire
Per il rilancio dell’Unità Spinale Unipolare di Torino, gli scogli più ardui derivano da verdetti economici-politici che non hanno solo eroso la sanità pubblica. Si può invertire la tendenza? Una prima analisi sviluppata nell’articolo precedente: Dove va l’unità spinale unipolare di Torino, insostituibile ricchezza territoriale? Si concludeva con: “perché cercare di sopravvivere quando si può emergere?”
La disgregazione su scala locale
In realtà, nell’attuale contesto, già il mantenere lo status quo è un’impresa difficile. Visione condivisa da molte, meditate opinioni di operatori che hanno animato il vecchio Centro di Riabilitazione Funzionale, Pionieri della scuola torinese sulla riabilitazione dei lesionati midollari.
L’adeguamento del n. di addetti è l’attuale priorità dell’Unità Spinale. Nell’arco degli ultimi 5 anni, oltre alla perdita di storici membri delle associazioni, sono andati in pensione almeno una ventina di addetti ai lavori, tra medici, infermieri, terapisti, ass. sociali, psicologi ed esperti operatori, lasciando un vuoto.
Molte le cause, nessuna di ordine civico. Purtroppo anche la perdita di un ruolo qualitativo della sanità pubblica rientra nel progetto di una nuova “società liquida”, sempre più privata delle sue strutture “solide”, così da poter essere narcotizzata nelle sue certezze, sempre più rassegnata, quindi, gestita senza obiezioni, funzionando “a regime minimo”.
È un tema ben trattato dal sociologo Zygmunt Bauman che descrive il male imposto dalla globalizzazione che, per appiattire la società deve minare alla base la coesione sociale su scala locale.
Decisioni prese nelle alte sfere dell’UE e “all’hotel Bilderberg” sono un cardine di questa strategia. La “rivolta dei trattori” è un segnale di quanto il disagio abbia eroso i perni salienti della nostra società civile. La sanità sana dovrebbe cogliere l’attimo: enunciare fratellanza solida agli agricoltori.
Le parole contano, ma talvolta si recitano per “sentito dire”. Un passo dell’inno di Mameli, ricorda che “l’Italia s’è desta” e spinge a “stringersi a coorte”; battersi per ciò in cui si crede. Parole che calzano con il movimento lento, ma vivo, di tutto il potenziale umano che crede e che continua a battersi per l’USU.
Gettare pietre nello stagno smuove le acque. La notizia che la Direzione Generale/sanitaria della Città della Salute abbia inviato in Regione un piano di istituzione della Rete Regionale (TO, AL, NO) delle Unità Spinali, autorizza a supporre una ripresa di ragione civica, non solo sui temi delle mielolesioni.
L’organico ancora in forza all’USU merita ogni apprezzamento, ma è tempo di ampliare lo scenario, vagliare possibilità, pretendere chiarezza, far pressione su stampa e pubblica opinione con fronte comune, poiché adeguarsi senza battersi porta alla perdita dei diritti e alla vittoria della manipolazione, ben descritta dal sociologo Noam Comsky e riassunta nel principio “della rana bollita”.
Possibili azioni a breve scadenza.
Fin qua, sociologia neppure troppo spicciola, da qui in avanti, molte attività che verranno proposte, sono previste sul sito della Città della Salute di Torino. Esaminando il prospetto sulla home page, è possibile valutare quanto gli intenti, applicati al 100%, fornirebbero dall’USU un servizio di rara, invidiabile operatività.
Intenti di quando il Covid era ancora lontano, ultimo colpo di grazia per un passaggio di consegne tra vecchia e nuova guardia del personale. Oggi, molte attività che l’USU aveva ereditato dal vecchio CRF sulla collina di Torino, sono appassite, così come l’andamento dei tempi.
Voci d’ospedale guardano con nostalgia al CRF* che giace diroccato. Come anticipato nell’articolo del 2015*, che ne valutava l’abbandono, alcuni operatori storici, oggi all’USU, ancora sostengono che avrebbe potuto essere mantenuto e usato per lesionati midollari senza criticità, magari affidato a una gestione privata.
Edificio ancora sano nel 2007, arredato e adatto per l’aumento della richiesta di posti letto, oggi, saccheggiato e distrutto, è andato a far parte di quella lunga schiera di nosocomi italiani, allestiti con soldi pubblici, quindi abbandonati senza alcuna lungimiranza. Ma questa un’altra storia.
Fermo restando che l’obiettivo “primario” è mirare a un pieno recupero dell’Unità Spinale, immaginare alternative e avanzare proposte fa parte di un agire che guarda al futuro. Percorso intrapreso dalle associazioni interne, ma si può fare di più?
Il potenziale del volontariato
Una dozzina d’anni fa venivo accolto ad Alba, dove esiste un volontariato eccezionale. In primis il Centro Volontari Assistenza (CVA) di Alba, quindi il Centro Servizi per il Volontariato di Cuneo (CSV), ancore e riferimenti per molti disabili, a cui è dedicato tutto il tempo necessario, trasporti compresi.
Reclutare giovani del servizio civile universale ad es. potrebbe ricoprire alcuni ruoli vuoti dell’USU relativi all’animazione e non solo?
Un obiettivo primario di un percorso riabilitativo, oltre che concentrarsi nel recupero di funzioni fisiche perdute, dovrebbe indirizzare i pazienti alla vita sociale, attraverso attività atte al reinserimento, vagliando le abilità “residue” in un ambito di «appartenenza territoriale» della persona, compreso il lavoro.
Per i lesionati midollari non autosufficienti il ritorno a casa rappresenta un carico per le famiglie. Sebbene sussistano aiuti economici, trovare assistenza domiciliare è sempre difficile.
Un bacino interessante è quello di paramedici (e non solo), in pensione. Sovente, molti pensionati in ottima forma, bisognosi di migliorare la retta e di un ruolo esistenziale, sono ottimi accompagnatori, patentati e affidabili.
E poi, noi stessi possiamo risultare terapeutici. Tra le mie tante esperienze, per 3 anni diedi fiducia a un alcolista, per 2 scelsi un detenuto che aveva scontato la pena. Entrambi salvati e reinseriti “da me”, ora lavorano altrove. Ci sentiamo ogni tanto.
L’assistenza sociale è spesso lenta e bizantina. Dall’USU si potrebbero gestire domande & offerte di lavoro collegate con il territorio anche a grande distanza? Un piano teso a garantire un seguito e non vanificare quanto operato tra le mura di un’unità spinale, collaborando col sostegno familiare, tramite una ricerca metodica, dall’ASL al singolo, fino ad associazioni laiche e religiose o banche del tempo.
Un lavoro, quest’ultimo, che può essere svolto da volontari di concerto con le associazioni interne all’USU. Alcuni volontari motivati ed efficaci potrebbero ricoprire ruoli di animatori, e all’USU, da animare ce n’è parecchio. Un esempio a cui guardare è L’Arsenale della Pace di Torino, fondato nel 1964 dal missionario Ernesto Olivero, che svolge un enorme ruolo assistenziale universalmente riconosciuto e fondato soprattutto sul rapporto del volontariato.
Animatori volontari che ho trovato di un’efficienza travolgente durante il mio trascorso nella clinica “Jeanne d’Arc”(FR), che invitava anche insegnanti per seguire quei ragazzi incappati nel giorno sfortunato, aiutandoli a ricucire il loro percorso scolastico.
Altri volti della riabilitazione e del reinserimento
… “Non è l’Usu che deve accogliervi (lo fa già ) ma la società, perché dovete farne parte, e la nostra sanità, che non conosce il mondo della riabilitazione se non per sentito dire”… (così mi “spiega” il primario dell’USU, a fronte di analisi in teoria condivise, ma non tutte condivisibili)…
Le barriere mentali della società sono un annoso problema, lo sappiamo noi “ragnetti a rotelle”. Riabilitazione però, pur essendo una parola sola, richiede un’opera complessa.
Un ruolo che ho condiviso con entusiasti ergoterapeuti francesi, è stata una stima delle barriere nell’ambiente casalingo destinato al paziente dimesso. Un servizio “a domicilio”, con ottimi risultati realizzati con espedienti banali.
Nel caso di barriere insuperabili si vagliavano “scambi di domicilio”, cercando case accessibili sul territorio. Una pratica ben organizzata in Nord Europa, una forma di “social housing” in cui radunare abitazioni accessibili collegate ai più essenziali servizi.
Perché non convogliare sul tema qualche laboratorio di composizione della vicina Facoltà di Architettura?
“Sognare in grande costa quanto sognare in piccolo” (Giuliano Pasini)
Il primo sogno per il totale recupero dell’USU è il ripristino del personale, un problema poliedrico che passa dalla fuga verso la sanità privata, alla motivazione formativa che si svolge nelle aule universitarie. I lesionati midollari non sono un faticoso, deprimente pezzo di carne che soffre, ma l’immagine da ripristinare, sovente demotivante, è questa.
Suggerimento: stimolare e organizzare meeting di confronto sul tema con le Facoltà Infermieristiche. Ciò che si deve e può ricostruire a breve è un supporto psico-organizzativo che si attivi anche in tal senso, fino alla dimissione. Un tempo vi era l’assistente sociale interna. Una figura che manca.
Lo sport offre una gamma di specialità in cui i disabili possono esaltare le proprie potenzialità residue. Solo a Torino operano almeno otto società sportive dedicate ai disabili. Esiste un trait d’union con l’USU? Nel 2014 Tiziana Nasi, assieme a personaggi politici e sportivi intitolava la Sala Polivalente dell’USU alle paralimpiadi 2016. Quanto sport si pratica all’USU-CTO?
Le speranze guardano alla nuova APS NewAbilit.J voluta fortemente dal Dr. Maurizio Beatrici, per animare lo stato apatico dei lungodegenti tramite la diffusione di uno spirito calcistico, juventino, ma non solo.
Ora, se è vero che “i limiti esistono soltanto nell’anima di chi è a corto di sogni”, serve andare oltre e mirare a un’USU-CTO culla di una riabilitazione e una lungodegenza arricchite da programmi di cultura, arte, spettacolo, sport.
È tempo di alzare l’asticella dei sogni. Immaginare una squadra di nuoto (piscina del CTO?), Di scherma, di tiro con l’arco e così via. Il Valentino è vicino, il Po altrettanto. L’Adaptive Rowing è stato introdotto nel 2005 nel programma Paralimpico. La canottieri Armida ha mostrato la strada.
“Ricordando Bruna Manissero e una sua disperata richiesta di aiuto nella ricerca di assistenti domiciliari”
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