La crudeltà verso gli animali è tirocinio della crudeltà contro gli uomini
Articolo di Eva Christina
“La crudeltà verso gli animali è tirocinio della crudeltà contro gli uomini”: è con queste parole che il poeta latino Publio Ovidio Nasone (che visse tra il 43 a.C e il 17/18 d.C.) descriveva la società del suo tempo a confronto col vegetarismo. Un quesito pressoché intramontabile, considerato il tempo trascorso…
Che cosa è cambiato d’allora? Molto poco.
Gli animali continuano a essere macellati a beneficio dei nostri peccati di gola, le pance si riempiono e le nostre orecchie non ascoltano.
Come abbiamo potuto notare dalla citazione d’apertura, il vegetarismo non può e non deve essere considerata una moda recente, che va di pari passo col bisogno oggi crescente di essere (giustamente) solidali con l’ambiente che ci circonda. Della serie, go green… go veggie? No.
Da tempo immemorabile, numerosi sono stati i portavoce di un messaggio che così risuona: “Non cibatevi di carne, non uccidete”. Per citare i più famosi: M. Gandhi, A. Einstein, P. McCartney, L. Da Vinci, Plutarco, Pitagora, M. Yourcenar, A. de Lamartine, Senofane, E. Zola, I. Kant, M. Twain, C. Chaplin, Buddha, Cristo… Che cosa hanno in comune questi personaggi, che hanno operato indistintamente nel campo della scienza, dell’arte, della religione? Tutti hanno fatto, del loro pensiero, il leitmotif della loro vita.
E in questo particolare periodo dell’anno, il quesito si fa pressante: agnello sì o agnello no?
Questo articolo naturalmente spinge verso il no… ma siccome ogni scelta va fatta in accordo con la propria coscienza poiché il da farsi va compreso (come scriveva Pitagora nei suoi Versi Aurei, “non compiere neanche una cosa che non comprendi”) e la forzatura non conduce a nulla, vi mostreremo il nostro punto di vista… Spetterà poi a voi la scelta.
Che differenza c’è tra un cane o un gatto, e un agnello?
“L’uno si mangia e l’altro no”, qualcuno potrebbe rispondere.
Oppure, “l’uno cresce con me, in casa mia, diventa quasi un membro della famiglia… l’altro no”.
Chi questo lo abbia deciso resta un mistero. Poiché un agnellino che a 20 giorni di vita viene ucciso per servire le nostre tavole imbandite fa la stessa identica tenerezza di un cucciolo di cane o di gatto della stessa età. Allo stesso modo, cerca la sua mamma, comincia a camminare in modo un po’ buffo… insomma è alla scoperta della vita. E voi, uccidereste il vostro bimbo di qualche settimana per sfamare il palato di qualche altro essere vivente? Certamente no! E allora perché lo facciamo?
La questione è molto delicata, poiché tiriamo in ballo la religione e le nostre credenze con le quali siamo stati cresciuti. A Natale si addobba l’albero, a Pasqua si mangia l’agnello.
Ma ci siamo mai interrogati sul perché delle cose?
Come dicevamo poc’anzi, tra i vegetariani si annovera anche Cristo – che secondo alcune ricerche faceva parte della comunità essena, nota per cibarsi unicamente dei suoi orti.
L’Antico Testamento contiene molte affermazioni a favore del vegetarismo, tra le quali forse la più celebre è: “Vi ciberete di ogni erba e di ogni frutto della terra”.
Restando in tema, nel Vangelo della Pace (una pergamena rinvenuta in Medio Oriente nella zona di Qumran e probabilmente appartenuta proprio alla comunità degli Esseni) è scritto: “Maledetto colui che con l’astuzia ferisce e distrugge le creature di Dio. Sì, maledetti i cacciatori, perché saranno cacciati, e per mano di uomini indegni riceveranno la stessa misericordia che hanno mostrato alle loro prede innocenti”, questo è quanto afferma un antico manoscritto risalente a circa 2000 anni fa.
Ecco i frutti dell’interrogarsi, dell’andare oltre alle figure che ci vengono poste dinanzi alla nostra vista. Ma noi, osiamo posare il nostro sguardo un po’ più in là?
Qualcuno però potrebbe ancora obiettare: cosa dire di tutte quelle menzioni, proprio nella Bibbia, a proposito della carne?
Nel Nuovo Testamento, possiamo trovare ben 19 citazioni nelle quali si parla di “carne”. Ma risalendo alle fonti, quindi studiando la trascrizione dall’aramaico, lingua nella quale alcuni dei primi Vangeli furono redatti, si evince che le varie parole utilizzate vadano intese come cibo, come la parola “carne” = dal testo greco broma, che viene utilizzata in quei versi 4 volte; la parola brosimos = ciò che si può mangiare, usata una volta soltanto; la parola brosis = l’atto del mangiare del cibo è utilizzata 4 volte; la parola prosphagion = qualsiasi cosa da mangiare, utilizzato una volta; trophe =nutrimento, è utilizzato 6 volte; phago = mangiare, è utilizzato 3 volte.
Se, dunque, in Giovanni 21:5 leggiamo “avete della carne”, si dovrebbe rileggere in questi termini: “Avete qualcosa da mangiare?”, oppure quando nei Vangeli si legge che “I discepoli di Gesù andarono a comprare della carne”, la ritraduzione letterale suonerebbe così: “I discepoli andarono a comprare da mangiare”.
Il greco originale ci indica il cibo in generale e non necessariamente sola carne!
“E come la mettiamo con il celebre ‘miracolo dei pani e dei pesci'”?, qualcuno potrebbe opinare.
Ritraducendo il testo, scopriamo che la parola “pesci” va ricondotta a delle polpette, preparate con una pianta marina (probabilmente un’alga), cibo ben diffuso a quei tempi in Medio Oriente, seccandolo al sole, ridotto in farina e cotto al forno.
A confermare ciò, ci viene in aiuto la storia. Nell’antica Babilonia queste polpette “alle alghe”, erano una delle pietanze principali dei Giudei, reduci della prigionia babilonese. E resta tuttora una specialità del mondo musulmano!
A rigor di logica, poi: la carne di pesce in zone calde putrefa nel giro di pochissimo tempo… Non è più probabile che nelle celebri ceste menzionate nella Bibbia, si conservassero delle polpette vegetali e non del pesce (che, se deteriorato, putrefa tutti gli alimenti con i quali è conservato?)
Ora però – essendo una realtà a noi molto vicina – consideriamo la festa di Pasqua nella quale si sacrificava l’agnello che doveva essere mangiato dalla famiglia. Abitudine immutata, a quanto pare!
Forse è il caso di dare una lettura alla Bibbia in chiave simbolica… e non sempre e solo letterale.
Così come Gesù Cristo guariva i ciechi dando loro la vista – cioè donando loro la vista spirituale, in altre parole degli altri occhi coi quali guardare al mondo in modo diverso – forse anche a proposito del “sacrificare agnelli” voleva dirci qualcosa in più.
Innanzitutto, tuffiamoci un attimo nel meraviglioso mondo dell’etimologia!
La parola “sacrificio”, che noi comunemente utilizziamo con un’accezione negativa, in origine deriva da sacrum facere = rendere sacro. Quindi, regalare a quella qual cosa… una dimensione spirituale.
E l’agnello, questa creatura nata solo da qualche settimana, con quel suo colore bianco candore, non ci riporta forse a un ideale di purezza?
Non credete sia possibile che le parole trascritte nella Bibbia fossero un invito a rendere sacra e purificare la nostra vita?
Se si legge alla lettera, ci si arma di coltelli.
Se si legge il simbolo – che giunge dritto al cuore – si parte alla scoperta del mistero celato della vita.
Tra qualche giorno si celebrerà la festività della Pasqua.
Credenti o no, operiamo la nostra scelta: in tutta coscienza.
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