
Qualcosa sta rapidamente cambiando nelle grandi istituzioni internazionali: sembra che il movimento costruttivo e aggregativo avviato a metà del secolo scorso, dopo il secondo conflitto mondiale, stia retrocedendo, innescando una crisi senza precedenti in quelle che potremmo definire organizzazioni mondialiste o, comunque, sovranazionali. È come se la comunità internazionale, dopo aver inseguito per decenni l’ambizione di un governo mondiale e di crescenti globalizzazioni a livello politico, stesse oggi comprendendo che tutto questo forse non è più concretamente realizzabile.
Le cause? Molte e non ancora pienamente consolidate: la fine dell’equilibrio bipolare, l’emergere di nuove realtà politiche nel sud e nell’est del mondo, crisi economiche e finanziarie apparentemente incontrollabili, venti di guerra sempre più impetuosi, una crescente permeabilità dei confini verso i massicci flussi migratori, l’ideologizzazione di molte realtà religiose, l’estremizzazione delle politiche in tanti paesi, e altro ancora.
Sembra cioè che il mondo si sia avviato verso un preoccupante livello di entropia, un disordine globale che mette in dubbio l’idea novecentesca secondo cui la storia sia governabile attraverso una ragione collettiva incarnata da istituzioni internazionali sempre più autorevoli ed efficienti e attraverso un diritto internazionale che di quella ragione dovrebbe essere l’espressione più alta, il tutto accompagnato da una crescente diffusione dell’ideologia dei diritti umani.
Un progetto illuministico, positivista, razionalista che parte da lontano: dalle utopie rinascimentali al cosmopolitismo massonico, dalla pace perpetua sognata da Kant all’idea paneuropea di Koudenhove Kalergi, dalle tante Dichiarazioni Universali di cui è costellata la storia degli ultimi secoli al Manifesto di Ventotene. Tutte visioni in cui una superiore esigenza di ordine politico cerca di imporsi al caos della realtà storica, e da cui nasceranno istituzioni strutturate come la Società delle Nazioni, l’ONU e le sue agenzie, il Consiglio d’Europa e l’Unione Europea.
E anche l’altra grande idea razionalistica, il diritto internazionale, ha radici lontanissime: dallo ius gentium romano all’idea, maturata dalla Pace di Westfalia, di una comunità di stati in grado di relazionarsi in via pattizia e non bellica; da Francisco De Vitoria, Alberico Gentili, e Ugo Grozio -fra ‘500 e ‘600- fino alla moltitudine di trattati internazionali conclusi nei secoli, per giungere alle moderne corti giudiziarie internazionali che da quei trattati traggono fondamento, è tutto un faticoso tentativo di sostituire l’idea della forza con quella della ragione, la barbarie della sopraffazione con la civiltà del diritto.
Le organizzazioni internazionali e il diritto internazionale costituiscono ancora oggi l’ossatura di una civiltà basata sulla convinzione di poter governare con la forza della ragione il disordine del mondo; una comunità di nazioni che in buona parte si identifica con quella che, narcisisticamente, chiamiamo Civiltà occidentale.
Ma la domanda che oggi dobbiamo porci è: quanto di tutto questo è ancora vivo e reale nella nostra contemporaneità? Quanto di quell’ immensa costruzione intellettuale, morale e materiale che chiamiamo organizzazione internazionale può sopravvivere al crescente disordine mondiale?
La guerra in Ucraina e in Medio Oriente con le loro migliaia e migliaia di vittime, le distruzioni fisiche, le sofferenze delle popolazioni civili, l’uso di armi proibite e del ricatto, il rischio continuo di una degenerazione apocalittica in conflitto nucleare, l’impotenza della diplomazia, il bellicismo ostentato di classi dirigenti un tempo osannanti alla pace e alla convivenza, sono cose che ci fanno riflettere sulla potenziale inutilità non solo del diritto internazionale ma anche di organizzazioni come l’ONU, totalmente inadeguata al suo ruolo di difensore e promotore della pace e ridotta a un immenso apparato burocratico, a palestra oratoria, a portavoce del terzomondismo, e infine anche a grasso stipendificio internazionale. L’ostilità del suo maggior contribuente, gli Stati Uniti, appare pertanto ampiamente giustificata, specie dopo l’avvento di Donald Trump.
Il discredito ha colpito anche una delle agenzie ONU più importanti, l’Organizzazione Mondiale della Sanità e la sua recente e del tutto opinabile politica pandemica, un’organizzazione profondamente penetrata dagli interessi di Big Pharma, di Bill Gates, e ultimamente anche da un’aspirazione autoritaria mondiale che tenta di espropriare i singoli stati delle loro politiche sanitarie. E la minaccia di Trump di abbandonarla al suo destino, facendo venir meno la porzione maggiore dei suoi finanziamenti, va presa molto sul serio.
Non andremo a ripercorrere le vicende italiane che hanno coinvolto nei giorni scorsi la Corte Penale Internazionale a proposito del caso Almasri, vicende ormai conosciute in tutte le loro pieghe più recondite grazie al clamore mediatico che ha suscitato nel nostro paese e anche all’estero; ci accontenteremo di sottolineare, anche qui, il discredito che l’ha investita in seguito a comportamenti che definire opachi è molto benevolo.
Una Corte, quella dell’Aja, che emette mandati d’arresto surreali e irrealizzabili, come quelli nei confronti di Putin e Netanyahu, o aggirati e privi di effetto come quello verso Almasri, ma anche palesemente mirati verso l’Italia; una Corte non riconosciuta dalle principali potenze mondiali, che gestisce qualche decina di imputati, e che rischia di essere presto ulteriormente delegittimata e disarticolata, anche qui, dall’offensiva di Trump contro di essa.
L’Europa poi, regno della pace, della giustizia, della prosperità, ha una mole enorme di problemi che non staremo a evidenziare più di tanto perché ben conosciuti: ricordiamo solo la recessione economica, la deriva bellicista, la babele burocratica, l’impotenza sul piano internazionale, lo scontro imminente con gli Stati Uniti sugli scambi commerciali. Ma vale la pena di sottolineare come quella mole di problemi abbia spostato decisamente a destra l’opinione pubblica continentale sdoganandone anche l’ala politicamente più estrema, in particolare -e con buona evidenza- anche a causa dell’invasione migratoria dal sud e dall’est del mondo, invasione che l’Europa non sembra saper gestire e che, anche sotto il profilo dello scontro fra culture, rischia di creare una molteplicità di problemi soprattutto sotto l’aspetto della tutela dei diritti umani.
Tutela di cui dovrebbe occuparsi anche un’altra entità ectoplasmatica del continente: il Consiglio d’Europa, con annessa Corte Europea dei Diritti Umani (CEDU), la cui latitanza è evidente ma che però ha una rilevante funzione sotto l’aspetto occupazionale di politici, funzionari, impiegati e studiosi di belle speranze, nonché della produzione di pensosi studi e rapporti sul tema della democrazia e dello stato di diritto.
Si potrebbe continuare, ma gli esempi riportati evidenziano già la crisi di quelle istituzioni che, a suo tempo, si sono assunte il compito prometeico di sollevare l’umanità dalla barbarie e che oggi non appaiono in grado di salvare se stesse da una crescente e sostanziale inutilità.
Tutto questo significa che si deve abbandonare l’antico sogno illuminista di una prevalenza della ragione sulla forza bruta?
Naturalmente no, ma con una sostanziale precisazione. Il perseguimento e la predominanza del diritto internazionale in tutte le sue componenti -dalla definizione dei diritti umani alla regolazione dei rapporti economici- vanno perseguiti con forza e determinazione, quanto meno per riaffermare una scala di valori universalmente riconosciuti a cui conformare l’azione della comunità internazionale; purché si tratti di un diritto dotato di opportuni strumenti operativi e sanzionatori, non certo di un complesso di grida manzoniane come quelle emesse dalla Corte Penale internazionale e dagli altri aspiranti regolatori globali.
Quello su cui siamo profondamente scettici è invece la creazione di carrozzoni istituzionali che soddisfino prima le esigenze di chi li abita e poi le nobili aspettative degli abitanti del mondo. Si tratta di organismi autoreferenziali, pesanti, inefficienti, essenzialmente distributori di retribuzioni e prebende, ma anche -e qui sta il peggio- sempre tentati di crearsi poteri suppletivi, di normare tutto e tutti, di imporre le proprie visioni o, meglio, quelle dei loro funzionari alla gente comune, di generare in continuazione raccomandazioni, direttive, auspici che poi non portano a nulla, salvo implementare la loro vocazione autoritaria ed elitaria.
D’altra parte, tutte queste persone credono fortemente in un comandamento scolpito da un antico sovrano anglosassone: non è necessario sperare per intraprendere, né riuscire per perseverare. È la prima regola dell’autoconservazione, specie quando riguarda una qualche organizzazione politico-burocratica.