
Le richieste territoriali e la strategia egemonica del Pentagono
Il tycoon non ha fatto in tempo ad insediarsi e già alcune sue dichiarazioni hanno suscitato scalpore, specie nel mondo liberal progressista.
Ma analizzando più attentamente queste dichiarazioni si scorge una logica strategica più profonda. Dietro quella che apparentemente poteva sembrare una ‘boutade’ trumpiana in realtà cela un disegno geostrategico preciso. Un disegno che appare impalpabile alle nostre latitudini europee, imbevute di post storicismo ed economicismo.
Ora veniamo all’oggetto dello “scandalo”.
Alcuni giorni fa Donald Trump, durante una conferenza stampa, ha fatto alcune dichiarazioni che agli occhi di molti osservatori sono parse assurde. Alcune delle sue richieste territoriali – dall’annessione della Groenlandia al controllo del canale di Panama – hanno suscitato scalpore e critiche. Tuttavia, se analizzate nel contesto storico e strategico, queste proposte non sono altro che l’eco di una logica imperiale comune a tutte le grandi potenze.
Gli Stati Uniti, come ogni impero, perseguono obiettivi egemonici a lungo termine, indipendentemente dal presidente in carica. La macchina strategica del Pentagono guida molte di queste scelte, intrecciando motivazioni geopolitiche, economiche e militari in una visione più ampia di dominio globale.
Analizziamo insieme queste richieste secondo una logica strategica.
La Groenlandia e il contenimento russo nell’Artico
L’annessione della Groenlandia, proposta già da Trump nel 2019, pronto ad acquistarla, sembrava già allora da molti un’idea stravagante. Tuttavia, la posizione strategica di questa vasta isola è cruciale nella competizione per il controllo dell’Artico. Lo scioglimento dei ghiacci ha aperto nuove rotte commerciali e reso accessibili ricchissime riserve di risorse naturali. Il controllo della Groenlandia permetterebbe agli Stati Uniti di rafforzare il proprio sistema di basi militari nella regione, in funzione di contenimento della Russia, che da anni investe significativamente nell’Artico. In questa partita, il ruolo della Groenlandia diventa essenziale per consolidare la presenza americana e per controbilanciare l’influenza crescente di Mosca.
Inoltre gli Usa già dispongono di una base militare nella regione, la “Thule” (nome che si richiama alla società esoterica che ispirò il nazionalsocialismo in Germania). La presenza militare nella regione, così come il controllo dell’Islanda, già durante la Seconda Guerra Mondiale risultò cruciale per il controllo dell’Atlantico.
Contenere qualunque potenza facente parte della massa continentale euroasiatica risulta fondamentale per Washington.
Il Canada: Una sottomissione economica strategica
Similmente, il Canada è visto dagli strateghi del Pentagono come un tassello fondamentale per mantenere l’egemonia nordamericana.
Non dimentichiamo che il Canada rappresenta quel che rimane della presenza britannica nel Nord America. Presenza che fu ampiamente contrastata dal neonato stato americano.
Oggi, pur essendo un alleato degli Stati Uniti, il Canada è un attore autonomo nelle politiche internazionali e ha legami significativi con altre potenze, inclusa la Cina. La “sottomissione economica” auspicata da Trump e dai falchi del Pentagono mira a consolidare il controllo americano sulle risorse naturali canadesi e a limitare la possibilità che il Canada possa fungere da intermediario per interessi esterni, specie in un contesto di competizione globale per l’Artico.
Il Canale di Panama e il Golfo del Messico: La proiezione imperiale sul Continente
Il controllo militare e commerciale del Canale di Panama e la proposta di ridenominare il Golfo del Messico come “Golfo d’America” rivelano un’altra dimensione della strategia imperiale americana: il consolidamento del dominio sull’emisfero occidentale.
L’interesse della Cina nell’America Latina, attraverso investimenti massicci in infrastrutture e risorse, rappresenta una sfida diretta all’egemonia statunitense nella regione. Riportare Panama sotto una stretta influenza americana significherebbe ristabilire un punto di controllo cruciale per il commercio globale e per la sicurezza energetica.
Allo stesso tempo, la rinominazione del Golfo del Messico riflette non solo un simbolismo imperiale, ma anche la volontà di ridefinire la propria sfera d’influenza, in particolare nei confronti del Messico, da sempre visto come uno spazio ispanico periferico e ostile da subordinare agli interessi statunitensi.
Una strategia al di là del Presidente
Le richieste territoriali di Trump possono sembrare eccessive o fuori dal comune, ma in realtà riflettono dinamiche profonde che trascendono le ambizioni personali di un singolo presidente. Il Pentagono, con la sua visione strategica a lungo termine, vede queste mosse come necessarie per preservare l’egemonia americana in un mondo sempre più multipolare e complesso.
Dalla competizione per l’Artico alla necessità di contrastare l’espansione cinese e russa, queste azioni si collocano all’interno di un paradigma imperiale tipico delle grandi potenze storiche. Come l’Impero Romano o quello Britannico, anche gli Stati Uniti perseguono una politica espansionistica e di controllo, che mira a preservare il proprio status dominante, utilizzando ogni strumento disponibile, dalla diplomazia (soft power) alla forza militare (hard power).
Conclusione
Le proposte di Trump, per quanto apparentemente controverse, rappresentano il proseguimento di una lunga tradizione imperiale. La strategia americana è guidata da un’istituzione – il Pentagono – che persegue obiettivi egemonici indipendentemente dal presidente in carica. Groenlandia, Canada, Panama e il Golfo del Messico sono solo alcune delle tessere di un mosaico più ampio, in cui gli Stati Uniti cercano di adattarsi ad un mondo in perenne cambiamento, mantenendo la propria posizione dominante in un sistema internazionale sempre più competitivo.
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