Guerra reale e guerra immaginata: chi le vuole veramente?
Ma l’Europa non era nata per garantire la pace sul continente? Non doveva favorire la convivenza, la comprensione e la collaborazione fra i popoli?
E allora da dove viene questa gran voglia di armamenti, di nuovi eserciti, di guerra?
Che gli Stati Uniti e il loro braccio militare, la NATO, si siano da tempo avviati lungo la strada discendente di un bellicismo sempre più acceso è ormai evidente, ma l’Europa?
Si pensava che le infinite guerre che da secoli insanguinano il nostro continente avessero insegnato qualcosa alla nuova entità europea nata, appunto, per inaugurare un’era di pace e un luogo che avrebbe dovuto estendersi dall’Atlantico agli Urali, secondo la nota espressione di De Gaulle. E invece oggi sentiamo sollevarsi da Bruxelles a Berlino, da Parigi a Varsavia, dagli stati baltici a Roma, un coro unanime di minacce, di grida guerresche, di parole esagitate.
Perché tutto ciò?
La risposta della propaganda occidentale è unanime e di un semplicismo quasi infantile: bisogna fermare a tutti i costi l’espansionismo russo che, dopo l’Ucraina, minaccia di inghiottire l’intero continente europeo, un espansionismo che, se non contrastato, porterebbe i cosacchi ad abbeverare i loro cavalli nelle fontane di Roma e a cavalcare per le strade di Lisbona.
Non viene minimamente preso in considerazione l’espansionismo della NATO verso est o, se qualcuno lo fa, esso viene sempre ricondotto a una strategia difensiva nei confronti della Russia putiniana.
Ora, è vero che in Europa l’Unione Sovietica di un tempo ha al suo attivo l’invasione dell’Ungheria nel 1956 e della Cecoslovacchia nel 1968, ma in entrambi i casi si trattò di operazioni militari volte a preservare la propria sfera di influenza che in una logica bipolare e di guerra fredda aveva un suo senso, anche se assai brutale, tant’è che l’Occidente non intervenne e, nei fatti, accettò entrambe le operazioni.
Così come, nel 1999, la NATO -con l’attiva partecipazione dell’Italia (capo del governo Massimo D’Alema e ministro della difesa Sergio Mattarella)- pose in essere una sostanziale aggressione alla Jugoslavia con molte vittime civili; e anche in questo caso con un’acquiescenza di fatto da parte della Russia di Boris Eltsin. Tutto sommato -e con notevole forzatura- anche questo intervento si poteva configurare come una forma di tutela della zona di influenza atlantica.
Oggi però il quadro è, ad un tempo, simile e molto diverso.
L’invasione dell’Ucraina, nel febbraio 2022, si può definire come tutela di una zona di influenza russa? Sicuramente sì, e non tanto perché -come afferma la propaganda occidentale- Putin sia determinato a ricostituire i vecchi confini sovietici, cosa non pensabile (anche perché alcuni stati emersi dalla dissoluzione dell’URSS e del Patto di Varsavia oggi aderiscono alla NATO) e non possibile neppure per la notevole potenzialità bellica della Federazione Russa, ma piuttosto perché ancora una volta ci troviamo di fronte alla difesa di un interesse militare e strategico che la Russia ritiene fondamentale per la sua sopravvivenza. L’Ucraina, in altre parole, è stata invasa dalla Russia perché quest’ultima non poteva tollerare che una nazione a ridosso del suo territorio potesse diventare una pericolosissima piattaforma bellica della NATO, piattaforma convenzionale ma, soprattutto, nucleare.
Se si fosse dato corso agli accordi di Minsk del settembre 2014 molto probabilmente si sarebbe tolto alla Russia il pretesto per ogni ingerenza successiva, compresa l’Operazione Militare Speciale che tanto ha indignato l’Occidente. Concedere cioè una forte autonomia alle regioni russofone dell’Ucraina e, soprattutto, impegnare quest’ultima a non entrare nella NATO avrebbe disinnescato quelle tensioni che poi sono sfociate nella guerra che conosciamo. E su chi non abbia voluto dar corso a quegli accordi ci sono ormai delle quasi-certezze, e non si tratta certo della Russia di Putin.
E qui il ruolo della NATO diventa chiarissimo e, per molti aspetti, colpevole.
Intanto la sua metamorfosi da alleanza difensiva a strumento militare della politica di potenza statunitense nel mondo.
Il 23-25 aprile 1999, in pieno conflitto jugoslavo, a Washington si tenne un vertice NATO in cui i capi di stato e di governo dell’Alleanza stabilirono (par. 47) che “NATO forces must maintain the ability to provide for collective defence while conducting effective non-Article 5 crisis response operations”, vale a dire che l’Alleanza superava il famoso articolo 5 del Trattato, che era puramente difensivo, trasformandosi in una compagine militare e politica potenzialmente offensiva e, quindi, in grado di operare in qualsiasi scenario bellico prescindendo da eventuali attacchi esterni.
Ciò che era avvenuto con l’Afghanistan nel 2001, con l’Iraq nel 2003 in cui molti paesi NATO -anche se formalmente al di fuori dell’egida ufficiale dell’Alleanza- invasero e distrussero il paese mediorientale si ripeté nel marzo 2011 con l’operazione Unified Protector, questa volta a guida NATO, con cui venne aggredita militarmente la Libia di Gheddafi. La NATO cioè da tempo è diventata la forza di proiezione internazionale dell’Occidente a guida USA, con tutta l’aggressività e la brutalità che caratterizza questa impostazione, ormai ben al di là dell’originario scopo difensivo.
Pensare che tutto ciò fosse ignoto a Vladimir Putin è decisamente sciocco: la Russia sapeva benissimo che l’assorbimento dell’Ucraina nell’Alleanza atlantica rientrava in questa strategia di assalto al potere mondiale e di cui avrebbe costituito un tassello fondamentale. Ugualmente sciocco è pensare che una ex-superpotenza, dotata ancora di un formidabile arsenale nucleare, dai forti connotati nazionalistici e da sempre affetta dal complesso dell’accerchiamento, quanto meno in Europa, potesse tollerare un ulteriore allargamento della NATO ai suoi confini, come continuamente avvenuto negli ultimi anni.
Quello che invece appare incomprensibile è la frenesia militarista dell’Unione Europea che ogni giorno ci dice di prepararci alla guerra, che bisogna produrre più armi anche a costo di una conversione forzosa delle nostre industrie, che bisogna ripristinare la leva obbligatoria per avere più giovani da mandare a morire al fronte, che bisogna stanziare altri miliardi di euro per aiutare un’Ucraina ormai sconfitta, che è sconveniente parlare di trattative di pace, che bisogna fermare ad ogni costo un Putin indemoniato.
Milano Finanza, qualche giorno fa, ha pubblicato un intervento di Andrea Margelletti, consigliere del ministro Crosetto, in cui, si afferma che “l’Italia entrerà in guerra ma non è pronta” e che quindi bisogna effettuare grandi investimenti nel settore della difesa, anche in vista del prossimo esercito europeo. Al di là dell’allarmismo ingenuamente scoperto del consigliere, emerge un’altrettanto ingenua e altrettanto scoperta finalità in queste affermazioni: l’aumento della spesa militare a tutto vantaggio dell’industria bellica (soprattutto quella italiana, non seconda a nessuno) la quale già pregusta i lauti profitti che le possono pervenire da una continua e ben pilotata esaltazione guerresca.
Immaginiamoci quale colossale attività lobbistica si sta avviando da parte dei potentissimi fabbricanti di armi nei confronti delle istituzioni europee, notoriamente molto sensibili e permeabili a questo genere di lusinghe, nel momento in cui si comincia a parlare sempre più insistentemente di un possibile esercito europeo, o anche solo di un forte aumento di spesa militare. Chissà se la Von der Leyen si sta già scambiando SMS con qualche industria del settore…
Il terrorismo islamico degli anni passati e presenti, la sedicente emergenza climatica, la discussa pandemia covidaria e ora i venti di guerra ci hanno insegnato che la paura è uno strumento di governo eccezionalmente efficace. E non importa quanto la paura sia reale o irreale, l’importante è che qualcuno ci guadagni qualcosa da questo perenne terrorismo mediatico: soldi, potere, visibilità.
In fondo sono giochi molto seri, molto ben studiati e molto ben organizzati. Ma per quanto riguarda la guerra -reale, immaginaria, presente, futura- si tratta anche di un gioco molto pericoloso: probabilmente tutto finirà in una qualche sorta di compromesso sulla pelle del popolo ucraino e in un aumento stellare di fatturato dell’industria bellica, come dicevamo prima. Ma esiste anche il rischio molto concreto dell’errore umano: un missile fuori controllo, un grilletto troppo sensibile, un pulsante premuto per distrazione, un pilota esaltato, e tutto potrebbe precipitare.
E a quel punto l’unica consolazione sarà, forse, che anche i mercanti di morte, i loro profitti e chi li aveva favoriti finiranno seppelliti dal botto finale della storia. Finis gloriae mundi.
© 2024 CIVICO20NEWS – riproduzione riservata