
Di Michele Franco (seconda parte)
La prima cattivella italica non poteva che prender vita dalle idee di un tipo che di auto “pompate” se ne intendeva: Carlo Abarth, e ho detto tutto. Lui pensa ad una rivale per fronteggiare il successo della Innocenti Mini Cooper mark 3 e, con la collaborazione del Centro Stile FIAT, arriva in strada il gioiellino nazionale
Autobianchi A 112 Abarth (1975-1985) La prima versione con più CV nasce nel 1971, anno in cui la FIAT concludeva l’acquisizione della Abarth, ma noi ci concentriamo sulla versione più performante, la Abarth 70 CV (1975). L’auto, con passo corto, divertente da guidare, robusta, con ottima tenuta di strada, fu costruita in sette serie successive. Ben rifinita, all’epoca era molto ambìta (lo è anche oggi!). Costruita a Desio, era rivolta al pubblico prettamente maschile, disposto ad un esborso consistente per avere un’auto piccola ma di immagine sportiva. Dapprima dotata del propulsore 903cc che erogava, dopo la cura Abarth, 58 CV (1971), e poi, dal 1975 con la IIIa serie, del 1.050cc da 70 CV a 6.600 giri. Con peso di soli 690 Kg, la 112 (ora omologata per 5), toccava i 160 Km/h e segnava 11,8” sullo 0-100. Si fece apprezzare così tanto dalla sua clientela che, secondo le statistiche, a metà anni ‘80 ben il 72% dei possessori di una A 112 ne aveva già avuta almeno un’altra negli anni precedenti! Se questa non è fidelizzazione, trovate voi un sinonimo. Nel luglio ‘85 la nostra piccolina pepata va in pensione; gli esemplari dell’ultima VIIa serie costano 10.500.000 lire, qualcosa come 8 volte il prezzo degli esemplari della Ia serie (a loro volta, già assai più cari delle auto di stesso segmento e di molte berline di segmento superiore!).
Arriva il 1976, anno fatidico per il mondo delle compatte arrabbiate.
Scendono in campo tedeschi e francesi, con auto prepotenti che oggi son pietre miliari del settore. Nel giro di pochi mesi, rombano le: Talbot Samba Rallye 1.219cc 90 CV, VW Golf GTI 1.600cc 110 CV, Renault 5 Alpine 1.400cc 93 CV.
Talbot Samba Rallye (1976-1986) Lei meriterebbe un capitolo a parte: poco conosciuta, tranne che dagli intenditori, è la prima vera piccola hot hatch francese. Una tenuta di strada superlativa ed eccezionali doti “all terrain” la fecero soprannominare “l’ammazzagiganti” nei rally, dove vinse tantissimo facendo valere le sue doti su auto ben più blasonate e potenti. Fu la piccola indiavolata capostipite delle Citroen e Peugeot pepate che dovevano seguire negli anni. Il motore 1219cc con 2 carburatori doppio corpo, e il successivo 1360cc, furono le basi dei motori che equipaggiarono molte piccole sportive francesi, ora ricercatissime dai collezionisti. Siamo nel 1976, e nasce il Gruppo PSA, con Peugeot che incorpora Citroen. Nella produzione Peugeot vi era l’ottima 104 con pianale corto, o lungo. In Citroen, i due telai diedero origine alla Citroen LN (corto), e alla Visa (lungo). In Talbot, sul telaio corto della 104 (ho avuto il piacere di averla nella versione ZS Printemp), si sviluppò la Samba 3 porte (in realtà più lunga di 10 cm rispetto alle consorelle Peugeot e Citroen), su quello lungo la 5 porte. Samba fu proposta in molte versioni, tra cui spicca la cabriolet (firmata Pininfarina e ordinabile direttamente dalla fabbrica, novità assoluta per le piccole dell’epoca), e la GL 1.124cc, campione di economia che percorreva 22-23 Km/lt. reali (ho avuta anche lei e posso testimoniarlo, con grande scorno dei tanto strombazzati consumi ridotti di oggi). La Samba Rallye pesava 780 Kg, montava il 1.219cc a 2 carburatori doppio corpo e sviluppava 90 CV arrabbiati a 6.700 giri che la facevano scattare in 11” nello 0-100 e toccare i 175 Km/h. La tenuta di strada era come nelle migliori tradizioni francesi: superlativa. Spartana, quando ci salivi su le comodità le scordavi, e restavano le emozioni forti (ho avuta anche lei per molti anni, erano batticuori di gioia per ciò che ci potevi fare, una volta conosciuta e capita). Con imbattibile rapporto prestazioni/prezzo, e col successivo aftermarket corsaiolo, venne scelta da schiere di piloti che volevano una vettura competitiva a costi di convenienza.
Il declino, nonostante tutti gli sforzi per mantenere in vita la Talbot, arrivò inesorabile. Il modello invecchiava e poi colei che doveva “ucciderla” stava occhieggiando all’interno della stessa PSA: stava prendendo forma l’asso pigliatutto, una certa “205”. Ma questa è storia della prossima puntata.
VW Golf GTi (1976-1982) Golf, ovvero come ti cambio le sorti dell’azienda! (Credo che a Wolfsburg ci sia una statua dedicata a Santa Golf, nascosta nella sala dove si riunisce l’alta dirigenza). A inizio anni ‘70 la VW boccheggiava, dibattendosi nella crisi più brutta della sua storia. Alcuni modelli sbagliati e il profondo rosso della sua consociata NSU l’avevano ridotta quasi sul lastrico.
La dirigenza decise di giocarsi tutto con l’ultima, disperata carta: tentare una ripresa rimpiazzando il mito VW Maggiolino con un modello totalmente diverso in linee e filosofia costruttiva. Si ispirarono alla FIAT 128, azzeccatissima italiana, ritenuta la migliore auto medio-piccola moderna all’epoca. E ricorsero ad un italiano, tal Giorgetto Giugiaro, per dare personalità al nuovo progetto. Il resto è storia. Complici nomea di affidabilità teutonica, ottimo livello di finiture e assemblaggio, innovazioni tecniche e design indovinatissimo, la Golf fece ridecollare le finanze di Wolfsburg. Fu la prima auto che metteva insieme trazione anteriore, distribuzione con albero a camme in testa e cinghia dentata, carrozzeria a due volumi con portellone e sedili posteriori ribaltabili, una qualità superiore alla media e un’estetica moderna, elegante e sportiva. Nel 1976 arriva sulla scena il sogno di ogni pilota: la Golf GTi Mark1 ha tre porte, è sicura e confortevole, ha un 1.588cc con ben 110 CV che scalpitano su un peso di soli 810 Kg. Entusiasmanti le prestazioni: 0-100 in 9” e 182 Km/h per una vettura che sapeva mettere a proprio agio anche i meno esperti nella guida. È il successo, anzi il successone che non si fermerà più, e che aprirà la strada alle successive versioni, sempre più potenti e sempre più performanti negli anni, fino ad arrivare ai 290 CV della Golf GTI TCR del 2019 (certo, andremo a visitare anche lei nell’ultima puntata).
Renault 5 Alpine 1.4 93 CV (1976-1981) La mamma delle successive versioni cattive della “5” sparigliò il settore delle piccole, con la sua linea accattivante, un po’ femminile e sbarazzina ma muscolosa. Pur disponendo di un motore di vecchia concezione (asse a camme laterale mosso da catena e distribuzione ad aste e bilanceri), aveva prestazioni di tutto rispetto. Il 1397cc raffreddato ad acqua delle Renault 5 TX e TS fu rivisto profondamente: rapporti di compressione aumentati, testata emisferica in alluminio, carburatore doppio corpo invertito Weber spremevano ora 93 CV a 6.400 giri rispetto ai 63 CV originari delle altre versioni. Con tarature differenti delle sospensioni, freni a disco anteriori, cerchi da 13 pollici e il peso contenuto la “5” Alpine copriva lo 0-100 in 9” e toccava i 175 Km/h, valori notevoli che la mettevano alla pari con la concorrente più diretta, la Golf GTi di cilindrata superiore. Il grande portellone della “5” e le sue prestazioni la pongono di diritto tra le hot hatch, e le sue tre porte sono… beh, sono frutto di un accordo con la Peugeot! Quando venne pensata nel 1971, le utilitarie cominciavano ad avere quattro porte, ma Renault andò controcorrente proponendone solo due più portellone. Fu una scelta dovuta all’accordo stretto nel 1966 con la Peugeot. Quest’ultima era prossima al lancio della 104 berlina, che nei vertici della Casa di Sochaux era vista come la più piccola automobile a 4 porte esistente sul mercato. Per non ostacolare i rispettivi piani commerciali, Peugeot scelse di rinunciare al portellone posteriore, mentre Renault decise di limitare a tre il numero di porte della sua piccola “5”. Il fascino della mamma di tutte le “5” pepate rimane intatto a distanza di decenni, e la Alpine resta il sogno ancora oggi di molti amanti delle “bare su ruote”.
Michele Franco
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