
Di Michele Franco (terza e ultima parte)
Dopo lo scoppiettante, automobilisticamente parlando, 1976, nei tre anni successivi, con cadenza di una all’anno, nuove performanti hot hatch sgommeranno sugli asfalti europei: 1977 Innocenti Mini De Tomaso. 1978: FIAT 127 Sport. 1979: la decade si chiude con la “bete francaise avec moteur anglaise”. Il rilancio del marchio in realtà fu un canto del cigno, ma la Talbot fece in tempo a darci, dopo la Samba, la Sunbeam Lotus che fu letteralmente un salto così grande da portarci su un altro pianeta. Ma andiamo con ordine.
Innocenti Mini De Tomaso (1977-1982) e (1983-1990) altro riuscito esperimento di Alejandro De Tomaso, intraprendente pilota italo-argentino già fondatore della omonima casa automobilistica nata a Modena nel 1959. L’imprenditore, dopo estenuanti trattative col governo e la britannica Leyland che gestiva la Innocenti, si era assicurato il controllo della Innocenti di Lambrate, vicino Milano. Riprende così la produzione della Mini “Innocenti”, disegnata da Nuccio Bertone, altro nome miliare nella storia dell’auto e del design. La nuova nata dovrà vedersela con due avversarie del calibro di Autobianchi A 112 e Mini Cooper, e alla fine risulterà l’auto prodotta in maggior numero nella storia dell’azienda. La versione piccola bomba è un capolavoro di ingegneria: col suo peso piuma di circa 700 Kg gode di ottima stabilità (come da tradizione di ogni Mini), ed ha prestazioni divertentissime! Dapprima mossa da un motore aspirato 4 cilindri, 1275cc da 77 Cv, dal 1983 equipaggiata con il 3 cilindri turbo Dahiatsu da 993cc e 71 CV, può essere paragonata a una attuale key-car made in Japan, ma arrabbiata. Il Dahiatsu era, all’epoca, il turbo più piccolo al mondo, affidabile e potente, un vero concentrato di alta tecnologia! La Mini De Tomaso, con linee accattivanti, bicolore, performante, stabilissima in ogni assetto, è fulminante: 0-100 in 10” e 165 orari di punta la fanno divenire temuta e rispettata. La bellissima avventura della scatoletta terribile termina nel 1990, quando la De Tomaso passa di mano entrando nella galassia FIAT. L’azienda torinese proseguirà la produzione delle sole versioni normali, denominate Small 500 e Small 990 e infine porrà termine alla produzione delle Mini nel 1993.
FIAT 127 SPORT (1978-1983) Anche per l’auto sulla quale milioni di italiani han vissuto un pezzo delle loro vite arrivò (a distanza di sette anni dal lancio, avvenuto nel 1971), il momento di incattivirsi. Un poco. Senza esagerare. Presentata con una campagna pubblicitaria il cui slogan era “Tremate, tremate, le streghe son tornate”, la cattivella di casa FIAT aveva suscitato grandi attese, con la sua eleganza affascinante, soprattutto nei contrasti esterno-interno. Molto ben equipaggiata e con spoiler anteriori e posteriori, con cerchi di nuova foggia e gomme ribassate, era mossa dall’ottimo 1.050cc della 127 CL, però potenziato del 20% sia in potenza che in coppia, per esprimere 70 CV a 6.500 giri, il tutto senza grandi differenze nei consumi. Era aumentato il peso della vettura, così le prestazioni davano 0-100 in 13,3” e velocita reale di 155 Km/h. FIAT aveva proposto una formula “sportiva” non esasperata, che strizzava l’occhio ai giovani ma accontentava anche le famiglie: l’auto era più grande e comoda e aveva più bagagliaio della concorrente A 112 Abarth. Per chi non si accontentava, era in vendita il kit di potenziamento con 2 carburatori doppio corpo e relativi collettori: la potenza saliva a 85 CV, il che poneva le 127 così elaborate di diritto tra le hot hatch.
La 127 Sport era aggressiva, modificata nel frontale e nel posteriore per renderla più attuale, ma conservava la bella filante linea disegnata nel 1971 da un altro “grande”, Pio Manzù. Sul design perfetto dell’auto era intervenuto col suo tocco il mitico Dante Giacosa che, abbassando la caduta del cofano sul frontale tra i fari siglò per anni la personalità della 127. Infine, a dieci anni esatti dall’uscita del primo modello, nel 1981 fu messa in vendita la 127 Sport 5 speed: cambio 5 marce e motore 1.300cc con 75 CV, per 0-100 in 11,8” e velocità max di 164 Km/h. Ma ormai, con la 127, si era agli sgoccioli, e la produzione si interruppe nell’83. Di lì a due anni, sulle strade piombava la Uno Turbo, l’italiana “bara su ruote” per eccellenza, di cui ci occuperemo nella prossima puntata.
TALBOT SUNBEAM TI (1979-1981) Originariamente in Chrysler fu pensata come modello provvisorio, per mantenere attivi gli stabilimenti di Linwood (Scozia). Siccome l’auto mirava a farsi un posto nel fiorente mercato delle “piccole”, per renderla più attuale si lavorò alla versione accorciata della Chrysler Horizon, ma tutto finì con la crisi dell’azienda e la cessione della Chrysler Europe che, dal 1979, entrò a far parte del Gruppo PSA. I francesi si trovarono così in eredità alcuni modelli, tra cui la Sunbeam a trazione posteriore.
La Sunbeam TI, caratterizzata dal grande portellone vetrato che andava in voga in quegli anni (ideale per le grandinate impetuose della nostra epoca…sigh!), era evoluzione della Hillmann Avenger GT, da cui derivava motore in ghisa, pianale, freni e sospensioni, ed era “fatta per correre”. Aveva il posto guida infossato, sedili avvolgenti Recaro (notizia di questo fine luglio 2024: il fallimento della storica azienda). Notevole lo scarico corsaiolo, posizionato su stesso lato dell’aspirazione e con collettore in tubi di metallo saldati, nella configurazione 4 in 2 in 1. Il propulsore era il 1.598cc a doppio carburatore, 100 CV a 4.500 giri, per 0-100 in 10,8” e velocità di 173 Km/h al peso di 940 Kg. Anche lei beneficiava dell’ottimo rapporto qualità/prezzo che distingueva le Talbot ma non ebbe gran successo. Nonostante le vendite “tiepide”, l’auto si prese la rivincita con la successiva versione.
Sunbeam Lotus fu “il bolide” che preannunciava, con largo anticipo, ciò che il mercato avrebbe offerto anni dopo. Montava il 4 cilindri bicarburatore 16 valvole Lotus di 2.174 cm³ che erogava 155 CV (stradale) e 230 Cv (corsa).
Si trattava di 9 quintali di pura follia, su una carrozzeria nata per ospitare un motore da 45 CV e portare a spasso tranquille famiglie. E, infatti, la versione stradale non era vistosa, pareva berlina normale, se non fosse stato per alcuni particolari. Ma questa Sunbeam sfiorava i 200 Km/h e staccava un valore di 7,7” sullo 0-100. Nel 1981 ci fu il tripudio: vinse il campionato del mondo costruttori rally con l’accoppiata Toivonen-Frequelin. E, con questo squillo di tromba e 200.000 esemplari prodotti, la Sunbeam si congedò dal mercato, insieme allo stabilimento di Linwood che venne chiuso. Il testimone passò così alla sola Samba, che proseguirà la bella tradizione Talbot per diversi anni ancora nei rally.
I complessi e controversi anni ‘70, gli “anni di piombo”, con attentati di matrice nera (Piazza della Loggia, Italicus), sequestri e uccisioni di matrice rossa (BR), stavano per lasciare posto ai “mitici anni ‘80” che, con gli ultimi colpi di coda delle BR e la strage della stazione di Bologna, si trascinavano l’eco stragista del decennio precedente.
Nuove mode, nuove musiche, nuove alleanze politiche, nuove malattie (AIDS su tutte) e nuovi equilibri mondiali stavano affacciandosi sul proscenio della grande Storia (caduta del muro di Berlino). Nel mondo dell’auto, sui tavoli da disegno e nelle officine dei preparatori, stavano affilando i pistoni le compatte sportive, piccole bombe ancor più irriverenti e selvagge. Anche loro si lasceranno dietro una bella scia di sangue. Non erano diventate più “mature” rispetto alla decade ‘70-’80, anzi! Ora erano più potenti, sfrontate ed estreme. Erano derivate da vetture da usare ogni giorno, ma erano un’altra cosa. Molte erano dotate di turbocompressore, e avevano telai messi a dura prova dalle potenze aumentate a dismisura. La decade 1980-’90 fu la più ricca di novità in questo segmento particolare, e le nuove “piccole bombe” stavano per entrare nella vita di tanti guidatori, dalla cui massa emersero piloti eccezionali che si distinsero nei Rally.
Alla prossima puntata, amiche e amici.
Grazie per la lettura da Michele Franco.
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