Una delle mode culturali più diffuse in questi ultimi anni è la flagellazione o, meglio, l’autoflagellazione dell’Occidente.
Lasciando da parte il classico Tramonto dell’Occidente di Oswald Spengler (1922) appartenente a un’altra epoca, possiamo citare un altro Tramonto dell’Occidente di Umberto Galimberti (Feltrinelli, 2005), L’ipocrisia dell’Occidente di Franco Cardini (Laterza, 2015), Suicidio occidentale di Federico Rampini (Mondadori, 2022), La deriva dell’Occidente ancora di Franco Cardini (Laterza, 2023) fino al recentissimo La sconfitta dell’Occidente di Emmanuel Todd (Fazi, 2024) in libreria da poche settimane.
Si tratta di una serie di lavori tutti impregnati da una forte critica della nostra civiltà che -pur non essendo sempre distruttiva- mette comunque in evidenza la profonda crisi in cui versa l’Occidente sotto molteplici profili: spirituale, culturale, sociale, economico, militare. Una crisi che ha depotenziato un’area più politico-culturale che geografica e ha incrinato la sua antica convinzione di essere l’avanguardia del mondo e della storia.
Le recenti crisi in Ucraina e in Medio Oriente hanno ancora una volta fatto riflettere sulla reale solidità e compattezza del mondo euro-atlantico e soprattutto sui suoi fondamenti etici che, da alcuni secoli, esso ha voluto prendere a metro universale con cui valutare e trasformare la comunità internazionale, e che ha tentato di imporre, con le buone e le cattive maniere, al resto del mondo.
Un punto di crisi fondamentale è stato quello del diritto internazionale, che l’Occidente ha sempre ostentato come sua nobile creatura e come grande conquista nel complesso mondo delle relazioni internazionali, un diritto che esso ha però molto spesso subordinato alla sua politica egemonica basata sulla forza economica e, soprattutto, militare, la quale costituisce però, con tutta evidenza, la negazione radicale di quello stesso diritto che si assume come razionale, cooperativo, non prevaricatore.
Gli interventi militari dei paesi occidentali in altre aree del mondo, con o senza l’egida della NATO o dell’ONU -dalla Corea al Vietnam, da Suez a Cuba, dal Cile all’Irak, dalla Jugoslavia all’Afghanistan, dalla Somalia alla Libia, per citare solo i principali- hanno di fatto costituito un grande tentativo di riaffermazione post-coloniale delle loro ragioni materiali e di potere, spesso in pieno oltraggio alle regole del diritto internazionale.
Lo stesso atteggiamento di Israele, considerata sino a qualche tempo fa l’unica democrazia del Medio Oriente e avamposto dei valori occidentali in quell’area, negli ultimi mesi ha visto barcollare quella narrazione positiva a causa del suo bellicismo esasperato nei confronti delle popolazioni civili, fino al punto di dover affrontare le accuse di genocidio e di crimini contro l’umanità. E’ appena il caso di dire che il crollo dell’immagine di Israele nell’opinione pubblica mondiale ha trascinato con sé anche l’intera immagine dell’Occidente suo alleato, un Occidente razionale, rispettoso delle regole, umanitario, democratico e tollerante.
Così come il conflitto russo-ucraino, pur nell’indubbia responsabilità della Federazione Russa (e comunque spiegabile con l’atteggiamento ostile e provocatorio della NATO a partire almeno dal 2014), ha costituito un altro colpo alla credibilità dell’Occidente nonostante l’esaltato sfoggio propagandistico di una sua presunta “moralità” contrapposta, nell’immaginario collettivo dei media, all’immoralità politica di Vladimir Putin.
Il conflitto ucraino si è cioè trasformato da un confronto armato a un conflitto etico fra due filosofie della politica e della storia, come peraltro sempre avviene, dove l’occidente euro-atlantico si è auto-esaltato come il cavaliere bianco della democrazia liberale. Con poco risultato, dal momento che, oltre al clamoroso e autolesionistico fallimento delle sanzioni politiche ed economiche nei confronti della Russia, quella filosofia ha semplicemente spinto quest’ultima verso una nuova compagine politica ed economica che nella Cina e nell’India ha i suoi punti di forza.
Dal 22 al 24 ottobre a Kazan, in Russia, si terrà un vertice presieduto da Putin in cui verranno trattati due temi di estrema importanza per il futuro ordine mondiale: l’allargamento dell’area BRICS e la progettazione di una nuova moneta internazionale da contrapporre al dollaro come mezzo di pagamento fra sistemi economici.
In pratica si va consolidando un’area politico-economica alternativa all’Occidente e si darà impulso alla de-dollarizzazione degli scambi internazionali. Un vero superamento del monopolio occidentale sull’economia e sulla politica mondiali, e volto alla creazione di un nuovo bipolarismo o, forse, un nuovo multipolarismo internazionale che stravolgerà non solo l’attuale geopolitica ma anche gli equilibri strategici e militari consolidati dopo il secondo conflitto mondiale, con conseguenze imprevedibili e sicuramente destabilizzanti.
Ma va sottolineato come questa mutazione epocale non riguardi solo la politica, l’economia, gli equilibri strategici. Si tratta anche di una vera e propria rivoluzione culturale e antropologica.
Molti dei paesi dell’area BRICS “estesa” hanno religioni e visioni del mondo profondamente diverse da quelle occidentali: non tutti condividono le nostre idee di democrazia rappresentativa, di eguaglianza, di libertà di pensiero, di solidarietà sociale, di dignità personale, di rispetto dell’individualità, di diritti naturali e inalienabili, di libertà economica. Tutte visioni in qualche modo riconducibili a quella civiltà cristiana, e liberale, che ha forgiato l’Occidente nelle sue principali declinazioni: cattolicesimo e protestantesimo.
Lasciando da parte universi culturali alieni come la Cina e l’India, sarebbe sufficiente ascoltare, censura permettendo, le esternazioni televisive di Putin o di altri esponenti politici o comunque della società russa più colta (basti, per tutti, Aleksandr Dugin) per comprendere come l’anima di quel paese, comunque ancora cristiana nonostante anni di materialismo comunista, sia profondamente diversa da quella occidentale: spiritualità, immedesimazione con la propria storia, identità nazionale, orgoglio etnico, diffidenza verso consumismi e globalismi, coscienza di una propria missione storica e altro ancora.
Tutto diverso dal nichilismo occidentale fatto di rifiuto -e spesso demonizzazione- della propria storia, di masochismo intellettuale, di stupidità consumistica, di globalismo che azzera le identità nazionali, di edonismo individualista, di “dionisismo” diffuso, di decostruzione dei valori tradizionali, di abbattimento della spiritualità, di scientismo imperante, di confusione sessuale e molto altro ancora.
Un Occidente zoppicante che però vuole esportare le sue declinanti certezze e imporle secondo la sua antica vocazione biblica e messianica, maturata nel mondo angloamericano da Cromwell all’America degli ultimi due secoli, come sostiene Walter Russell Mead nel suo celebre saggio del 2007, un Occidente che oggi, quanto meno per il fattore demografico, ma anche per la propria insipienza, dovrà presto confrontarsi con l’emersione di un mondo nuovo, che non è detto sarà nostro amico.
Civico20News
Elio Ambrogio
Editorialista
© 2024 CIVICO20NEWS – riproduzione riservata
Scarica in PDF