Restrizioni Covid, inflazione e criticità economiche degli italiani.
Le statistiche divulgate dal Ministero dell’Economia e delle Finanze a riguardo dei redditi percepiti dagli italiani nel corso del 2020 sono impietose nel descrivere l’impoverimento determinato dalle restrizioni adottate nell’obiettivo di contenere la pandemia da Covid-19.
Per il vero, i dati fotografano una situazione che, com’era prevedibile, ha colpito in termini maggiori i redditi d’impresa e da lavoro autonomo e marginalmente quelli dei dipendenti e da pensione. Infatti, mentre i guadagni dei primi sono calati del 10% circa, i dipendenti hanno visto flettere le loro entrate solo di un 1,6%. Il dato viene confermato dal volume d’affari IVA diminuito del 10,2%, con punte del 73% per i tour operator e del 61% per il trasporto aereo.
In termini quantitativi, fa riflettere che quasi un contribuente su tre, ovvero 12,8 milioni di italiani, visti i modesti ricavi, non paghino neppure un euro di Irpef, di contro a un 4% che dichiara più di 70mila euro e che versa il 29% dell’Irpef complessiva.
Le criticità economiche sono state poi accompagnate da un incremento dei timori verso il futuro, come dimostra l’aumento dei risparmi avvenuto durante il biennio 2020-‘21. Il fenomeno non è solo conseguente alle restrizioni da Covid (che hanno rallentato i consumi), ma da implicazioni di tipo psicologico, trattandosi di risparmio “precauzionale o difensivo”, essendo notorio in sociologia che l’ottimismo incentivi i consumi e il pessimismo i risparmi.
Nondimeno, i dati forniti dalla Banca d’Italia evidenziano come, durante la pandemia, non tutte le famiglie siano riuscite a risparmiare. Anzi, il 25% di queste, ossia quelle in situazione di maggiore precarietà, abbia ridotto di circa 7 punti percentuali la capacità di risparmio.
Le diffuse criticità, in parte alleggerite nel 2021, hanno trovato una nuova e significativa battuta d’arresto nel galoppante fenomeno inflazionistico che ha coinvolto il nostro paese a partire dal gennaio di quest’anno. Stiamo parlando di aumenti che, a prescindere dalle statistiche ufficiali, si aggirano intorno a un 20/30%, con punte (si pensi all’edilizia e ad alcune materie prime e generi alimentari) che giungono sino, se non oltre, al 100% a fronte di posizioni reddituali stabili per il settore dipendente e pensionistico e verosimilmente calanti (magari neppure di poco) per quello imprenditoriale e delle libere professioni.
L’incremento dei prezzi – soprattutto se, come si teme, si tramuterà in stabile – avrà perlomeno quattro esiti negativi: 1) impoverirà le famiglie nella propria capacità di consumo, potendo comperare meno a parità, o diminuzione, di redditi; 2) falcidierà i risparmi (immaginiamoci una persona che abbia € 50.000,00 investiti al tasso dell’1% con l’effetto che, stante un’inflazione al 8%, avrà una perdita reale in termini di potere d’acquisto del 7%, pari a € 3.500,00); 3) condurrà a un’aumentata pressione fiscale (prendiamo un prodotto, prima venduto a € 20.000,00 e adesso a € 22.000,00, tassato al 22% di IVA dove l’imposta passerà da € 4.400,00 a € 4.840,00); 4) per coloro che abbiano contratto mutui a tasso variabile produrrà un implemento (affatto marginale) degli interessi.
Inoltre, mentre le restrizioni da Covid avevano colpito principalmente imprese e liberi professionisti, l’attuale fenomeno inflazionistico danneggia indistintamente tutti, riducendo il tenore di vita in maniera generalizzata. In tal senso, un campanello d’allarme viene dal rapporto dell’Associazione Bancaria Italiana del gennaio 2022 che evidenzia come si sia verificata una contrazione dei risparmi detenuti sui conti correnti pari a 1.834 miliardi di euro, con un decremento di circa il 25% rispetto a dicembre che gli analisti interpretano nel senso di un intaccamento dei risparmi dovuto all’impennata dei prezzi (per il vero, analogo fenomeno si era già registrato a ottobre e novembre, ma con cali meno rilevanti).
Un secondo indicatore (tra i tanti che si possono assumere) è individuabile nel numero delle nuove immatricolazioni di auto. Dopo il brusco calo subito nel lockdown e, nonostante una timida ripresa durante il 2021, nel marzo del 2022 il mercato italiano è crollato di un preoccupante 30%, perdendo nel primo trimestre ben 338.258 unità rispetto all’anno precedente e con previsione, per l’intero 2022, di un decremento del 25% che dovrebbe attestare le immatricolazioni a circa 1.130.000, quando trent’anni fa – il quel 1992 che a Maastricht vide partorire l’Euro propagandato alla stregua di un duraturo fattore di sviluppo – si vendevano più del doppio di auto.
Naturalmente, cicli economici recessivi si sono sempre intercalati a fasi di espansione e di crescita. Purtuttavia, il declino delle capacità reddituali e di spesa delle famiglie italiane – specie dei ceti medi – perdura da trent’anni, ovvero dal quel 1989-‘91 in cui, crollati i comunismi, poco alla volta si sono irrobuste politiche neoliberistiche caratterizzate da tagli alla spesa pubblica e al welfare-state, di flessibilità (alias “precarietà”) lavorativa e da un’implementata pressione fiscale.
Si ha dunque l’impressione che le restrizioni imposte nel periodo pandemico e le attuali difficoltà dovute al conflitto russo-ucraino abbiano accellerato (anche da un punto di vista temporale) il passaggio da un’epoca ad intenso consumismo (che ha contraddistinto gli anni Settanta e Ottanta, ma che trovava le radici nel decennio precedente) a una fase contrassegnata da possibilità e stili di vita maggiormente dimessi: insomma da una “fast-economy” a una “slow-economy”.
Se si andrà in questa direzione, il cambiamento produrrà esiti benefici (ad esempio di minore impatto ambientale), ma anche e soprattutto malefici (tra i tanti, maggiore disoccupazione e un elevato costo di beni e servizi). Ma la politica – se vorrà – potrà, almeno in parte, pervenire a esiti differenti, come è accaduto dopo la Seconda Guerra Mondiale, quando appropriate scelte economiche permisero all’Italia, nel giro di pochi lustri, di diventare una potenza mondiale. In questo momento, però, con tutti gli sforzi, è difficile intravvedere il sole dietro alle nuvole.