Retaggi di un “mal d’africa” d’epoca fascista che citavano anche il Negus Menelik
“Ambaradàn”, nel linguaggio parlato è un termine che si tira sovente in ballo quando si vuol descrivere un disordinato mucchio di oggetti, quanto un convulso e caotico insieme di comportamenti umani o di confusi pensieri interiori. Un tema universale che spesso è stato di ispirazione anche a numerose, leggendarie composizioni di arte contemporanea.
Tornando al lessico comune, in genere si tratta di una descrizione di situazioni confuse, inserite in un unico vocabolo ben compreso e adoperato in tutta la Penisola, anche nel discorrere dialettale. Un termine adottato “tout court” pure da comunità straniere, perlopiù rumene e albanesi, inserite da tempo nel nostro Paese.
Il duraturo successo di ambaradàn è certo dovuto alla musicalità del suono, quasi uno scioglilingua che rende bene l’idea dell’imprecisato tumulto. Lo si potrebbe battezzare come un “prefisso di situazione” che spesso fa da incipit a una descrizione più dettagliata e che alimenta l’arte del pettegolezzo, ma questa è solo un’illazione.
Di sicuro, “ambaradàn” è ancora in voga, sebbene la sua origine non sia nota a tutti i fruitori, sia per la sua origine ormai remota, sia per una lesta indagine conoscitiva che ha dato origine a questa frettolosa precisazione.
Da vocabolario: “ambaradàn è un s.m. dall’etimo incerto, ma facilmente da connettere con l’Amba Aradam, massiccio montuoso dell’Etiopia presso il quale, nel 1936, ebbe luogo una cruenta battaglia della guerra italo-etiopica”.
Alla luce di quei fatti non resta che confermare: l’origine del termine è quella, ma i particolari non sono decorosi per certi contegni dell’esercito italiano in cerca del suo impero in terra d’Africa.
L’Amba Aradam è un altopiano montuoso situato in Etiopia, nella regione del Tigrè, a circa 50 km a nord della capitale Addis Abeba, dove nel 1936 l’esercito fascista, nel corso di una confusa battaglia, uccise oltre 6000 etiopici facendo uso di svariate armi, tra cui, anche quelle chimiche.
Fu una battaglia impari, nel corso della quale gli italiani impiegarono gas velenosi già all’epoca vietati, sia sganciandoli dagli aerei che sparati dall’artiglieria. Durante la campagna di Etiopia, Mussolini avrebbe approvato anche l’uso di armi biologiche, ma non risulta che furono mai utilizzate.
In Italia la battaglia dell’Amba Aradam fu dapprima taciuta, quindi affrontata e storicamente ammessa con graduale imbarazzo. Come spesso accade però il tempo è benevolo e certe assonanze piacciono. Quindi, nel linguaggio colloquiale “l’ambaradàn-m” è diventata un bonario “macello”, ma non solo, il termine è risultato gradito e comprensibile anche in altre lingue europee, ed è usato sia in Francia che in Germania e in Svizzera. Infine, la sonora metafora del termine ha ispirato nomi di bar, pizzerie, birrerie, locali notturni, band musicali, vini e persino un negozio di giocattoli ad Agropoli. Il percorso “del perdono” di una storia nata ben diversamente.
Ultima curiosità: a quel periodo imperialista, si riferiscono anche modi di dire e doppi sensi che tirano in ballo Menelik, imperatore d’Etiopia. Remoti aneddoti originati dal “mal d’Affrica fassista”, da quell’Abissinia che all’epoca era quasi un romantico miraggio popolare.
Per addolcire con aura idillica una guerra aggressiva, si mettevano in giro ritornelli tipo: “… Oh Menelicche, le palle son di piombo, non pasticche…” Oppure, per definire un ragazzo dal carattere ribelle, dal Piemonte al Veneto, nelle varie tonalità dialettali gli si diceva: “Te sèt pròpi n’menelìc”. In Piemonte, i “diversamente giovani Boomer” ricordano ancora il detto: “le bale d’Menelik”, in voga tempo addietro per descrivere questioni poco credibili & simili cose. Resiste invece: “la lingua di Menelik”, quel fischietto di carnevale che si srotola e si arrotola quando si soffia.
Queste ultime sono facezie ormai di scarsa importanza che, al seguito di un linguaggio che cambia, stanno svanendo tra le nebbie di quell’epoca, ma in questi tempi minacciosi è importante non dimenticare la crudeltà della guerra e cercare di preservare quella pace “Francescana” che sembra non appartenere al destino della razza umana.
Immagine di copertina: battaglia dell’Amba Aradam illustrata da Achille Beltrame per la Domenica Del Corriere del 1º marzo 1936.
Bello grazie di queste pillole di mal d’africa, ciao
ogni tanto mi diverto a curiosare su certe stranezze che ci accompagnano da sempre. Grazie