Titivillus: un diavoletto alle dipendenze di Satana
Tutti coloro che hanno a che fare con la parola scritta, soprattutto quando deve transitare da un supporto di qualunque tipo alla sua pubblicazione, sanno quale demone sia il refuso. Per quanta attenzione ci si metta, alla fine almeno un refuso riesce a sottrarsi anche all’attenzione del più attento correttore di bozze. Pare che questa problematiche fosse già ben nota agli amanuensi, per i quali un errore poteva comportare ore e ore di lavoro di ricopiatura.
Fu in quel periodo, così pare, che vide la luce Titivillus: un diavoletto alle dipendenze di Satana e con lo specifico ruolo di indurre in errori i pazienti monaci addetti alla scrittura. Le prime tracce di questo singolare demone sono presenti in Dialogus magnus visionum et miraculorum di Cesario di Heisterbach (1180-1240), scrittore cistercense e nel Tractatus de Penitentia, scritto da Johannes Galensis (?-1285), un filosofo francescano.
Per questi autori, il tipo di errore indotto da Titivillus non sarebbe il refuso vero e proprio, bensì l’inserimento nei testi di parole e concetti in contrasto con gli argomenti trattati, così da falsarne il contenuto. Quanto non era impegnato in questa attività, il diavolo degli amanuensi andava a fare scorta di maldicenze e pettegolezzi, raccogliendoli tra i fedeli durante le funzioni religiose: il suo bottino era poi direttamente trasferito all’inferno. Quando le anime di quei fedeli non proprio coerenti con l’etica e la morale cristiane fossero giunti laggiù, quelle dicerie e similia avrebbero contributo ad aggravare il fardello di colpe imputabili ai singoli peccatori.
Un doppio ruolo quindi quello del Titivillus, che nell’iconografia medievale appare con le classiche caratteristiche fisiche del diavolo mostruoso, con ali da pipistrello e immancabili corna, quasi sempre sullo scrittoio o dietro le spalle di un religioso o di un santo intenti a vergare testi teologici destinati alla devozione e alla cura dello spirito.
Il suo compito quindi era sostanzialmente finalizzato a far sì che nel testo vi fossero concetti in contraddizione con i dogmi, errori di attribuzione e anche parole di ambiguo senso. Un’operazione destinata a sfalsare i significati autentici del contenuto e quindi a indurre in false interpretazioni i lettori e i commentatori. Sicuramente un’azione meno plateale di quelle in cui i demoni sono raffigurati nell’atto di sovraintendere al sabba delle streghe, o di indurre al peccato gli eremiti chiusi nel silenzio della preghiera e della meditazione.
Di certo però un’operazione che ebbe anche la sua valenza pedagogica: infatti Titivillus costituiva un valido espediente catechistico per ricordare ai fedeli che durante le funzioni religiose non ci si doveva abbandonare alle chiacchiere, perché oltre a fare peccato, quelle parole vane in seguito avrebbero avuto un peso sull’anima. Il secondo aspetto riguardava invece gli amanuensi, che dovevano fare molta attenzione per evitare che Satana facesse in modo che la loro opera fosse inquinata dalle infiltrazioni indotte da Titivillus, abile, come tutti i demoni, ad assumere sempre nuove fisionomie al fine di stravolgere i disegni della fede e orientarli in direzione opposta.
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