
Indagando sul tipico contenitore del Chianti si risale la storia d’Italia, e non solo
Notizia dell’ultima ora riporta che i cervelloni dell’Unione Europea, non sazi dei dazi di Trump, ne stanno creando dei propri, imponendo sull’etichetta del vino ammonizioni salutiste del tipo: “il vino nuoce gravemente alla salute”, alzandone la tassazione per battere cassa come per le sigarette. Coldiretti è in rivolta.
Una guerra dell’UE a se stessa, contro un prodotto e una cultura millenaria esportata nel mondo, dunque, dopo l’articolo precedente relativo alla bottiglia da 75 cl, che ha richiesto a gran voce di andare oltre la Pulcianella, prima di raccontar del fiasco, è bene risalire all’origine dei recipienti di vetro.
Dal vetro al fiasco
I primi reperti in vetro risalgono al XV secolo a. C. Scoperti nella zona della Mesopotamia sono vasi aperti e sagomati, mentre per la soffiatura si dovrà attendere il III secolo a. C, ad opera dei Fenici.
Dal I secolo d. C, le tecniche romane di soffio a stampo hanno permesso di produrre oggetti di vetro in quantità, ma di recipienti unificati non vi sono notizie, mentre le anfore vinarie di argilla tenevano circa 26 litri, perciò, l’anfora diventava unità di misura: un’amphora = 26 litri = 8 congii; 1 congio = litri 3,28 = 6 sextari. Per saper del fiasco si deve attendere il 1313.
Il termine proviene dal gotico “flasco”, infine immesso nella lingua latina da San Gregorio Magno, nella forma flasco –onis. Indica una nuova bottiglia dal collo alto e la base impagliata poi diffusa nel fiasco toscanello, alto 31 cm e di capacità 1,750 o 1,880 litri, nel quale viene infiascato il tipico vino Chianti.
Il fiasco è confermato dall’attendibile “Decameron di Boccaccio”, scritto tra il 1349 e il 1353, dove nella 2ª novella della 6ª giornata, riferendosi a “Cisti fornaio” si legge: «… Vien quindi mandato un servo a prendere il vino da Cisti. Il servo, che vorrebbe avere un po’ di vino anche per sé, arriva dal fornaio con un grande fiasco…».
Iconico poi, è l’affresco nella cappella Tornabuoni in Santa Maria Novella (FI), di Domenico Ghirlandaio (1448 – 1494), che illustra un’ancella che porta due fiaschi dall’aspetto e dalla capacità molto simili a quelli attuali.
Un’ampolla dal vetro chiaro e sottile
Il fiasco dalla forma pingue e tondeggiante, era facile da “soffiare” per i maestri vetrai che lo creavano senza stampo. L’impagliatura garantiva appoggio, difendeva dagli urti e serbava il vino in ombra. La paglia usata era la “stiancia”, erba palustre facilmente lavorabile e dalla fibra molto resistente.
Sulla capacità, si sa che fino alla metà del XX secolo i fiaschi sono stati da 1,88 l & da 2,5 l. Alla fine degli anni 80, secondo norme UE, la capienza è passata a 2lt. Tuttavia, si trovano anche fiaschi da 1,50 l, oltre a formati più piccoli, da 0,5 l, 0,75 l, & 1 l. Infine, è doveroso ricordare i fiaschi Chianti DOC dal collo lungo, alti fino a 150 cm per 3,8 l, veri oggetti da collezione e da arredamento, quotati e battuti all’asta per cifre iperboliche 🍷.
Fino agli anni 80 il fiasco era molto diffuso, ma di recente, a causa dei costi del rivestimento e la minore comodità di stoccaggio, è caduto quasi in disuso.
Al fiasco è stata infine preferita la bottiglia da 75 cl, più economica e facile da trasportare, con buona pace di una delle prime opinioni scaturite dalla scelta della stessa, proprio per quella facilità di trasporto forse acquisita quasi per caso grazie al rapporto col gallone inglese.
Perché si dice: «fare fiasco»?
È un modo di dire dapprima usato per stimare l’insuccesso di un’opera teatrale. La leggenda vuole che nel 1681, un Arlecchino bolognese, certo Biancolelli Domenico, ne sia il precursore. Non avendo fatto ridere nessuno con un monologo sul fiasco, diede colpa alla bottiglia per aver fallito.
Sia così o chissà, la perifrasi è diventata un italianismo diffuso in Europa nella prima metà dell’800, perlopiù nell’ambito teatrale, poi adottata per indicare tracolli riferiti al risultato di esami scolastici, lavorativi e cose così.
L’origine del detto, però, risale al profilo del recipiente. È verosimile l’espressione “fare fiasco” sia nata proprio dalla forma, abbinata al mestiere del soffiatore di vetro che avrebbe fatto fiasco durante la creazione di una sagoma più complessa, quando, fallendo in qualche mossa, non fosse riuscito ad andare oltre a una forma semplicistica più simile a un fiasco.
Sicché, secondo un tipico burlarsi in toscano, il fiasco raffigura uno smacco.
Dopo le bottiglie, i fiaschi . Articoli interessanti che soddisfano molte curiosità. Grazie
Ancora un grazie all’autore per la condivisione soprattutto da chi, già avanti negli anni, ricorda il fiasco onni presente nelle case avite.
Aldo