
Fulvio Vernizzi .- Testimonianze sulla vita e sulla musica - a cura di Giangiorgio Satragni
I ricordi della figlia Cristina
Riceviamo dalla prof.ssa Cristina Vernizzi – Presidente dell’Associazione Mazziniana Italiana-Sezione di Torino-Piemonte e componente del Centro Internazionale Studi Risorgimentali Garibaldini di Marsala – l’articolo “Fulvio Vernizzi – Il musicista da Busseto a Torino” che pubblichiamo.
L’articolo è la delicata narrazione di ricordi intrisi d’affetto filiale e di nostalgia della vita umana e artistico-professionale di suo padre Fulvio, figura di grande musicista, compositore e Direttore d’Orchestra.
Colpisce l’intensa attività professionale del padre svolta con grande successo a Torino, in Italia, in diversi Paesi d’Europa e del mondo, sempre ben documentata ed apprezzata dalle cronache giornalistiche del tempo.
Tuttavia sorprende il fatto che le Istituzioni Musicali Torinesi non abbiano ancora provveduto a ricordare questa importante “figura” con un doveroso “segno di memoria e di riconoscenza” per l’apporto culturale significativo offerto alla Città di Torino e alle sue stesse Istituzioni Musicali.
In ogni caso confidiamo ancora in un ravvedimento riparatore da parte di queste.
Sarebbe un gesto apprezzato dai non pochi cittadini amanti della musica, che consentirebbe di colmare questa “inspiegabile dimenticanza” e di rendere giustizia a chi merita di essere ricordato.
Ringraziamo l’Autrice, per la sua preziosa e costante collaborazione.
Buona lettura. (m. b)
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Fulvio Vernizzi (Busseto, 03-07-1914 – Torino, 18-02-2005)
Il musicista da Busseto a Torino
110 anni fa, nasceva a Frescarolo di Busseto (Parma) il 3 luglio 1914 Fulvio Vernizzi, mio padre. La sua casa distava pochi chilometri da Roncole, dove era nato Giuseppe Verdi, che mia nonna Zeffira, sua madre, aveva conosciuto.

L’articolo uscito di recente sulla Gazzetta di Parma (25 febbraio 2024), per la penna felice di Vittorio Testa, ha delineato l’ambiente in cui era nato, gli studi in un collegio di orfani di guerra, quale lui era, la netta predisposizione alla musica e la sua prima composizione a 13 anni.
Quindi la formazione al Conservatorio di Parma, i tanti diplomi, una carriera di direttore d’orchestra e di compositore fino agli anni ’90.
Qui vorrei ricordare la tappa fondamentale della sua vita: la vincita del concorso nazionale alla RAI di Torino, la città in cui visse sempre fino alla fine.
Era il 1951, e aveva alle spalle una ricca esperienza di musicista che lo aveva anche visto alla formazione a Parma dell’orchestra da camera “Ferdinando Paer” con cui aveva ottenuto il primo premio nazionale a Bologna . Negli anni seguenti aveva conseguito i perfezionamenti in Direzione d’orchestra con H. Scherchen a Venezia e in musica contemporanea con Korreuther a Milano. In questa città aveva incontrato Toscanini che lo aveva consigliato di proseguire nel percorso artistico intrapreso.
La fitta corrispondenza e il suo archivio, ci consegnano ottanta anni di storia della musica italiana ed internazionale, il mondo in cui visse. Erano anni popolati di personaggi, autori, musicisti, cantanti, attori, registi, tutti nomi che leggiamo ora nella storia della Musica del ‘900.
Arrivava a Torino alla RAI dove il lavoro iniziava subito con la formazione di un unico complesso. Infatti erano presenti due orchestre soprannominate la A e la B. Come membro delle commissioni d’esame, contribuì alla formazione di una unica: nasceva l’attuale Orchestra Sinfonica di Torino, e forse anche una immagine di Vernizzi, avrebbe un suo meritato posto tra quelle dei tanti direttori che appaiono nel foyer dell’ Auditorium …
In egual maniera, circa 10 anni dopo, fu incaricato di trasformare il gruppo musicale di Milano in Orchestra Sinfonica, divenendone Direttore stabile .
Ritornato a Torino i più vecchi lo ricordano ancora e sono in circolazione molte registrazioni di concerti eseguiti all’Auditorium e all’estero. Infatti dirigeva l’orchestra in Italia e negli scambi internazionali. Aveva una grande stima che si mutò in amicizia con alcuni professori dell’Auditorium: il primo violoncello Renzo Brancaleon, il violino di spalla Gramegna, la prima tromba Cadoppi, e Edgardo Egaddi, poi perito tragicamente in un incidente aereo, per citare quelli che ho più presenti.
Negli stessi anni apriva le stagioni liriche del Teatro Regio di Parma e andava in tournée in Canada. D’estate partecipava con entusiasmo ed era chiamato a fare il presidente del concorso internazionale “Voci Verdiane ” di Busseto.
Aveva una tabella di marcia incredibile: i concerti o le opere da dirigere, i concorsi da presiedere, le programmazioni alla RAI e, nelle ore libere, la composizione. Questa fu sempre una passione direi a lui congeniale, che gli fece scrivere musiche sinfoniche e cameristiche, oltre quaranta tra quartetti, suite, concerti alcuni eseguiti anche ripetutamente, come appare dalla SIAE.
Le sue agende segnano giornalmente una attività frenetica da un capo all’altro dell’Italia e dell’Europa. Infatti per oltre 16 anni fu chiamato in Olanda, dove diresse le orchestre delle Radio Olandesi e del Concertgebaw, In questo paese andava volentieri, anche per la calda accoglienza da cui era circondato. Qui chiamava spesso a cantare la famosa Magda Olivero che io e mia sorella Elisabetta conoscemmo e con cui ebbe rapporti molto cordiali.
Nel frattempo dopo una assidua collaborazione con Bruni Tedeschi sovrintendente del Teatro Nuovo, dove si svolgeva l’attività del Regio, veniva nominato Direttore Artistico del Nuovo Teatro Regio. Come tutti sappiamo, lo inaugurò nel 1973 con “I Vespri Siciliani” di Verdi , per la regia di Maria Callas.
La nomina gli veniva offerta in momenti di mille difficoltà dovute all’edificio ancora in costruzione, a maestranze molto in agitazione, alla regista impegnata in tale esperienza per la prima volta, al Direttore Guy chiamato e poi ritiratosi per un malore improvviso, come già scritto da Giangiorgio Satragni. La fitta e inedita corrispondenza di quei giorni con Guy , rivela la tensione, l’attesa spasmodica che era sottolineata dall’attenzione quotidiana e pressante dei giornali. Ma tutto doveva andare avanti, Vernizzi non diede nessun segno di cedimento. Con forza, con tanti caffè e tante sigarette, prese in mano la situazione e lo spettacolo fu condotto fino in fondo grazie alla sua grande conoscenza della partitura e della grande pratica acquisita nella direzione pluriennale di molte orchestre italiane e straniere.
Non stupisce quindi che , finito l’impegno biennale, come da lui voluto, al Regio di Torino, impegno che lo aveva vissuto come grande esperienza artistica e umana, abbia accettato di andare in Giappone. Qui divenne per 10 anni il Direttore stabile dell’Orchestra Sinfonica di Kyoto, carica che nessun Direttore italiano aveva avuto prima. Tra i numerosi spettacoli, ebbe il privilegio di dirigere a Nagasakj, in mondovisione, la Nona di Beethoven, nella ricorrenza delle distruzioni della bomba atomica.
Per aver diffuso nel mondo la musica italiana, gli vennero conferite le più alte onorificenze della Repubblica italiana e in Giappone ebbe il riconoscimento quale “Benemerito della Cultura Italiana”.
Non si fece mai vanto di tutto questo, ma forse si sarebbe commosso quando nel piccolo cimitero del suo paese di Frescarolo, venne posta una lapide che lo ricordava e a Busseto il nome di una via: quella era la sua terra che non dimenticò mai e per la quale ebbe sempre una profonda nostalgia.
Così non dimenticava i sacrifici e le fatiche di chi intraprende una carriera musicale, e aveva una grande attenzione verso i giovani e a loro dedicò appositi corsi musicali, come ben conosce una delle sue allieve migliori poi divenuta pianista e docente al Conservatorio di Milano, Simona Quaglia.
Quando era stato Direttore a Milano, aveva avuto interesse per il giovane Pollini che su suo consiglio partecipò e vinse il premio internazionale di Varsavia. Ero presente anch’io al Conservatorio di Milano quando in un pomeriggio inoltrato, nella sala grande e deserta, solo lui, la madre del pianista, e Federico Ghedini Direttore del Conservatorio, ascoltarono quel giovane timido, quasi impacciato, che al pianoforte si trasformava come guidato da un Ente superiore.
Quando si rivolgevano a lui, non esitava, ad occuparsi anche di complessi bandistici per i quali tenne molte lezioni anche al Conservatorio di Torino e fece numerose trascrizioni da autori dal 600 all’800. Aveva stima e affetto per quelle persone di estrazioni sociali anche semplici, ma che sacrificavano tante ore della loro giornata, oltre il lavoro, per stare insieme e suonare con generosità per la gente.
Fu quindi logicamente chiamato lui a dirigere nel 1987 il grande concerto, eseguito simultaneamente da circa un centinaio di bande composte da 3000 musicisti, che si tenne in San Pietro alla presenza di Giovanni Paolo II . Vi diresse un Adagio di Bach da lui stesso trascritto.
Lo rallegrava l’amicizia fedele e autentica di Vally Peroni, del musicista Pietro Gallo e dei tanti giovani che gli chiedevano consiglio.
Anni torinesi, la maggior parte della sua vita quindi, vissuti con serenità fino alla fine, quando fu segnato dalla scomparsa della moglie Elvira, nostra madre.
Era stata per lui, per 60 anni una compagna silenziosa e discreta, rassicurante e la sua mancanza lo gettò in uno sconforto che dopo pochi mesi lo spense.
Abbiamo sempre tra noi la presenza di quell’uomo dagli alti ideali, con una personalità dai modi semplici , quasi schivi, la sua dedizione assoluta alla musica nel senso più ampio del termine e che vedeva come un mezzo ideale di fratellanza tra gli uomini .
Personaggi di tale levatura artistica e umana meriterebbero un diverso trattamento commemorativo.