
Un problema ostaggio d’opposti estremismi (di Alessandro Mella)
Si parte da chi nega l’esistenza del problema (sono solo le stagioni o i cicli millenari, tutto normale, d’estate ha sempre fatto caldo e altre uscite simili) a chi vorrebbe i lockdown climatici (che la provvidenza ce li risparmi!), da chi vorrebbe ignorare la questione a chi vorrebbe tornare ai cavalli e birocci fino ad imporre alimentazioni alternative.
Quello del Riscaldamento Globale (O Global Warming come amano chiamarlo gli esotofili) è e rimane un problema ostaggio degli opposti estremismi. Partiamo, infatti, dai molti per i quali il problema non si pone, il cambiamento non c’è o fa parte dei normali corsi e ricorsi della natura, tutto è speculazione se non invenzione ideologica. Insomma, il negazionismo espresso in varie forme che vanno dal non crederci ad immaginare incredibili complotti.
Dall’altra parte vi sono orde di ambientalisti che sollevano un problema reale, ma spesso eccedono nei toni e nel desiderio di imporre soluzioni rare volte percorribili. Alcune certamente lo sono ma altre meno. Pensare di imporre l’alimentazione vegana o vegetariana piuttosto che la rinuncia al progresso e tecnologie è quantomeno utopico se non arrogante e non fa che rendere il problema meno percettibile dalla popolazione. Le differenti visioni, messe a confronto, troppo spesso finiscono per alzare i toni oltre misura e quindi l’argomento diventa un ring. Un’arena resa più feroce dai social.
Parliamoci chiaro, la questione non si può accusare d’irrealtà. Il problema c’è ed esiste ed è altamente percettibile nonché documentato da scienziati e ricerche il cui valore non si può mettere in discussione. I numeri parlano e lo fanno chiaramente. Il riscaldamento globale è un problema concreto che non può fermarsi al ciarlare sulle “stagioni che non esistono più”. Che qualcosa sia cambiato lo sentiamo nelle estati ormai insostenibili per molti malati fragili ed anziani sottoposti a temperature che le cui medie ed i cui effetti sono sensibilmente peggiorati negli anni.
Solo chi ha la fortuna di possedere (e poter mantenere) impianti di condizionamento può far fronte a questo disagio. Impianti, tra l’altro, che nel loro funzionamento non fanno che contribuire a peggiorare il problema. Le migrazioni e le mutazioni della fauna e della flora sulle nostre montagne, nelle nostre campagne e nei mari è un fatto che solo i miopi non colgono.
Il fatto che le grandi città non vedano quasi più neve la dice lunga. Ricordo benissimo quando, pochi anni fa, un caro amico oggi scomparso mi raccontava come a “Druento ci fosse la neve in terra da novembre a marzo”. E come dimenticare la grande siccità dello scorso 2017 quando le salamandre, in montagna, risalivano dalle tane alla ricerca disperata d’umidità per morire in superficie? Quando le fontane erano tutte secche e drammaticamente asciutte?
Qualcosa è accaduto. Che la natura muti e faccia il suo corso è certo. Pensare che la ragione sia solo quella è molto più di miopia manifesta. Semmai è incoscienza empirica.
Il contributo dato dall’uomo è evidente. I fumi delle grandi aziende, il traffico automobilistico estremo, l’uso di forme di energia invasive, le grandi emissioni sono a loro volta solo parte del problema. L’unica ragione? Forse no, ma concorrono e negarlo mi pare follia.
Il problema siamo noi e l’incapacità di cercare un dialogo, un compromesso, un equilibrio tra le esigenze della tutela dell’Ambiente e quelle della vita sociale, umana, mondiale e del progresso. Quest’ultimo non si può e non si deve arrestare. Ai governi spetta senz’altro il coordinamento e l’applicazione di politiche finalizzate a ridurre i danni della modernità crescente, ma noi dobbiamo essere i protagonisti primari dell’avvenire. Non possiamo ridurci a dire che il riscaldamento globale non esiste o come dobbiamo vivere come nel medioevo per salvare il pianeta. Sono follie diverse e contrarie. Dobbiamo iniziare una seria rivoluzione culturale. Imparare a camminare un po’ di più in città (tutta salute), aprire l’acqua del rubinetto ed usare la luce delle lampadine con buon senso e senza sprechi inutili, fare più attenzione alla gestione dei rifiuti che produciamo e decine di altre piccole previdenze che, replicate milioni o miliardi di volte, possono almeno alleggerire la progressione negativa e rallentarla sensibilmente.
Basterebbe il contributo minimale, quotidiano, di ognuno di noi per rendere il pianeta più vivibile e dargli fiato. Cosa vogliamo consegnare ai nostri figli e nipoti? La giovane svedese Greta ha sollevato un tema, ma attorno alla sua figura quante ipocrisie sono state costruite?
L’estremismo non paga. Né quello ambientalista, né quello negazionista, essi non fanno che far stagnare il problema e precludere ogni soluzione. Occorrono dialogo e buon senso e di questo devono farsi garanti i governi. E devono farlo presto perché siccità, incendi, povertà ed altro non fanno che impoverire la Terra. – Noi non ne vedremo le conseguenze – mi dice a volte qualche egoista che preventiva di morire prima. Ma davvero non capite che le conseguenze sono già sotto i nostri occhi?
Le imprese, le industrie, il progresso, devono poter svilupparsi e camminare per portare l’umanità lontana. Così la scienza e la socialità. Non è castrandoli che si salva il pianeta. Occorre semmai creare un’armonia che coniughi sviluppo e protezione del mondo. Si può fare, ma solo archiviando i personali estremismi. Da qui si deve partire per affrontare un dramma che crescerà ancora nelle sue manifestazioni e nei suoi effetti. Anche nei più drammatici. Dire che non esiste o cedere al panico isterico non salveranno niente e nessuno. Il tema del Global Warming va salvato dagli opposti estremismi per affrontarlo con il necessario pragmatismo e con il dovuto buon senso. Partiamo da questo. Salvate il soldato “buon senso”. Prima che sia troppo tardi.
Alessandro Mella
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