Un fauno e un santo per il sesso procreativo
Nel corso della terza edizione degli Stati Generali della Natalità, a maggio scorso, Papa Francesco ha detto che “la nascita dei figli è l’indicatore principale per misurare la speranza di un popolo… Se ne nascono pochi vuol dire che c’è poca speranza”. Nello stesso contesto, Giorgia Meloni ha detto: “Perché l’Italia torni ad avere un futuro, il governo ha messo figli e genitori in cima all’agenda politica.”
Per propiziare le nascite, di cui anche allora si sentiva il bisogno, dopo il ratto delle Sabine i nostri padri presero a dedicar feste alla fecondità. Si narrava d’un periodo di sterilità delle donne di Roma, terminato dopo che erano state possedute da un caprone. Così, a propiziare la fecondità, per Lupercalia, il 15 di febbraio, mezzi nudi, coi sacerdoti, i seguaci di Luperco, dalla grotta nella quale una lupa aveva allattato Romolo, ebbri e disinibiti scorrazzavano per le vie dei borghi e, con pelli di caproni appena sacrificati al fauno cercavano di coprire le donne che incontravano, sicuri che ciò bastava. Infatti, nei tempi previsti dalla natura, il clima libertino di malizie licenziose della sagra paesana finiva col riempire più d’una culla.
Anche di questa ricorrenza la cristianità s’impadronì come fece ad esempio con la festa del Dies natalis Solis nvicti – Giorno di nascita del Sole invitto. I legami, che un tempo molto legavano la civiltà eminentemente agricola dei popoli ai ritmi della natura, attribuivano grande importanza al Solstizio d’inverno il quale, col suo ritorno, segnava la nascita d’un nuovo ciclo di luce nel mondo. Pur mancando la certezza della nascita di Gesù proprio il 25 dicembre, la solennità del Natale obliterò presto e bene la festa pagana di questo solstizio, che ricorre in quei giorni, arricchendola di significati religiosi.
Dio aveva creato l’uomo a sua immagine e somiglianza: maschio e femmina. Poi li aveva benedetti così: “Siate fecondi e moltiplicatevi” (Genesi – 1. 7,28). Per l’etica cristiana la prole è il dono d’un reciproco atto sacrale d’amore e questa benedizione fu di ostacolo per sostituire Lupercalia, festa materiale pagana del 15 febbraio, con una più appropriata festa spirituale religiosa perché nella stessa data il Martirologio romano prevede la commemorazione di San Faustino, patrono di single, persone che per lo più per libera scelta vivono sole e sono poco ricettive del comando biblico.
Il problema fu risolto considerando che il giorno prima, 14 febbraio, San Valentino, era quello giusto per dedicarlo alla festa degli innamorati. Infatti, come scrive il torinese Alfredo Cattabiani in “Santi d’Italia”, il Santo, testimone d’un litigio tra due innamorati, li aveva riconciliati col dono d’una rosa, da tenere nelle loro mani in modo delicato per non pungersi e questa azione gli meritò l’attributo di patrono degli innamorati. Le spoglie di San Valentino sono venerate nella sua basilica a Terni.
Una chiesetta, dedicata a un santo omonimo, demolita con la costruzione del Borgo medievale per la Esposizione generale italiana del 1884, sorgeva a Torino nell’area, cui forse dette il nome, nota come Parco del Valentino, custode discreto di nostalgiche rimembranze svelate da una canzone popolare molto orecchiabile:
Piemontesina bella
Ricordi quelle sere
Passate al Valentino
Col biondo studentino
Che ti stringeva sul cuor?
Alle donne, per la festa degli innamorati, si mandavano un tempo “le valentine”, graziosi bigliettini tipici della tradizione anglosassone, variamente istoriati anche in modo prezioso, cui si affidavano messaggi brevi e appassionati. Si possono forse trovare solo in qualche teca museale perché è sui social, ormai, che gli innamorati si dicono pure quel che non si può scrivere, usando emoticons criptici e ammiccanti, selfie seducenti e, violando talvolta regole di buon senso, anche foto di intimerie, delle quali troppo tardi, talvolta, c’è chi si pente quando, come un boomerang, facendo molto male, ne sono colpiti di ritorno.
Anche i fiori portano messaggi. Le rose rosse donate per San Valentino parlano d’amore e di passione, ma “non c’è rosa senza spine” e le spine sanno di contrasti e litigi. Qualche spina in meno sarebbe auspicabile perché meno spine, meno baruffe, potrebbero rendere più agevole l’intesa di coppia, ma “amor senza baruffa fa la muffa”… che si può prevenire cambiando l’aria, non il partner.
Si vales, vàleo.
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