L’uomo nemico dell’uomo: un fatto immutabile?
Mai come oggi si assiste alla più totale mancanza di equilibrio e buon senso dell’attuale classe dirigente del pianeta nella sua integralità. Ovunque ci si volti, si osserva principalmente una corsa inconsulta a chi meglio riesce a contribuire all’aumento della tensione generale, buttando benzina su un fuoco che pare destinato ad assumere connotati apocalittici. Anche se per una persona di medio buon senso è difficile capirne la ragione, sembrerebbero esserci delle precise intenzioni dietro tutto questo.
Non voglio, tuttavia, entrare nel merito di quest’aspetto, in verità troppo complesso da analizzare, senza scordare il fatto che le informazioni in nostro possesso sono palesemente viziate da marcate pratiche propagandistiche, per cui è praticamente impossibile riuscire a essere obiettivi. Oltre a ciò vi sono comunque molti, probabilmente troppi, sedicenti esperti di geopolitica che già non ci lesinano le proprie strampalate verità, ragion per cui lasciamo volentieri a loro la grave incombenza di renderci costantemente edotti delle varie verità.
L’aspetto che mi preme mettere in evidenza qui è che, comunque stiano le cose, se non ci fosse un generale consenso, per lo più inconsapevole, da parte della gran parte della popolazione mondiale, nessuno di questi giochi avrebbe successo e non si creerebbe questo gigantesco stato di tensione.
La domanda che vien quindi da porsi è: «per quale ragione la maggior parte di noi va dietro a questa propaganda, accogliendola nel proprio intimo, andando a parteggiare per l’una o l’altra fazione, infervorandosi per taluni episodi di cui si rende protagonista una parte ed indignandosi per identici atti perpetrati dalla cosiddetta parte avversa?»
Potremmo altresì riformulare la domanda nel seguente modo: «perché le persone hanno bisogno di un nemico?»
Tutti noi sembriamo avere un potenziale più o meno grande di aggressività e sentiamo il bisogno di definire dei nemici nel mondo esterno.
Tuttavia le persone hanno davvero bisogno di nemici? La domanda non implica forse una visione eccessivamente pessimistica? Non è piuttosto da ritenere che l’uomo cerchi effettivamente gli amici per un profondo bisogno interiore e reagisca in modo aggressivo – quasi per necessità – solo quando viene attaccato, respinto o deluso?
Purtroppo, nulla o poco, depone a favore della tesi dell’intrinseca pacificità dell’uomo. Un riepilogo, anche sommario, delle varie forme di violenza che sono state perpetrate nel corso della storia del mondo e che si verificano tuttora, ci indica che nell’uomo è latente un potenziale di aggressività tipico della specie, che può manifestarsi in qualsiasi momento nelle giuste condizioni interne ed esterne e può avere le conseguenze più disastrose.
Non solo la guerra e ogni altro tipo di conflitto collettivo organizzato con le armi, ma anche lo sfruttamento sessuale e gli abusi fisici e psicologici nelle famiglie – e in realtà in tutte le classi sociali -, la spietatezza nel traffico stradale, la xenofobia e l’esclusione sociale delle minoranze più diverse, le risse e il bullismo tra bambini e giovani nelle scuole e durante il tempo libero oppure le rappresentazioni dell’omicidio e della brutalità in interi generi cinematografici apparentemente innocui e divertenti, così come nella letteratura triviale.
Tutte queste manifestazioni di violenza mostrano chiaramente una cosa: è evidente che tutti noi abbiamo bisogno di definire dei nemici nel mondo esterno contro i quali possiamo, presumibilmente in modo legittimo, indirizzare gli impulsi aggressivi.
Se ci chiedessimo cosa ci sia alla base di questa ricerca umana di nemici, potremmo individuare a grandi linee cinque principali motivi da considerare:
1- La tendenza a pensare in termini di bianco e nero. Già i bambini in età prescolare hanno le idee molto chiare su come debba essere un “nemico”. Soprattutto deve essere diverso da sé, diverso dall’immagine dell’uomo appena ricavata dall’ambiente familiare attraverso caratteristiche esterne, come l’abbigliamento o anomalie fisiche, come ha rivelato uno studio pubblicato nel 1989 da Petra Hesse e Debra Poklemba del Centre of Psychological Studies in the Nuclear Age di Cambridge (Massachusetts).
Tuttavia, sarebbe un errore supporre che questo modo di pensare e sentire sia un fenomeno specificamente infantile e che la divisione del mondo in bene e male venga superata con l’aumento dello sviluppo cognitivo ed emotivo. Se ci interroghiamo sulle nostre immagini di amici e nemici, così come le sperimentiamo nelle relazioni personali e nei confronti dei diversi gruppi sociali, possiamo facilmente constatare che tutti tendiamo in qualche misura a queste categorizzazioni.
La confusa diversità del mondo che ci circonda viene così ridotta alla dimensione facilmente gestibile di amico e nemico, che ci libera dall’incertezza e ci solleva dalla responsabilità di fare le nostre concrete esperienze personali e quindi di prendere decisioni differenziate e individuali.
Chi pensa in bianco e nero crede di sapere da lontano che, ad esempio, gli stranieri, gli omosessuali o chi la pensa in modo diverso da lui sono nemici.
2- La ricerca di capri espiatori. Nella vita sociale, fin da bambini ci troviamo spesso di fronte a persone più forti contro le quali non osiamo ribellarci: inizialmente con genitori e insegnanti, in seguito con superiori o supposte autorità. Immagazziniamo così un alto grado di aggressività, che rimane repressa. Per poterle poi dare spazio senza rischi, istintivamente andiamo a cercare qualcuno più debole che debba espiare la repressione subita.
Quando si usa la violenza contro chi corrisponde alla propria immagine del nemico si applicano sempre le stesse leggi, si utilizzano sempre gli stessi meccanismi per apprendere i comportamenti distruttivi e si ritrovano sempre le stesse cause alla base della violenza: soprattutto ferite e rancori multipli, sentimenti di impotenza e paura, che vanno nascosti e allontanati attraverso comportamenti particolarmente spietati e brutali nei confronti delle persone più deboli.
È sconcertante che, a causa delle influenze sociali, anche bambini, giovani e adulti che non sono in primo luogo violenti e non provano piacere nella distruzione e nell’annientamento degli altri, possano diventare in breve tempo autori di violenza – e alla fine persino vantarsi delle loro presunte gesta eroiche.
Questo sviluppo è favorito quando l’ambiente (includendo i media d’informazione e intrattenimento) diffonde, direttamente o indirettamente, il concetto che la violenza diretta contro certe persone o gruppi è giustificata. La coscienza non solleva più obiezioni, anche in caso di atrocità estreme, perché l’aggressore si crede il protettore o il salvatore della società.
Troviamo questo tipo di atteggiamento in tutte le forme di estremismo, indipendentemente dal fatto che si presenti come “di destra” o “di sinistra”, che si tratti di tendenze fondamentaliste in comunità religiose o altri gruppi ideologici. Vengono sempre definiti dei capri espiatori contro i quali viene diretta l’aggressività altrimenti repressa (vedi come esempio di ciò gli attuali avvenimenti nella striscia di Gaza).
3- La necessità di concretizzare pericoli altrimenti intangibili. Ci sono molte crisi e cambiamenti che non possono essere gestiti dagli individui, dalle istituzioni governative o anche dalla comunità internazionale. Attualmente, ad esempio, la recessione economica e la disoccupazione sistemica in Europa, la rottura dei precedenti blocchi di potere politico con le loro immagini chiare di amici e nemici che trasmettevano un certo senso di sicurezza, il pericolo incipiente di un terzo conflitto planetario, ma anche la perdita di impegni ideologici, la dissoluzione delle strutture familiari tradizionali e la pandemia di recente memoria, con la sua dissennata gestione da parte delle autorità. È per questo che tutti noi sperimentiamo una grande incertezza e impotenza, anche nei casi in cui non siamo immediatamente o direttamente coinvolti.
In questa situazione di sconvolgimento, i giovani, che in genere sono particolarmente sensibili ai processi sociali, si trovano di fronte a una confusa pletora di norme contraddittorie. Non possono più aspettarsi facilmente di ottenere un apprendistato o un lavoro, per non parlare della possibilità di trovare un’occupazione veramente soddisfacente e significativa. Non possono nemmeno sperare di poter intrattenere una relazione sentimentale stabile o crearsi una famiglia. E nel loro futuro, sperimentano la minaccia di un danno ambientale senza speranza e di disastri tecnologici su larga scala, regalo disinteressato della generazione che li ha preceduti e che fatica a farsi da parte, come invece sarebbe opportuno che facesse senza ulteriori indugi.
Tutto questo risveglia sentimenti che tutti noi cerchiamo in gran parte di reprimere, nella convinzione, seppur discutibile, che questo sia l’unico modo per salvare il nostro equilibrio mentale in un mondo caotico. In una situazione del genere, è facile sentire il bisogno di legare le nostre paure, che spesso sono inconsapevoli e difficili da individuare, a qualcosa di concreto, ad esempio definendo i nemici che riteniamo colpevoli.
Questa strategia solleva l’individuo nella misura in cui può finalmente dirigere la sua disperazione, la sua mancanza di speranza e la sua rabbia verso un bersaglio chiaramente definito e quindi alleggerirsi emotivamente. È un meccanismo psicologico ben noto, in situazioni di sofferenza impotente per una paura insopportabile, quello di allontanare i sentimenti opprimenti d’impotenza trasformandoli in aggressività agìta – e questo richiede un nemico, che è sempre facile da trovare.
4- La tendenza a proiettare sugli altri gli istinti che si rifiutano in se stessi. Anche la proiezione non è un processo psicologico insolito, ma normale, che tutti noi utilizziamo più o meno frequentemente. La persona che proietta percepisce negli altri desideri, sentimenti, caratteristiche e atteggiamenti di cui non è consapevole in se stesso e che pertanto rifiuta. Questi giudizi su presunti nemici, che fondamentalmente non possono essere giustificati da alcun fatto oggettivo, sono tipicamente sostenuti con grande convinzione soggettiva e generalmente non si accetta che vengano messi in discussione.
Il vantaggio psicologico di tale proiezione risiede nel fatto che, in questo modo, possiamo liberarci dei nostri impulsi imbarazzanti e allo stesso tempo essere in grado di viverli negli altri. Sentimenti spiacevoli come la nostra impulsività e aggressività vengono quindi proiettati in concetti quali, ad esempio: “i richiedenti asilo sono potenziali ladri e stupratori” o “gli stranieri sono pericolosi e violenti”, ecc.
Questo spiega anche il fatto, altrimenti difficile da capire, che l’individuo in questione prova paura e avversione nei confronti della persona su cui proietta i suoi impulsi come un nemico, in quanto è esattamente questo “nemico” che gli fa da specchio, mettendogli perentoriamente davanti al naso gli aspetti che egli non vuole riconoscere e accettare di se stesso.
Con questo atteggiamento, colui che proietta persegue sostanzialmente due obiettivi: da un lato, vuole sperimentare, almeno di riflesso, gl’impulsi che egli stesso rifiuta di riconoscere in se stesso; dall’altro, vuole controllare il nemico su cui sta proiettando qualcosa, anche se con l’erroneo presupposto che il temuto irrompere dei propri impulsi spiacevoli possa essere evitato monitorando l’altra persona, limitando la sua libertà o addirittura distruggendola.
5- Sollievo dai sensi di colpa. A prima vista può sembrare paradossale ipotizzare che i sensi di colpa siano alla base della necessità di trovare nemici nel mondo esterno. Tuttavia, una simile costellazione psicodinamica diventa plausibile quando ci rendiamo conto che le persone provenienti dai paesi del Terzo Mondo, ad esempio, la cui esistenza è a rischio, alla fine ci fanno da specchio per le nostre malefatte e diventano così uno scandalo per noi.
Giustamente viviamo le vessazioni e la miseria nei loro paesi d’origine come un rimprovero – dopo tutto, sono i nostri paesi industrializzati ad aver contribuito in modo significativo alla miseria economica e politica dei Paesi in via di sviluppo eppure i nostri governi, eletti da noi, non scordiamocelo, in funzione dei propri interessi economici e strategici, continuano a sostenere e asservire, con il nostro consenso generale, regimi corrotti che esercitano coercizione e violenza sulle popolazioni locali.
Alla luce di questa situazione, che scatena in noi rimorsi profondi, è necessario liberarsi letteralmente dei rappresentanti fisici di questa accusa. Un approccio efficace è quello di costruire un’immagine di “nemico” contro questi stranieri, sempre nella vana speranza che questo risolva il conflitto interiore e metta finalmente a tacere i sensi di colpa.
L’uomo nemico dell’uomo: un fatto immutabile?
Homo homini lupus”, l’uomo è un lupo per l’uomo, sosteneva il commediografo romano Plauto (254-184 a.C. circa) nella sua commedia “Asinara”. Alla domanda se questo detto spesso citato sia vero, si potrebbe rispondere al contempo, sia con un sì, che con un no.
Il paradosso che esprime si potrebbe spiegare con il fatto che, da un lato, noi esseri umani abbiamo un potenziale di aggressività che dobbiamo aspettarci di superare un giorno o l’altro. Le molteplici manifestazioni di violenza che possiamo percepire nel nostro ambiente personale e nelle grandi dimensioni politiche globali testimoniano in modo spaventoso questa caratteristica, che fa parte della natura umana.
D’altra parte, non siamo del tutto impotenti di fronte a queste forze che agiscono dal profondo della nostra personalità e non possiamo – e neppure dobbiamo – restare inerti di fronte alle varie espressioni di violenza, come quella crescente che stiamo di questi tempi sperimentando.
Non saremo certo in grado di creare un mondo privo d’aggressività, per lo meno non in termini immediati, ma abbiamo modi per prevenire gli sviluppi distruttivi e contrastare le espressioni di brutalità laddove è necessario, per salvare ciò che è umano nel nostro mondo.
In questo contesto non è inopportuno sottolineare il fatto che il problema della violenza non può, certamente, essere risolto solo dalla psicologia, anche se le basi psicologiche sono molto importanti. Ci sono indubbiamente anche gravi problemi politici, sociali ed economici.
Occorrerebbe, tuttavia, essere almeno un po’ onesti con noi stessi e ammettere che, oltre a tutti i problemi fattuali, molte reazioni emotive non riflesse giocano un ruolo importante in questo argomento e che il nostro atteggiamento è spesso determinato da proiezioni e altri meccanismi inconsci.
Cosa possiamo fare, dunque?
Ascoltando noi stessi, riconoscendo le nostre immagini nemiche, le nostre tendenze all’esclusione e alla discriminazione potremo incamminarci sulla strada del salto evolutivo della coscienza.
Ciò significa, anche, che occorre prendere consapevolezza di tutte le strategie che utilizziamo intimamente per contrastare la percezione della nostra ombra oltre a discernere altresì gli elementi di propaganda fuorviante e d’influenza provenienti dall’esterno.
Solo facendo ogni possibile sforzo per tornare a pensare con la nostra testa nella maniera più indipendente possibile, scevra da condizionamenti esterni, potremo considerare di poter intraprendere finalmente la via di una reale svolta.
Potremmo riassumere, per sommi capi, le nostre possibilità nelle cinque tesi seguenti:
1- Prendere sul serio i segnali di violenza – in altre parole, riconoscere come elementi allarmanti le molte avvisaglie di aggressività e di volontà di agire in modo bellicoso che possiamo scoprire, in primo luogo, sia in noi stressi, che successivamente nella sfera politica e sociale, nel nostro ambiente immediato e in quello più ampio.
2- Adottare un atteggiamento critico nei confronti dell’autorità – in altre parole, non farsi guidare ciecamente dalle autorità nel nostro ambiente personale o politico e sviluppare il coraggio di nuotare controcorrente nelle situazioni critiche. Occorre attingere al nostro sistema di norme e valori per esaminare i nostri pensieri e le nostre azioni, sotto la nostra responsabilità.
3- Prendere sul serio i risultati della ricerca e trarne le dovute conclusioni. La ricchezza delle scoperte sul tema della violenza non deve essere discussa solo all’interno della disciplina specifica, ma occorre che sia divulgata e condivisa con un pubblico più ampio. Le varie discipline delle scienze umane e delle neuroscienze possono dare contributi molto significativi all’analisi delle cause e delle manifestazioni della violenza.
4- L’educazione come protezione contro la violenza, rafforzando l’autostima dei bambini, le loro aspirazioni all’autonomia e il loro senso di responsabilità fin dalla più tenera età, in famiglia e nel contesto della formazione continua fuori casa, educandoli alla libertà e all’onestà intellettuale e fornendo loro, attraverso il nostro comportamento di adulti, esempi di modelli da cui possano imparare ad agire in modo costruttivo e a trattare gli altri con autentica tolleranza e rispetto per la dignità altrui. Da questo dipende il fatto se nei bambini si accumula un grande potenziale di aggressività, che poi si scarica in modo distruttivo oppure se riescono a incanalare le loro dinamiche aggressive in canali costruttivi.
5- Rispettare la dignità umana degli altri, poiché molti atti di violenza nella vita personale di tutti i giorni e nel contesto geopolitico globale sarebbero impensabili se i presunti nemici non fossero disumanizzati e percepiti come un gioco facile dall’aggressore. Nessuno ha il diritto di giudicare il valore o l’indegnità di un’altra persona.
Giunti a questo punto, appare chiaro come una vita in assenza di violenza non sia un appannaggio automatico, ma vada costruita passo a passo, con un’intenzione e un’attenzione costante.
«Considerate la vostra semenza: fatti non foste per viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza.»
recitava il sommo Vate (Inferno, XXVI, 118-120), a monito del fatto che la natura umana è di qualità ben superiore al mero aspetto espressivo animale-biologico ed è precisa responsabilità di ogni essere umano perseguire con ogni possibile sforzo e senza cedimenti il conseguimento di quelle caratteristiche che precisamente connotano un essere umano, affinché egli possa essere realmente definito tale.
Un primo passo in questa direzione potrebbe proprio essere smetterla, una volta per tutte, di crearsi arbitrariamente un “nemico”.
luca rosso
Non hai parlato dei violenti che sono pagati e addestrati (forse anche cresciuti fin dall’infanzia) per esserlo (credo to lo abbia fatto volutamente) come a Pisa con gli studenti o a Genova durante G8.
O anche a Parigi durante la rivoluzione (vedi giacobini).
Molto bello e completo il tuo articolo…