Un racconto di Roberto D’Amico
Borgo Po è una delle zone di Torino più ricche di storie, suggestioni, illazioni, ricerche più o meno attendibili riguardanti la presenza di presunte simbologie esoteriche e massoniche e sono molti i curiosi e appassionati di misteri che si aggirano per le sue strade… e non solo per scoprire i presunti messaggi segreti celati nella Chiesa della Gran Madre di Dio.
Divenuto quartiere residenziale di prestigio, le origini recenti di questo quartiere lo fanno risalire ad un modestissimo borgo di pescatori e lavandaie che per vivere dipendevano dalle acque del fiume. Le stesse acque avevano, però, reso quella zona un Centro Sacro sin dall’epoca più antica. La vicinanza con il grande fiume l’ha associata al mito della fondazione di Torino da parte degli Egizi e alla presenza di un tempio dedicato ad Iside. Sacralità confermata anche dal fatto che sul Monte dei Cappuccini i romani costruirono un piccolo tempio dedicato a Giove, probabilmente su un preesistente luogo di culto celtico o preceltico, e che nel XIII secolo vi si installarono persino i Templari.
Se è vero che sin dall’epoca romana fu zona al di fuori delle mura, è altrettanto vero che essa fu sempre un punto strategico di accesso per le strade che giungevano da Genova e Piacenza. Per arrivare alla Porta Fibellona, ora Piazza Castello, fino al 1400 l’attraversamento del Po avveniva attraverso un rudimentale ponte di legno oppure con un traghetto a pedaggio. Poi, nel 1405 fu costruito il primo ponte di pietra, abbattuto e sostituito solo quattrocento anni più tardi dal ponte napoleonico ancora in utilizzo oggi.
A partire dalla prima metà dell’800, con la fine di Napoleone e il ritorno del regno Sabaudo, il borgo ebbe una veloce espansione economica che incluse la nascita di numerose attività commerciali e benefiche e la costruzione della sontuosa Chiesa della Gran Madre di Dio, in stile Pantheon di Roma. Nei decenni che seguirono un nuovo impianto urbanistico trasformò completamente la fisionomia del quartiere e molte piccole abitazioni residenziali private in stile Liberty gli diedero l’elegante e signorile aspetto attuale.
È su cinque di queste palazzine, tra Via Segurana, Via Lanfranchi e via Mancini, che si possono notare dei curiosi bassorilievi, identici tra loro, raffiguranti un veliero.
Data la peculiarità dell’area… gli appassionati di esoterismo ci si sono gettati a capofitto e li hanno immediatamente paragonati alla scultura del veliero della parigina “Fontana del Vertbois”, che un riconosciuto, ma di identità ignota, grande alchimista operativo di inizio ‘900, Fulcanelli, aveva inserito nel suo libro “Le Dimore Filosofali”,
Quel veliero, secondo lui, raffigura la nave degli Argonauti e il grosso masso legato visibile sotto la vela centrale, sarebbe stato la Pietra Filosofale. Dunque, nel suo insieme la figura rappresenterebbe niente meno che l’Opera Alchemica.
Fulcanelli scrisse: “Certo potremmo mettere in dubbio la giustezza della nostra osservazione, e là dove riconosciamo una pietra enorme, agganciata al bastimento con il quale fa corpo, non notare che un ordinario fagotto di qualunque mercanzia”. Poi però prosegue, per ribadire la sua interpretazione: “… il vascello, visto da dietro, sembra allontanarsi dall’osservatore e mostra che il suo spostamento è assicurato dalla vela di mezzana, ad esclusione delle altre… Ora, i cabalisti scrivono mezzana (artimon) e pronunciano “antémon” o ”antimon”, vocabolo dietro cui essi nascondono il nome del soggetto dei saggi”.
Non è possibile, ovviamente, confutare l’interpretazione di un sì dotto studioso, ma non possiamo non notare, anche da una rapida e superficiale osservazione, che risulta evidente quanto le raffigurazioni dei velieri di Torino e quello parigino siano molto diverse tra loro.
Il veliero di Borgo Po naviga verso l’osservatore in un mare tempestoso, ha una sola grande vela che garrisce sciolta al vento e sembra guidato e protetto da una donna con ali e braccia aperte. Si direbbe, anzi, che sia proprio questa imponente figura in primo piano il principale soggetto dell’opera. Essa non è parte della nave, la precede ed il modo in cui è rappresentata e le sue dimensioni, con le enormi ali dispiegate quasi a contenere l’intero vascello, indicano che non si tratta di una polena, come potrebbe sembrare ad un primo sguardo. In essa possiamo riconoscere la Nike greca, poi divenuta la romana Dea della Vittoria e dunque l’immagine scolpita, nel suo insieme, sembrerebbe indicare il veliero come simbolo di avventura, libertà, scoperta e, metaforicamente, la forza del mare e suo il navigare attraverso le onde procellose raffigurerebbero la capacità dell’uomo di saper superare e vincere gli ostacoli e le sfide della vita.
Per altro, l’autore di tali bassorilievi è noto e la sua storia di successo sembrerebbe essere ben rappresentata dalla “firma” che egli lasciò sulle sue opere.
Ci dispiace deludere gli appassionati ma, per quanto affascinante, l’interpretazione esoterica sembra essere ben lontana dalla realtà. Eccone la vera storia.
Negli anni tra fine Ottocento e inizio Novecento, periodo in cui si realizzò lo sviluppo definitivo di Borgo Po, secondo un’antica e curiosa usanza, il Municipio di Torino, quando decideva di urbanizzare una nuova zona, appaltava i terreni tra gli aspiranti costruttori in base al “tiro di una pietra”; più il sasso veniva gettato lontano, più terreni si aggiudicava il lanciatore, impegnandosi ovviamente a costruirvi delle case. Così, si racconta che i concorrenti in lizza erano soliti esercitarsi nel tempo libero lanciando pietre nel Po.
Uno di loro, Enrico Navone, futuro Commendatore del Regno all’epoca un semplice muratore, era particolarmente bravo in questo esercizio e si dice che, nei pressi di corso San Maurizio, riuscisse spesso ad effettuare lanci che superavano il fiume da una sponda all’altra; tra l’altro, era pure noto per essere un nuotatore espertissimo e per aver compiuto diversi salvataggi di poveri malcapitati tuffandosi dal ponte della Gran Madre.
Grazie alla sua abilità di lanciatore, il Navone si aggiudicò così molti appalti e costruì diverse case nella zona dietro la Gran Madre. Fu soprannominato “il Navigatore”, perché firmava le sue costruzioni con l’effige di quel veliero, forse per commemorare il suo cognome oppure per rappresentare simbolicamente che, come aveva fatto lui, grazie al lavoro e alla tenacia si possono superare le difficoltà della vita e raggiungere grandi risultati.
Ecco dunque svelato l’enigma di quei velieri…
Resta comunque il fatto che andarli a cercare e scoprirli, soprattutto di sera in un’atmosfera fatata alla luce dei lampioni, della luna e delle stelle e del sovrastante Monte dei Cappuccini, genera una forte suggestione. In fondo, si tratta pur sempre di una piccola fetta della storia poco nota della nostra città e poi… nulla vieta di pensare che magari il Navone volle suggellare le sue opere con quei velieri celandovi qualche altro significato rimasto noto solo a lui…