
Di Alessandro Mella
La Prima Guerra Mondiale fu, per l’Italia, particolarmente traumatica poiché divenne, de facto, il primo vero conflitto di popolo.
Ad essere coinvolti nello scontro non furono poche migliaia di soldati come nell’Ottocento, ma decine di migliaia con armate che toccarono numeri incredibili e con una intera generazione al fronte. E poi figli che andarono a dare il cambio ai padri in trincea e cinquecentomila tra morti e feriti.
Un prezzo altissimo che fu pagato con un contributo di popolo tale da toccare tutte le città, i paesi, i borghi e perfino le borgate del nostro paese.
Fatalmente, dunque, negli anni che seguirono il conflitto la maggior parte delle comunità italiane vollero rendere omaggio ai propri caduti affinché la loro memoria non andasse perduta. In pochi anni, dunque, il nostro paese si riempì di monumenti spesso di grande valore artistico.
Anche la città di Rivoli Torinese non fu da meno e nel 1920 ottenne dall’artista Carlo Emilio Musso la propria statua.
L’immagine del militare italiano è leggermente diversa da quella consueta. Il nostro calza il caratteristico elmo adrian, questo si elemento comune e distintivo, ma invece dell’ordinaria divisa modello 1909 grigioverde eccolo indossare un pesante pastrano a memoria dell’impegno sulle montagne del nordest.
Al bavero la sciarpa, alle mani nei pesanti guanti contro il gelo ed a maggior tutela i pesanti stivali in uso per le sentinelle notturne. Anche questo elemento inconsueto poiché, quasi sempre, venivano privilegiati scarponcini e fasce mollettiere anche nell’opere rappresentative.
In vita le giberne ed al fianco il consueto fucile modello 1891 in uso per le truppe del Regio Esercito Italiano.
Il basamento marmoreo è decorato con lo stemma del comune in bronzo ed intorno vi corrono i nomi dei caduti cui furono poi aggiunti quelli della guerra 1940-1943 e quelli della Resistenza.
Tutto l’insieme, di grande armonia, è circondato da una recinzione in metallo che preserva il sito da usi impropri così da impedire che diventi bivacco per facinorosi o per superficiali avventori.
La particolarità di quest’opera, comunque, si ritrova proprio nella sua immagine poiché non vediamo il classico fante, orgoglioso e fiero, nell’uniforme ordinaria ma qui scorgiamo una sentinella nel gelo, nel freddo delle notti montane al fronte, guardia intenta con gli occhi vivi a scorgere il pericolo a tutela dei suoi commilitoni.
C’è, in questo, qualcosa di commovente perché ci ricorda i sacrifici, la solitudine, la melanconia e la nostalgia che tanti soldati più o meno eroici provarono in quei frangenti terribili.
Una visione forse meno retorica e più vera della guerra in linea, di quegli anni lontani e terribili.
Alessandro Mella
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