Per lunghi anni alla guida delle Suore di S. Anna fondate dai Marchesi di Barolo
Caterina Dominici nasce il 10 ottobre 1829 a Carmagnola (nel Borgo Salsasio), quartogenita di una semplice famiglia contadina. A quattro anni i suoi genitori si separano, del papà non si saprà più nulla, una pena che Caterina porterà per sempre nel cuore. Forse per questo motivo per tutta la vita penserà: “Dio è Babbo buono, sa tutto, può tutto e mi ama”, e Dio prende il posto del padre perduto.
Madre e figli vanno a vivere con lo zio sacerdote, don Andrea, nel Borgo San Bernardo, un’altra frazione di Carmagnola, insieme al nonno e ad una zia.
Nella prossimità di casa, scuola e chiesa, Caterina forma il suo carattere, che si improntato di una profonda religiosità. Ha una passione per i fiori e, insieme al fratello, che diventerò sacerdote somasco, gioca ad allestire piccoli altari; oltre alla Comunione, si confessa ogni settimana.
Nella canonica in cui vive non mancano i libri religiosi, fra i quali predilige le vite dei santi. Elegge quale sua patrona S. Caterina da Siena, con il desiderio di “essere monaca ad ogni costo”. Di nascosto, si sottopone ad una sorta di noviziato, ma esagera con le penitenze fino a mettere in pericolo la sua salute. Quando manifesta il desiderio di diventare religiosa lo zio sacerdote si oppone; la mamma, sebbene non contraria, avverte la paura di rimanere sola; ci vorranno cinque anni per vedere avverarsi il suo desiderio.
Caterina fa parte della Compagnia delle Umiliate, che ha il compito di accompagnare i morti durante la sepoltura. Un giorno, vincendo la sua naturale timidezza, trasporta sulle sue spalle una bara. A quindici anni inizia ad insegnare catechismo ai bambini del borgo, dove è considerata “l’angelo del paese”.
Leggiamo nell’autobiografia: «In chiesa mi fermavo alcune volte, specialmente nei giorni festivi, anche quattro o cinque ore di seguito… Il tempo davanti a Gesù sacramentato mi passava come un lampo. Avrei voluto starvi sempre se altri doveri non mi avessero chiamata altrove».
Come spesso accade alle anime privilegiate, iniziano per lei le prove spirituali: “a poco a poco Dio mi tolse tutti i suoi doni, e io rimasi arida, fredda, insensibile. Un tal combattimento dolorosissimo per l’umanità non recò pregiudizio al mio spirito, e con la grazia di Dio proseguii in tutti i consueti esercizi e pratiche di pietà, benché più non vi sentissi il trasporto di prima”.
Nel 1848 la famiglia si trasferisce, seguendo lo zio don Andrea, a Carmagnola capoluogo. Nel novembre 1850 ottiene il permesso di farsi religiosa, non di clausura come lei desiderava, ma tra le Suore di S. Anna. La ragazza di paese è ricevuta nel Palazzo Barolo di Torino dalla Fondatrice, la Marchesa Giulia Colbert, che intuisce la grandezza di quell’anima e suggerisce che prenda il nome della nipote preferita: Caterina diventa così Suor Maria Enrica.
L’Istituto di Sant’Anna era stato fondato nel 1834 dal Marchese Tancredi di Barolo, marito di Giulia, fra una moltitudine di opere di beneficenza a favore dei poveri, con la missione di educare ed istruire i ragazzi; la Casa Madre sorge a pochi passi dal Santuario della Consolata. Tra i primi collaboratori delle suore c’è Silvio Pellico, bibliotecario e segretario dei Marchesi di Barolo (1).
Suor Enrichetta, superato il noviziato, emette la professione nella festa di Sant’Anna del 1853.
L’anno dopo la troviamo a Castelfidardo, presso una Casa nata qualche anno prima, in cui il clima non è sereno; nonostante venga accolta dalle consorelle come “una spia”, Enrichetta riesce, in poco tempo, a farsi amare. Un anno dopo il suo arrivo in città scoppia un’epidemia di colera e le suore si offrono di curare i malati e Suor Enrichetta tocca con mano la miseria umana davanti alla morte e alla sofferenza. Per tre mesi la sua dedizione è straordinaria, il suo esempio rimarrà vivo a lungo nel ricordo della popolazione. Cessata l’emergenza, diventa maestra delle novizie. Al direttore spirituale, un gesuita, manifesta i suoi momenti di aridità di spirito e il desiderio di andare in missione in India, per portare il messaggio d’amore di Cristo. Per prepararsi, ottiene il permesso di privarsi “delle cose non assolutamente necessarie”. Del suo periodo marchigiano, un giorno memorabile è il 17 maggio 1857, quando incontra in udienza, con altre religiose, Papa Pio IX in visita a Loreto; alla stessa udienza è presente S. Maddalena Sofia Barat (2).
Nel 1858 rientra a Torino, anche qui è maestra delle novizie, in un momento in cui è fortissimo il dissidio tra la Fondatrice e la prima Superiora della Congregazione. Dopo l’intervento della Santa Sede, a succederle, nel luglio 1861, a soli trentadue anni, è designata Suor Enrichetta: un grosso peso ricade sulle sue spalle e lei, sentendosi inadeguata, prima di accettare si consulta con il Canonico Anglesio, successore del Cottolengo alla guida della “Piccola Casa della Divina Provvidenza”, che la invita ad accettare la volontà di Dio. La fondatrice, che si trova a Lione, saputa la notizia fa illuminare a festa il santuario della Madonna di Fourvière. Nei successivi quattro anni Madre Enrichetta deve convivere con la ex Superiora destituita: saranno necessarie tutta la sua prudenza e la sua carità perché quest’ultima non lasci l’istituto, creando un imbarazzo inusitato.
Madre Enrichetta rimane al timone della Congregazione fino alla morte, per trentatré anni, portandola ad un grande sviluppo: fonda una trentina di case, raggiungendo Roma e la Sicilia e ad ogni scadenza di mandato viene confermata.
Realizza il suo sogno giovanile di andare in missione con l’invio delle suore di S. Anna: a febbraio 1871 partono in sei, “le sue beniamine”, che la Madre affida alla SS. Trinità, a cui è molto devota. Si apre una strada che porterà grandi frutti. Nell’ottobre 1879 si reca di persona in India, a Secunderabad, per visitare la prima Casa missionaria dell’Istituto.
Il 14 luglio 1884 viene ricevuta in udienza da Papa Leone XIII.
Madre Enrichetta è consigliera di S. Giovanni Bosco nell’istituzione della Regola delle Figlie di Maria Ausiliatrice, “prestando” anche due suore alla nuova Congregazione.
Affabile e gentile, è al contempo riservata e di poche parole. Medita a lungo davanti al tabernacolo e ottiene il permesso dalla S. Sede di fare la comunione quotidiana.
Nel leggere i suoi scritti, l’autobiografia e il copioso epistolario, si percepisce il totale abbandono in Dio. Madre Enrichetta è una figura mistica, sebbene si trovi a capo di una Congregazione di vita attiva. Scrive: «Oh quanto vive felice l’anima che vive totalmente abbandonata in Dio. Oh se tutti conoscessero questa felicità»; «Oh! Felici momenti in cui pare, a modo di esprimermi, che il buon Dio quasi dimentico dell’altezza della sua divinità si abbassa a questa vil creatura, l’unisce a sé e la rende una stessa cosa con Lui! Mio Dio chi potrà mai comprendere sì cara, sì dolce, sì preziosa trasformazione? Questo è un mistero dell’amore e della bontà vostra divina! Bontà, bontà infinita del mio Dio, quando mai giungerò a comprendere la tua immensità!»; «La mia preghiera è silenzio, è sguardo dell’intelletto in Dio ove la sua bontà fa sì ch’io nulla vedendo vedo, nulla sentendo, intendo e conosco le cose con una sicurtà tale che non mi rimane più alcun dubbio sul da farsi…il Babbo mi diede uno sguardo di bontà inesplicabile».
A stroncare nel corpo quell’anima votata a Dio arriva un carcinoma al seno, manifestatosi in seguito ad un forte colpo al petto subìto durante una mareggiata, su un battello che da Messina la porta a Napoli; tiene nascosta la malattia per pudore e la manifesta alle consorelle quando ormai il male è incurabile. Da fine novembre 1893 non può più alzarsi dal letto; nonostante i forti dolori, continua a guidare l’Istituto, con le Devozioni previste dalla Regola. Si recano al suo capezzale Maria Clotilde di Savoia e l’Arcivescovo Ricardi di Netro che, uscendo dalla camera della beata, esclama: «Quale aria di paradiso!». Il medico che la cura afferma: «La vostra madre da lunghi anni è preparata a morire. Sono sessant’anni che vedo e curo infermità strazianti e penosissime, e confesso che non ho mai trovato un’anima più quieta e rassegnata di Madre M. Enrica».
Trascorre gli ultimi giorni nell’assopimento e, nel momento del trapasso, apre gli occhi e sorride alle suore che l’attorniano in lacrime, mormora con un filo di voce: «Umiltà! Umiltà!». Muore il 21 febbraio 1894.
Nel 1926 le sue spoglie mortali vengono traslate nella cappella della Casa Madre. Papa Paolo VI, il 7 maggio 1978, la beatifica. Ci sono attualmente Case di Sant’Anna in Italia, Svizzera, Camerun, Argentina, Perù, Filippine, Messico, Brasile, Usa. In India le case sono ottanta, più che in Italia, in quanto lì sono nate, col medesimo carisma, anche Congregazioni locali.
Note
1.Silvio Pellico era solito recarsi a pregare in un ambiente della Consolata, oggi denominato “Coretto di Silvio Pellico”, contrassegnato da una lapide voluta dall’Unione del Coraggio Cattolico: https://www.civico20news.it/sito/articolo.php?id=50174
2.Maddalena Sofia Barat (Joigny, 12 dicembre 1779 – Parigi, 25 maggio 1865) è stata la religiosa e Fondatrice della Società del Sacro Cuore di Gesù; nel 1925 è stata proclamata santa da Papa Pio XI.
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