Forse anche tra i censori ecclesiastici vigeva la regola dei “due pesi due misure”
Accanto alle opere ritenute dichiaratamente eretiche, in primis quelle scritte dai riformatori, a essere oggetto di censura furono quelle oscene e poi tutto quell’ampio corpus costituito dai trattati di magia e di alchimia.
Evidentemente, per gli inquisitori non mancavano i motivi di preoccupazione, non solo sul piano eminentemente dottrinale e teologico, ma anche su quello meno filosofico dell’oscenità. Opere come i Ragionamenti di Pietro Aretino (1492-1556) o La puttana errante di Lorenzo Venier (1510-1550), evidentemente rappresentavano espressioni della libertà di pensiero che non potevano essere tollerate agli occhi dei censori cattolici.
Ma non scamparono alla scure dell’Indice Dante Alighieri (1256-1321) per il De monarchia (1310/13), Francesco Petrarca (1304-1374) per Il Canzoniere, Niccolò Machiavelli (1469-1527), François Rabelais (1494-1553) e tanti altri.
In una lettera del 27 giugno 1557, il cardinale Michele Ghisleri scriveva all’inquisitore di Genova di proibire l’Orlando innamorato di Matteo Maria Boiardo (1441-1494), l’Orlando furioso di Ludovico Ariosto (1474-1533), l’Orlandino furioso di Teofilo Folengo (1491-1544) e naturalmente il Decamerone di Giovanni Boccaccio (1313-1375) “et simili altri libri più presto daressimo da ridere ch’altrimente, perché simili libri non si leggono come cose alle qual si habbi da credere, ma come fabule, et come si leggono ancor molti libri de gentili come Luciano, Lucretio et altri simili; nondimeno se ne parla a la congregatione de theologi, e poi a sua santità e alli reverendissimi”.
Madrigali “dishonesti e lascivi”, accanto a opere di spessore filosofico ma in contrasto con i principi teologici e morali difesi dai giudici dell’Indice, erano pertanto ritenuti dannosi per l’ortodossia e via via si accatastavano negli elenchi diffusi presso le diocesi, dove avrebbero dovuto essere effettuate le procedure necessarie all’eliminazione o all’espurgazione dei libri censurati.
Le espurgazioni delle opere dovevano essere indiate da apposite commissioni di cui l’Indice riconosceva l’autonomia e soprattutto l’aderenza ai principi cattolici: pagine e passi da emendare dopo essere stati approvati dall’autorità, erano fisicamente effettuati, con tutte le problematiche determinate da un lavoro del genere.
Verso la fine del XVI secolo si registrò un’“apertura” i giudici dell’Indice consentirono la possibilità di effettuare – da parte degli autori dei libri censurati – eventuali integrazioni, che permettessero così di ridurre gli effetti, quantomeno sul piano dell’esposizione, delle cancellazioni imposte.
I cattolici d’Oltralpe non furono sempre osservanti delle imposizioni romane, scaturite soprattutto dalla lotta della Chiesa contro la modernità. Per esempio, quando la Critica della ragion pura di Immanuel Kant (1724-1804) fu tradotta in italiano (1827) fu subito posta all’Indice.
Al centro di un processo per molti aspetti paradossale, fu quello a cui fu sottoposto il romanzo abolizionista La capanna dello Zio Tom di Harriet Elizabeth Beecher Stowe (1811-1896), scrittrice di fede metodista. Il libro fu risparmiato dalla censura solo dopo un iter giudiziario piuttosto travagliato.
Pio XII (1939-1958) privò i giudici dell’Indice dell’autorità di comminare pene agli autori di opere censurate, trasferendo questo potere ai tribunali civili, qualora in esse vi fossero espressioni perseguibili in tali sedi.
Bisognerà attendere ancora una ventina di anni prima di giungere a una svolta: il 25 marzo 1917, con il motu proprio Alloquentes proxime, Benedetto XV soppresse la Congregazione dell’Indice, rimettendo i suoi compiti al Sant’Uffizio, che da quel momento ebbe un apposito ramo, il De censura librorum, con funzione di controllo, caratterizzata però da minore autorità dell’Indice dei secoli procedenti. Oggi è privo di valore giuridico, ma nelle sue versioni succedutesi nel tempo, costituisce senza dubbio un’importante testimonianza storica. E in fondo non potrebbe essere altrimenti in questo nostro mondo in cui la parola scritta non è più l’unico mezzo per la diffusione delle idee.
Ricordiamo che furono moltissimi gli scrittori inseriti nell’Indice del libri proibiti: da Giordano Bruno a Galilei, da Montaigne a Montesquieu, da Cartesio a Defoe, da Stendhal a Hugo, da Alfieri a Fosclo, da Leopardi a Moravia, da Fogazzaro a Malaparte. Tra gli autori recidivi un posto d’onore spetta a Gabriele d’Annunzio: dal 1911 quando fu rappresentato il suo Il martirio di san Sebastiano fino a Solus ad solam, fu processato quattro volte.
Sfuggirono alla censura ecclesiastica Marx, Lenin, Hitler e Stalin ma vi finì Giovanni Gentile; l’ultimo messo all’Indice (1961) fu la Vita di Gesù di Jean Steinmann. Sorprendentemente alcuni autori come appunto Marx, ma anche Darwin, le cui idee furono condannate dalla Chiesa cattolica, non vennero sfiorate dalle direttive dei giudici.
Forse anche tra i censori ecclesiastici vigeva la regola dei “due pesi due misure”, di cui abbiamo spesso sentito parlare in tempi a noi vicini?
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