“Tutto quello che era possibile vincere, il 5 novembre Donald Trump l’ha vinto”.
Lo afferma Marco Respinti, osservatore attento di storia e di politica americana, giornalista, traduttore e saggista, Senior Fellow del Russell Kirk Center for Cultural Renewal (Mecosta, Michigan) e autore del saggio “Come si USA. Guida (e curiosità) per l’elezione del presidente americano” (D’Ettoris Editori, 2024). Intervistato da Vincenzo Sansonetti de Il Sussidiario.net. (DENTRO IL VOTO USA/ L’America rurale ha battuto le città per poter dire ancora “Buon Natale”, 14.11.24) Afferma che Trump, “Per l’esattezza ha festeggiato ben cinque volte, e probabilmente ci sarà una sesta. Con un margine molto ampio – 312 delegati a fronte dei 226 della rivale democratica – ha prevalso innanzitutto nel Collegio elettorale, una sorta di Conclave che il 17 dicembre eleggerà ufficialmente l’inquilino della Casa Bianca, con un voto che verrà poi reso pubblico il 6 gennaio 2025. Ha vinto con un notevole margine (non accadeva dal 2004 a un candidato repubblicano) anche nel voto popolare, quello espresso dai cittadini, Stato per Stato, per orientare il Collegio elettorale: quattro milioni di voti più di Kamala Harris, primo in 31 Stati su 50”.
Inoltre, Trump ha vinto la sua battaglia soprattutto contro le malelingue, gli uccelli del malaugurio sempre in agguato, le calunnie, lo spietato fuoco di sbarramento del sistema massmediatico (che prosegue anche dopo la vittoria) e i proclami di celebrità assortite, a partire dagli strapagati divi di Hollywood, senza dimenticare i continui tentativi messi in campo per metterlo in difficoltà, compreso il plauso puramente demagogico della stampa estera (a partire da quella italiana) alla candidata dem”. Per Respinti l’America che ha scelto Trump, si trova nei distretti extraurbani, nel contesto “rurale”, che non significa“agricolo” quanto piuttosto riferito alla sterminata provincia nordamericana, lontana dalle dinamiche spersonalizzanti delle megalopoli: insomma la cosiddetta Heartland America, gli Stati Uniti del “cuore pulsante”. Con alle spalle una storia antica quanto la stessa Federazione e che, in momenti fortemente polarizzati come l’ultimo Election Day, torna con forza a riaffacciarsi, a far sentire la sua voce”.
Chi c’è “dietro” (quali apparati di potere, quale elettorato) al nuovo presidente.
Respinti risponde che dietro a Trump “c’è il popolo degli operai disfatti dal volto più oscuro della globalizzazione, del ceto medio in via di estinzione, delle famiglie che ancora un po’ tengono, delle Chiese non smarritesi nelle nebbie della modernità galoppante, dei valori che a fatica resistono e dello spirito americano vero, contro le sirene dello sfascismo morale e politico”. C’è il popolo delle “cose normali e del senso comune, della reazione allo strapotere del politicamente corretto e della cancel culture”. C’è anche “un pezzo di Silicon Valley, l’istrionico ed enigmatico Elon Musk, certi interessi finanziari di un’altra “parrocchia” rispetto a quelli cari al mondo democratico, un pezzo del capitalismo americano contrapposto a un altro pezzo suo rivale e i cultori del cosiddetto “isolazionismo”.
La Harris nel 2017, strumentalizzando una vicenda di immigrazione illegale, gridò retoricamente: “Come osiamo dire Buon Natale?”. Trump, allora al primo mandato, replicò: “Indovinate che c’è? Diremo ancora Buon Natale”. Proprio così, secondo Respinti, pure ora gli Stati Uniti hanno di nuovo la possibilità di dire “Buon Natale”.
Il giornalista cattolico poi nelle risposte, si sofferma sui vari passaggi tecnici prima di arrivare alla proclamazione ufficiale del nuovo presidente, che dovrebbe essere per il 20 gennaio prossimo. Infine c’è una interessante curiosità politica elettorale sul Perché le elezioni presidenziali americane non avvengono mai di domenica, come da noi. Si svolgono sempre ai primi di novembre e cadono sempre di martedì. I motivi sono eminentemente religiose – cosa che oggi stupirebbe – che permangono tuttora. Per gli Stati Uniti giudeo-cristiani, – afferma Respinti – calendarizzare il voto di domenica era infatti impensabile, giacché farlo avrebbe fortemente ostacolato i cittadini che si recavano nelle chiese (non sempre a portata di mano), violando così concretamente l’Emendamento I alla Costituzione che fa della libertà religiosa (e la possibilità di praticarla) il primo diritto anche politico dei cittadini americani”.
La maggioranza dei cattolici ha votato Trump.
Un altro dato importante del voto degli americani a Trump, è che oltre a quella degli ispano-latini-americani, la gente di colore, l’ha votato anche la maggioranza dei cattolici, lo sostiene Antonio Socci in un editoriale su Libero. (Usa, il Rinascimento cattolico dietro il voto, 15.11.24, Libero) Il giornalista parte da un libro di uno storico francese, Emmanuel Todd, “La sconfitta dell’Occidente”, una spietata analisi dell’autodistruzione dell’occidente euroamericano. Per Socci, “Vi si trovano alcune ragioni del naufragio elettorale dei Dem (sulla linea Biden-Harris-Obama-Clinton) e della crisi della UE”. Il 5 novembre il voto americano ha ribaltato quella linea suicida dell’Occidente. Il New York Times ha titolato “L’America di Trump: la vittoria cambia il senso che la nazione ha di se stessa”. In effetti gli Stati Uniti hanno chiesto di ritrovare la propria identità. Ma con quali energie culturali e morali si potrà realizzare una svolta forte come quella di Ronald Reagan che chiuse il decennio della contestazione e del Vietnam? Si domanda Socci.
Il retroterra di Reagan era il fondamentalismo evangelico (l’abbiamo visto recensendo il libro “La parabola di Reagan”), che – sia pure nella forma nuova dei telepredicatori – era in continuità con la cultura Wasp – White Anglo-Saxon Protestant – che dominava da sempre la storia americana. “Oggi però Todd segnala “la scomparsa dei Wasp” come classe dirigente. A suo avviso “il protestantesimo, il quale aveva sostenuto in larga misura la forza economica dell’Occidente , è ormai morto”. Anche se in realtà gli evangelici no. Infatti, gli Stati Uniti restano il Paese con il più alto numero di cristiani nel mondo, uno dei più religiosi. Nonostante il Paese sotto le presidenze liberal Clinton-Obama-Biden, ha subito il dilagare dell’ideologia woke.
Il fenomeno nuovo: il ruolo determinante del voto cattolico, che è andato a Trump per il 56 per cento e alla Harris per il 41. “Del resto la Chiesa Cattolica – con i suoi 72 milioni di fedeli – è la prima confessione cristiana degli Stati Uniti (solo sommate le diverse denominazioni protestanti diventano maggioritarie)”.
Il peso di JD Vance.
Che i cattolici sarebbero stati decisivi era prevedibile, secondo Socci. Bastava osservare quello che stava succedendo nel partito repubblicano. “I convertiti cattolici come JD Vance stanno rimodellando la politica repubblicana”) aveva previsto un giornalista del New York Times. “Il cattolicesimo mantiene una sorprendente risonanza nella vita americana, soprattutto in certi circoli d’élite”. Il suo insegnamento continua a fare proseliti.
“L’attenzione di Trump verso i cattolici durante la campagna elettorale – come pure la scelta di Vance (che non è solo un appassionato lettore di Tolkien, ma anche di S. Agostino e S. Tommaso) – fa pensare che proprio loro potrebbero dare solidità alla svolta culturale che il Paese si attende”. Insiste Socci, “Trump vuole portare l’America fuori dall’incubo woke e dagli errori neocon, restituendole la sua identità e il patrimonio della cultura cattolica sarebbe un grande arricchimento”. E’ arrivato il “momento cattolico”, dopo il declino protestante? come sperava padre Richard Neuhaus. Comunque sia la battaglia culturale in atto è chiara. L’ideologia woke, oggi egemone, ha diviso l’Occidente dalla sua tradizione umanistica, simboleggiata da Atene, Gerusalemme e Roma, per strapparne le radici che lo resero grande. Ora con il voto del 5 novembre rappresenta la ribellione dell’America del “buon senso”(come dice Trump) contro i deliri dell’ideologia e la dittatura del relativismo.
Un Rinascimento cattolico.
Pertanto, scrive Socci: “oltre ai cambiamenti politici, occorre ritrovare le radici umanistiche che sono l’identità vera dell’Occidente (Bloom indicava i suoi vertici letterari in Shakespeare e Dante)”. Socci cita la rivista The Catholic Thing, che scrive: “C’è una rinascita nell’arte, nell’architettura, nella poesia e nella letteratura in questo paese. Le scuole primarie e secondarie stanno di nuovo offrendo latino e greco e insegnando i classici della letteratura occidentale. E chi c’è all’avanguardia di questa rivoluzione controculturale ‘classica’? I cattolici”.
Sono “per lo più laici, ma anche alcuni preti, che hanno deciso che la verità, la bontà e la bellezza dovrebbero avere di nuovo un posto di rilievo nella nostra cultura e nell’educazione dei nostri giovani. Per qualche ragione, oggi ‘classico’ è quasi sempre associato a ‘cattolico’”. (Randall Smith, “Un Rinascimento Cattolico”)
Smith ricorda che “quando l’Impero romano crollò in Occidente” furono i monaci a salvare “i testi classici dell’antica Grecia e di Roma” nella speranza “che un giorno l’Europa si sarebbe svegliata dal suo sonno barbarico”. Così, grazie alla loro opera, fiorirono più tardi la Scolastica, l’Umanesimo e il Rinascimento.
Oggi i cattolici ripropongono “la cultura classica” e quella cristiana – combattute dall’ideologia woke – per la rinascita dell’America e dell’identità occidentale. E la cosa ci riguarda.
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