Da poliziotto a capo della banda romana dell’arancia meccanica
La pagina dedicata alla cronaca di Stampa Sera del 3 gennaio 1979 è interamente dedicata al clamoroso caso Ballerini-Pan del quale si sta celebrando il processo d’appello. A stento, in un angolo, viene inserita la notizia di una rapina sotto il titolo Assalito in strada.
Poche righe per raccontare che
Luigi Sina, 30 anni, abitante in via Borgomanero 53, ha denunciato al commissariato San Donato che all’una e mezza è stato aggredito e rapinato, mentre stava tornando a casa, da tre uomini di cui uno armato di pistola. I rapinatori gli hanno portato via l’orologio, una catenina d’oro, l’accendino e il portafoglio.
La Stampa del 4 gennaio precisa che la rapina è avvenuta nella notte dal 2 al 3 gennaio, ad opera di tre giovani armati di pistola e che Sina – in seguito indicato come bancario – è stato derubato di 150 mila lire, un orologio e una catena d’oro. I tre rapinatori sono poi fuggiti su un’auto.
Esordisce così nella sua carriera criminale Agostino Panetta che da poliziotto diverrà capo della banda romana detta dell’arancia meccanica, responsabile di rapine e violenze, che negli anni fra il 1979 e il 1983 terrorizza i residenti dei quartieri-bene della capitale con un modus operandi che ricorda quello del protagonista del film di Stanley Kubrick del 1971.
Agostino Panetta, nato nel 1959, è figlio di un maresciallo della Pubblica Sicurezza, abitante nel quartiere romano del Casilino, ma secondo le sue dichiarazioni – raccolte dal giornalista investigativo Fabio Sanvitale – col padre severo e autoritario avrebbe avuto un legame infelice.
Dice Panetta: «Ho avuto l’ossessione di non valere nulla per tutta la fanciullezza, l’adolescenza. Ho fatto tanti lavori precari, ma non sopportavo le imposizioni. Mio padre mi aveva educato come i suoi cani. Li teneva legati tutto il giorno, li incitava a catturare le galline. Quando li slegava, quelli scaricavano un’aggressività devastante. Così è stato per me» (*).
Il borgataro Panetta, alto e muscoloso, ha conseguito con difficoltà la licenza media. È entrato in Polizia a 18 anni e, nel gennaio del 1979, è in forza al 5° Reparto Celere di Torino, in via Veglia 44.
Ha pensato che lo stipendio di 250.000 lire fosse troppo misero e ha deciso di intraprendere la carriera di criminale con la rapina a Luigi Sina. Ha agito insieme a due colleghi, Maurizio Vergaro e Giuseppe Falcione. Sempre a Torino compiranno una decina di rapine a carico di passanti di aspetto benestante. Fra le vittime, Ulderico Fassione, già campione italiano di karaté, e tre prostitute. Non ne sappiamo molto di più, perché le cronache si concentrano soprattutto sulle imprese romane di Panetta e della sua banda e sulle sue illustri vittime.
Panetta viene poi inviato a Roma, in convalescenza, e qui, il 6 febbraio 1979, rapina di denaro e di un orologio d’oro Gaetano Varriale, sua prima vittima romana.
Qualche mese dopo, Panetta lascia la Polizia, o più probabilmente viene espulso per abbandono di servizio, si stabilisce a Roma e intraprende l’attività di rapinatore, arruolando i complici fra gli amici della borgata di Tor Vergata, tra la Casilina e la Prenestina, con una preferenza per Maurizio Verbena e Giuseppe Leoncavallo. A questo punto ha perso i legami con Torino.
Le vicende della banda dell’arancia meccanica, dal giugno 1979 al 1983, le tratteggiamo in breve, come si dice, per dovere di cronaca, anche perché in rete non mancano siti che le illustrano ampiamente.
Prima i numeri, impressionanti: 700 rapine, 7 violenze carnali. E ancora sequestri di persona, minacce a mano armata, furti. Il bottino è stimato in 15-20 miliardi di Lire. Le vittime celebri: Fabio Testi e la moglie incinta Dolores Navarro, il cantante Peppino Di Capri, il calciatore Carlo Perrone, il produttore Franco Cristaldi, l’arbitro di calcio Massimo Ciulli, l’editrice Adelina Tattilo, il produttore Carlo Maietto, alti funzionari dei Ministeri degli Esteri e del Tesoro, centinaia di persone dei quartieri bene della Roma Nord.
Il modus operandi della banda consisteva nell’attendere le vittime sotto casa e, minacciandole con le armi, costringerle ad aprire gli appartamenti e consegnare denaro e oggetti preziosi. Panetta non ha mai sparato, per farsi indicare la cassaforte minacciava dio violenza la moglie o la figlia del padrone di casa. Sette volte ha concretizzato le minacce. Metteva a profitto la sua breve esperienza di poliziotto: si tratteneva nelle case delle vittime fino all’alba, al momento del cambio delle pattuglie delle volanti, e approfittava di questo intervallo nel servizio per tornare in borgata coi complici dopo aver affidato ai ricettatori le cose rubate.
Il 14 aprile 1983 Panetta viene arrestato dal capitano Carlo Felice Corsetti del Reparto operativo dei Carabinieri di Roma. Decide di collaborare con gli inquirenti e fa arrestare i suoi complici.
Il processo, con 59 imputati e 279 parti lese, viene celebrato a Roma dal 4 marzo 1986.
Panetta, pentito e accusatore dei complici, domina la scena. Buon promotore di se stesso, sicuramente esibizionista, ammette le responsabilità sue e dei complici, enfatizzando il suo ruolo di “uomo di mondo” come nel caso della rapina all’attore Fabio Testi. A proposito delle violenze carnali racconta le cose un po’ troppo a modo suo, scatenando un finimondo per l’intervento di Tina Lagostena Bassi, avvocato di parte civile, uno dei principali e più agguerriti difensori dei diritti delle donne.
La sentenza del 17 maggio 1986 lo condanna a 23 anni, ridotti a 20 nel processo di appello nell’aprile del 1987, confermati dalla Cassazione nel novembre dello stesso anno.
Fin dall’annuncio del processo, la giornalista Lietta Tornabuoni si è scagliata contro la mitizzazione dei rapinatori della banda. Ma è inevitabile che intorno al poliziotto-capobanda si formi quella sorta di alone leggendario riscontrato per molti altri malfattori. Gli sono dedicati un libro e un film e, infine, è lui stesso a scrivere un’autobiografia.
Il giornalista Dido Sacchettoni, nel 1986, pubblica il romanzo Le notti di arancia meccanica e il registra Claudio Caligari si ispira a questo per il suo film L’Odore della notte del 1998. Nel 2012, Panetta racconta la sua storia nel libro Il sentiero dei camosci.
Nel 1996 gli trovarono due volte della droga e prese altre condanne. Nel 2003 lo fermarono mentre era in permesso premio, ma con un etto di cocaina. Dalla rete emergono nuovi guai per droga, nel 2018.
Abbiamo già dichiarato il nostro interesse per il Panetta nel periodo torinese, lamentando le scarse informazioni fornite delle cronache per questo momento della sua attività. Disponiamo di scarsissime informazioni sui suoi due complici poliziotti del Reparto Mobile, evidentemente processati con lui, ma non come esponenti di rilievo della banda. Che fine avranno fatto?
In conclusione, le cronache hanno insistito sul numero delle rapine e sulla notorietà delle vittime, quasi costituisse un’ulteriore offesa. Ma la vera offesa, a nostro modo di vedere, è quella arrecata ai molti suoi giovani colleghi – e noi ne abbiamo conosciuti – che si sono accontentati di una retribuzione di 250.000 Lire e hanno prestato lodevole servizio nella Polizia.
(*) Fabio Sanvitale, Agostino Panetta, il poliziotto che fece 700 rapine, www.cronaca-nera.it del 6 giugno 2017.
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