Le ricerche storiche confermano questa realtà
Sull’origine della Camorra e delle altre organizzazioni criminali (Mafia, ‘Ndrangheta, Sacra Corona Unita, ecc.) sono stati scritti fiumi di articoli, di ricerche, saggi, ecc., confermando la convinzione che la storia di questi fenomeni patologici non fosse ancora esaustiva.
Ricordiamo che la storia della Camorra è stata documentata, fin dai primi dell’ottocento da una enorme quantità di studi, ricerche, indagini della polizia, a cui hanno dato un contributo autorevoli storici, tra cui ricordiamo i più importanti: Gregoire Vladimirov Orloff, Emilio Gin, Antonio Lucarelli, Walter Maturi, Felice Le Monnier, Vladimiro Sperber, Nicola Nisco, Giorgia Alessi Palazzolo, Antonio Fiore, Francesco Barbagallo, Benedetto Croce, ecc.
Infatti emergono ancora nuove documentazioni che allargano i confini delle narrazioni precedenti, che sembravano aver messo la parola definitiva su questi complessi argomenti, ormai di trattazione storica.
A conferma di questa affermazione ci viene in aiuto la narrazione del volume “I prigionieri dei Savoia – La vera storia della congiura di Fenestrelle” di Alessandro Barbero – Editore Economica Laterza.
In sintesi nel capitolo VIII – “La Camorra a Fenestrelle” del suddetto volume, a seguito dell’incorporazione di parte dell’esercito delle Due Sicilie (cioè l’Esercito Napoletano) nel neonato Esercito Italiano, il fenomeno della “Camorra” incominciava a dare segnali preoccupanti. Conseguentemente, il Codice Militare del tempo, una volta identificati i “sospetti” di questa setta, prevedeva di inviarli nei “corpi di punizione” che, a quella data, voleva dire al “Corpo Franco”.
Tuttavia a far chiarezza sulle misure disciplinari da attuare contro i “camorristi” si provvide il 12 marzo 1863 con un Regio Decreto che introduceva nel Regolamento di Disciplina dell’Esercito nuove norme anticamorra. La relazione ministeriale che ne costituiva la premessa era del seguente contenuto (a pag. 272):
“… Una delle piaghe sociali nelle Provincie meridionali, che in questi ultimi tempi maggiormente preoccupa l’opinione dell’universale e fermò l’attenzione del Governo, fu senza dubbio la Camorra.
Questa setta, ignota del tutto nella altre Provincie Italiane, esercitava la sua influenza e metteva anche le sue funeste radici nell’Esercito dell’ex Regno delle Due Sicilie; può dirsi che nessun Corpo ne era esente e ben presto in essi diventò fomite principale di indisciplinatezza e di demoralizzazione.
Col passaggio degli individui dell’Esercito Napoletano in quello Italiano era da attendersi che la mala genia che fra essi allignava tentasse di riprendere la sua influenza e di adoperare le perverse arti ancora nell’Esercito Italiano.
Ed invero si ebbero a deplorare vari fatti specialmente nell’incitamento a disertare che attestano non dubbiamente che le previsioni non andavano fallite….”.
Questa pagina del volume sopra citato, in ogni caso fa capire che il fenomeno criminale della “Camorra” ha radici più lontane nel tempo e che pertanto tale organizzazione criminale, per possedere questa vitalità contagiosa, doveva già, a quel tempo, esprimere un forte richiamo attrattivo di natura culturale e antropologica.
Riportiamo per ulteriore informazione la seguente documentazione:
Ad integrazione delle disposizioni sopra evidenziate anche la stampa del tempo segnalava tale fenomeno all’opinione pubblica.
“Allarme camorra nel Settentrione”. E’ quanto denuncia in prima pagina la Gazzetta del Popolo venerdì 23 agosto 1861.
Il pretesto è dato dall’ arresto di soldati ex borbonici, confluiti nell’ esercito italiano, sorpresi a chiedere “tributi” ai compagni d’arme con “atteggiamenti minacciosi e metodi camorristici”, subito denunciati da un militare toscano.
Altri episodi erano stati segnalati da altre testate italiane nei giorni precedenti.
Un ex sergente napoletano ad Asti chiedeva denaro ai commercianti in cambio della sua “protezione” ai loro negozi.
E’ stato lui stesso a presentarsi ai Carabinieri per sfuggire “alle ire manesche di chi non accettava le sue pretese”.
A Firenze un altro napoletano “imponeva balzelli a chi avesse avuto vincite al gioco”. “E’ noto che la Camorra esisteva su vasta scala nell’ esercito borbonico e contribuiva potentemente ad accrescerne la demoralizzazione”, commenta la Gazzetta del Popolo.
“Perciò”, prosegue, “non c’è da stupire se dovendo richiamare sotto le armi una parte di quell’ esercito non si possa evitare nella folla di soldati l’ introduzione di qualche camorrista”:
Il quotidiano tuttavia invita le autorità a vigilare “perché la peste della Camorra non acquisti cittadinanza nell’ esercito italiano”. “Si dirà che questa nostra apprensione è del tutto gratuita, perché il carattere dei soldati settentrionali basterebbe da solo a rendere impossibile una simile nequizia. Ma da quanto si incomincia a vedere ….”.
L’eco del Chisone di mercoledì 24 ottobre 2012 riprende questo argomento:
Non per nulla che questo fenomeno (e i similari) è difficile da estirpare e che ha presentato nel tempo capacità evolutive di adattamento alle nuove situazioni con una tracotanza e agilità incredibili.
Tuttavia il problema della criminalità organizzata dimostra di essere uno dei cancri più metastatizzanti della società moderna per la capacità di infiltrarsi nella collettività civile, inquinando troppe fasce di cittadini con funzioni apicali, sensibili a questo richiamo. Ciò stravolge l’economia sana.
La cronaca attuale mette in evidenza la capacità e la forza criminale delle “mafie” che sono in grado di costituire, in determinate circostanze, “governi alternativi” in grado di condizionare quelli istituzionali di ogni Stato europeo e forse mondiale.
Una realtà questa potente, subdola e mimetizzata che sembra scarsamente percepita e credibile dall’opinione pubblica, ma che la Magistratura, quando ha avuto la possibilità di indagarla, ha sempre trovato mille difficoltà nel perseguirla in modo efficace.
I veri meccanismi che governano questa terribile ed inquietante realtà sono ben mascherati e protetti da tanti “cinici personaggi” che operano da intermediari tra gli interessi criminali e quelli della fascia “dei colletti bianchi” che traggono enormi benefici nel riciclaggio di denaro sporco.
Una simbiosi opportunistica, scellerata e devastante che produce inevitabilmente la negazione della promozione della società civile verso migliori destini.
Sicuramente l’opinione pubblica ha da tempo raggiunto la convinzione che la politica e i partiti (meglio dire la partitocrazia affaristica) sono stati e continuano ad essere complici di troppe degenerazioni e che il voto di scambio è stato lo strumento turpe ed irrinunciabile per alimentare le connivenze più ignobili.
La percezione (o la convinzione) più diffusa dell’opinione pubblica è che la politica, i partiti e le “mafie” siano realtà che nuotano nello stesso brodo affaristico, dove le interferenze accomodanti tra questi “attori parassiti” rientrano nel gioco naturale delle cose.
In pratica una rassegnazione scontata e quasi fisiologica, ma che produce una realtà sociale avviata ad un disastro irreversibile!
Non per nulla l’astensionismo, fenomeno che non ritiene più credibile e tollerabile questa “associazione a delinquere”, supera il 50% degli aventi diritto al voto. E questa tendenza sembra ancora aumentare ….
Per ora e per finire, purtroppo con amarezza, ricordiamoci che l’attività della “Camorra e di tutte le Mafie”, per quanto riguarda casa nostra, continua imperterrita e sempre più invasiva dalla fatidica “Bella Unità d’Italia”.
Domanda: fino a quando la parte sana del Paese potrà sopportare e vivere in questo contesto intollerabile?
Questa domanda è d’obbligo rivolgerla ai cultori e difensori di quel retorico e falsificato “Risorgimento” che ha contribuito a costruire questo bel Paese, metà assuefatto alla logica mafiosa, coacervo di culture e mentalità, dopo 163 anni di forzata Unità, ancora inconciliabili …. e senza speranza per le nuove generazioni.
Un Paese che è nato sull’equivoco, sulla illegalità del diritto internazionale, sul profondo malessere sociale e che da sempre non ha ancora risolto questi enormi problemi, è comprensibile che debba ancora tragicamente convivere con la sua antica criminalità organizzata. (m. b.).
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