UGO MULAS, un fotografo alla ricerca della sperimentazione
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no tra i più conosciuti fotografi del secolo scorso, Ugo Mulas, nato a Pozzolengo il 28 agosto 1928, era sicuramente un ribelle e si avvicinò alla fotografia mentre studiava Legge, a Milano, rimanendone folgorato e abbandonando gli studi per dedicarsi a quella che era diventata una vera passione. Decise subito di rappresentare la quotidianità che vedeva nelle strade e in particolare iniziò a fotografare le persone che frequentavano il bar Jamaica, un posto singolare, situato a Brera.
Il bar era stato aperto nel 1911 e si era immediatamente identificato come posto di ritrovo di artisti e letterati, che lì scrivevano libri, poesie, firmavano contratti, il tutto in una scenografia assai moderna per l’epoca, in quanto il locale era dotato di telefono e di ogni confort.
Gli artisti arrivarono in massa già a partire dal ’48, quando il gestore Elio Mainini riuscì ad organizzare una mostra d’arte intitolata “Premio Post-Guernica”, a cui aderirono alcuni artisti del “Consorzio di cervelli”: Gianni Dova, Roberto Crippa e Cesare Peverelli, ed altri come Bruno Cassinari, Samboné, Ernesto Treccani ed Ennio Borlotti. La vicinanza con la Pinacoteca di Brera fece sì che ci fossero sempre in giro modelle e studenti, ma al bar Jamaica si potevano incontrare Mussolini, il Gruppo 63, Ungaretti, Quasimodo, Allen Ginberg della “beat generation”, Pietro Manzoni. Camilla Cederna, Dario Fo.
Grazie a Mulas il bar divenne ritrovo anche di fotografi come Mario Dondero, Alfa Castaldi e fu semplice al fotografo, che di quelle pareti aveva fatto una seconda casa, immortalare quei volti, mentre in allegria ragionavano progetti artistici.
Negli anni ’60, Mulas si dedicò maggiormente alle riviste di moda e arte, collaborando con Vogue e Domus, ma la sua strada di innovatore era segnata: tra il 1964 e il 1965 realizzò alcuni scatti per la Biennale di Venezia, lavori significativi che lo legarono indissolubilmente all’arte contemporanea.
Uno degli elementi più caratteristici della sua carriera è la serie “Verifiche”, dove esplora i limiti della fotografia tramite una sperimentazione portata al limite che oggi forse non impressiona ma che era realmente innovativa in quegli anni.
L’amore per l’arte lo spinse a fotografare numerosi spettacoli, creando un archivio delle rappresentazioni teatrali italiane e immortalando attori e comparse in fotografie naturali, dove la dinamicità e la naturalezza emergono in modo deciso.
Ugo Mulas morì prematuramente nel 1973, lasciando però come eredità la sua voglia di sperimentare e rendere l’immagine fotografica un racconto che fonde arte e spettacolo.
Proprio in questi giorni è stata allestita a Milano, nel Palazzo Reale, la retrospettiva “Ugo Mulas. L’operazione fotografica”, che si terrà fino al 2 febbraio 2025 e che mette in mostra ben 250 opere del fotografo, collegandosi inoltre con un itinerario di esposizioni fotografiche in vari luoghi di Milano, come la Pinacoteca di Brera, il museo del Novecento, la Fondazione Marconi.
Tra le fotografie si possono riconoscere alcuni volti noti dello spettacolo, dell’arte e della letteratura di qualche decennio fa, come Dino Buzzati, Giorgio De Chirico, Marcel Duchamp, Jasper Johns, Roy Lichtenstein, Arthur Miller, Eugenio Montale, Louise Nevelson, Gio Ponti, Salvatore Quasimodo, Giorgio Strehler, Andy Warhol.
In alcuni casi si tratta di fotografie inedite, che fanno emergere la mescolanza tra tecnica e ispirazione, dove la manipolazione (che piaceva particolarmente a Mulas), così come gli effetti di disturbo, creano letture inusitate. In questo Mulas è stato un vero e proprio precursore, in ambito fotografico sicuramente, ma influenzando in qualche modo anche le altre arti, in virtù della condivisione che avveniva in luoghi come il bar Jamaica.