
L’Analisi di Luigi Cabrino
Per certi versi è in momento positivo per il nostro mercato del lavoro. Sia per il record storico di occupati, che però tiene conto del fatto che non si va più in pensione, ma ci si dimentica di dirlo, sia per l’aumento del numero di coloro che dispongono di un contratto di lavoro a tempo indeterminato e, infine, anche per l’incremento, avvenuto soprattutto nell’ultimo anno, del personale con livelli di qualifica elevati.
Ma c’è l’altra faccia della medaglia. Permangono ancora delle situazioni critiche che fatichiamo a superare. La principale rimane il basso tasso di occupazione; tra i 20 Paesi dell’Area dell’Euro, l’Italia è fanalino di coda con un “misero” 61,5 per cento, contro una media dell’Eurozona del 70,1 per cento.
In più allarma il trend registrato dai lavoratori autonomi; rispetto al 2019 sono scesi di 223 mila unità (-4,2 per cento), nonostante nell’ultimo anno ci sia stato un leggero segnale di ripresa pari +62 mila unità (+1,3 per cento) (vedi Tab. 1) .
Senza contare che, purtroppo, contiamo storicamente su livelli retributivi mediamente più bassi degli altri Paesi dell’UE, a causa di un livello di produttività del lavoro molto basso, di un tasso dei NEET elevatissimo e di un tasso occupazionale relativo alle donne più contenuto di tutta Europa.
Sono questi alcuni flash sul mercato del lavoro italiano che sono stati scattati dall’Ufficio studi della Cgia di Mestre. Nel 2023,la platea degli occupati in Italia ha toccato i 23,6 milioni di unità, 471 mila in più rispetto al periodo pre-Covid, di cui 213 mila hanno interessato il Mezzogiorno che è stata la ripartizione geografica che ha registrato l’incremento percentuale più elevato del Paese (+3,5 per cento).
Se da un lato, quindi , il numero degli occupati sale oltre i livelli pre pandemia dall’altro l’occupazione resta sotto i livelli europei e cala il numero delle partite iva; dato, questo, da tenere sotto controllo vista l’importanza che per il nostro sistema produttivo ha la piccola impresa.
Luigi Cabrino
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