È soprattutto una religione ma nel contempo è una filosofia, un sistema di pratiche magiche, uno stile di vita ed anche un tratto di rilievo della cultura cubana.
A trasportarla nel Nuovo Mondo furono le navi negriere. Un flusso continuo lungo la rotta atlantica che dalla metà del Cinquecento aveva iniziato ad affollare le piantagioni di schiavi africani.
Venivano principalmente dal territorio Yoruba, tra la Nigeria e il Benin. Approdati nelle colonie, i nuovi venuti portavano con sé i riti delle proprie origini.
Le stesse credenze che nei decenni seguenti, mischiandosi al cristianesimo, avrebbero dato vita alla Santeria cubana, al Vudù haitiano e, in Brasile, al Candomblé e alla Macumba.
Infatti, nei territori occupati da spagnoli e portoghesi, costretti a battezzarsi e ad accogliere la religione cattolica, gli schiavi africani sovrapposero le proprie divinità e i santi cattolici.
Il pantheon Yoruba prevede una divinità creatrice e numerosi Orisha. Gli Orisha vengono omaggiati con continue offerte quasi sempre con erbe e vegetali, elementi che rappresentano il forte legame con la natura.
Tamburi e danze sono presenti in ogni rituale, le percussioni hanno un ruolo così centrale da veder riconosciuto persino un ruolo divino. Senza questi strumenti, del resto, non si possono evocare le divinità durante le celebrazioni. Divinità che si manifestano attraverso la danza.
Ci sono regole sociali che tutti devono rispettare e la realizzazione di ciascuno non può mai passare attraverso l’infelicità degli altri.
Colpisce l’abitudine che hanno i fedeli di indossare capi di colore bianco, colore che riteniamo sia riconducibile al desiderio di purezza interiore.
Impossibile comunque non avvertire la cordialità che trasmettono ogni qualvolta li si incontra e si dialoga.
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