La scena del crimine
Nelle sue indagini, Sherlock Holmes impiega alcuni supporti che sono tipici della polizia scientifica.
L’analisi del Canone (come si indicano i cinquantasei racconti e quattro romanzi, scritti da Arthur Conan Doyle, che hanno come protagonista Sherlock Holmes) da questo punto di vista è stata affrontata da alcuni studiosi.
Ricordiamo l’articolo di Agostinis (2000) sull’apporto offerto da varie branche della polizia scientifica alle indagini di SH e i contributi di Bonalumi (2002).
L’esame della scena del crimine rappresenta uno dei due cardini della moderna indagine scientifica sui delitti.
Il comportamento di Sherlock Holmes sulla scena del crimine è descritto in vari racconti. Non ha nulla di scientifico e nemmeno di sistematico. Watson lo tratteggia ricorrendo alla metafora del cane da caccia che fiuta una pista, senza che Sherlock Holmes se ne sentisse offeso (Guerra, 1998).
Così Watson lo descrive: «Quando era sulle tracce di una pista come questa Sherlock Holmes si trasformava. Chi avesse conosciuto solo il tranquillo pensatore, l’uomo dalla logica stringente, di Baker Street, non lo avrebbe riconosciuto. Il viso imporporato da un cupo rossore, le sopracciglia aggrottate in due scure linee diritte, sotto cui gli occhi brillavano con un bagliore d’acciaio, il volto chinato in avanti, le spalle curve, le labbra compresse e le vene che si gonfiavano come corde sul collo lungo e muscoloso. Le narici sembravano dilatarsi in una bramosia puramente animalesca per la caccia e la sua mente era a tal punto concentrata che qualsiasi domanda o osservazione rimaneva inascoltata o, al più, provocava un impaziente, breve ringhio di risposta» (“Il mistero di Valle Boscombe”, 1891).
Come strumento, Sherlock Holmes si avvale della lente d’ingrandimento, ormai praticamente diventata il suo simbolo. Nel libro di esordio “Uno studio in rosso” (1887) utilizzava anche un metro, successivamente sparito.
Spunti più significativi in questo senso vengono dalla scrittrice americana Mary Wilkins Freeman (1852-1930).
Nel racconto “Il lungo braccio” (The long arm) del 1895, basato su un fatto di cronaca accaduto nel 1892, è investigatrice occasionale la maestrina Sarah Fairbanks, ingiustamente sospettata di avere ucciso il padre con la complicità del fidanzato.
Per un esame del teatro del delitto, sia pure empirico, la protagonista divide il pavimento della camera in questione in tanti quadrati segnati col gessetto, poi li esamina ad uno ad uno con l’aiuto del microscopio usato per le esercitazioni degli scolari.
Dalle sue scoperte emergono elementi che portano all’arresto del vero colpevole.
La maestrina Sarah Fairbanks, nell’analisi della scena del crimine, potrebbe stare alla pari con Sherlock Holmes, come già Irene Adler?
Ricordiamo ai pochi che non lo sanno che Irene Adler è una donna fatale, che per Sherlock Holmes rappresenta la “Donna” per antonomasia: appare nel racconto “Uno scandalo in Boemia” (1891), ispirato alla “Lettera rubata” di Poe (1845), come antagonista di Sherlock Holmes.
Irene Adler, nordamericana nata nel New Jersey nel 1858, ha cantato come contralto alla Scala ed è stata prima donna all’Opera Imperiale di Varsavia. Si è ritirata dalla carriera lirica e vive a Londra: ha trent’anni, visto che il racconto inizia il 20 marzo del 1888. Sherlock Holmes la descrive come una donna di straordinaria bellezza, con un viso che fa impazzire gli uomini.
Fra le donne, Sherlock Holmes stima soltanto Irene Adler perché lo ha «buggerato», proprio sul terreno in cui Holmes è un genio deduttivo. E senza che il suo aspetto fisico indichi tanta dovizia di materia grigia… ma tutto questo, con la polizia scientifica, non c’entra!
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