L’educazione passa attraverso la capacità di confrontarsi con sé stessi e con gli altri
I giovani, per dire la più scontata delle banalità, sono il nostro futuro, oggi sempre più incerto e difficile. Così come sono loro, i nostri fragili, incerti adolescenti, tanto abituati a non considerarsi all’altezza delle aspettative da rimanere spesso passivi proprio durante una stagione della vita che abbiamo sempre considerato fisiologicamente connessa con lo scontro, la ribellione e la formazione della propria autonomia.
Ne ho parlato con Isabella Rossi, docente e storica vicepreside del Liceo Agnesi di Merate, nel lecchese, un’insegnante appassionata che ha dedicato alla scuola tutta la sua vita, attenta conoscitrice della realtà educativa non solo del suo territorio, ma in generale di quello lombardo e non solo. Una donna che continua a credere nel valore della cultura e nell’istituzione della scuola pubblica come elemento imprescindibile per la formazione della nuove generazioni.
Una fonte dunque più che attendibile e ben informata.
Sono in pensione dal 2018, in fondo solo da qualche anno, ma ho l’impressione che tanti processi che avevo visto iniziare siano ora stati portati a compimento, forse alle loro estreme conseguenze. Parlo della fragilità, dell’incertezza, del ridimensionamento dei contenuti, per esempio.
Rossi: Purtroppo è così. Non sempre e in tutti i casi, naturalmente; ci sono tanti ragazzi motivati, attenti, capaci e che partecipano alle attività scolastiche e parascolastiche con entusiasmo e dando contributi importanti ed originali. Ma i più, disgraziatamente, sono sempre più fragili e passivi anche di fronte a proposte e contenuti che ancora in un recente passato avevano una buona capacità attrattiva: persino conferenze su argomenti che dovrebbero interessarli perché vicine alla loro realtà (pensiamo ad un discorso sull’Unione Europea in vista delle prossime elezioni, il primo voto per molti studenti), se attirano l’attenzione di un quarto degli studenti presenti, lasciano i restanti tre quarti per lo più indifferenti. Indifferenti perché chiusi nel loro mondo, attenti più alla realtà virtuale (espressione che è quasi un ossimoro, a pensarci bene,) che a quella reale, spaventati davanti all’idea di prendere una decisione, sempre convinti di non essere all’altezza.
Sono talmente spaventati che non riescono a reggere la mole dei contenuti proposti; una mole che si ridimensiona in continuazione, ma che risulta per molti insostenibile.
La lettura di una novella di Boccaccio, per esempio, presenta per molti, non per tutti fortunatamente, difficoltà impensabili solo fino a pochi anni fa, come se non avessero gli strumenti culturali per affrontarne la lettura.
A tuo avviso, quali sono le ragioni di queste difficoltà?
Rossi: Innanzitutto per molti ragazzi concentrarsi diventa sempre più complicato. Non voglio accusare né la scuola primaria, né la secondaria di primo grado, ma di fatto oggi i ragazzi di prima liceo riescono a focalizzare la propria attenzione su di un testo per non più di mezz’ora, nella migliore delle ipotesi. L’idea di rimanere seduti e concentrati avanti ad un libro rappresenta sempre di più uno scoglio; per certi versi è strano, perché molti ragazzi confessano di preferire rimanere in camera loro davanti ad un pc piuttosto che uscire con gli amici. Ma forse l’incapacità di concentrarsi dipende anche dal mondo in cui siamo immersi, dominato da una pseudocultura e soprattutto un’informazione continua, veloce e tutto fuorché ponderata, verificata e che presenti gli argomenti nella loro complessità. Non che manchino intellettuali seri e giornali di cui fidarsi, ma il mondo oggi sembra considerare la cultura, soprattutto quella alta, come qualcosa di inutile e soprattutto non degna del rispetto che fino a poco tempo fa meritava senza discussioni. Anche molte delle letture abituali dei ragazzi sono commerciali; prediligono i generi fantasy, rosa, horror, per cui di fronte ai testi più impegnativi che la scuola propone spesso si trovano spaesati ed incapaci di gustarne la trama e la lingua. Romanzi fino a poco tempo fa considerati semplici ed in genere apprezzati, come Il giardino dei Finzi-Contini, ora creano difficoltà e non piacciono. Va un po’ meglio con la trilogia di Calvino, ma il quadro è abbastanza preoccupante.
Del resto forse è ancora più grave che i testi complessi che si leggono in classe, da Dante a Foscolo, pur con tutte le dovute spiegazioni, non riescano a catturare l’attenzione di buona parte della classe per più di una ventina di minuti. Se togliamo la centralità del testo, alle ore di letteratura cosa resta? Ma non voglio dimenticare le espressioni attente e partecipi di tanti ragazzi che invece si appassionano alle vicende amorose di Catullo o alle malinconie romantiche di Leopardi o Manzoni. Ci sono, per fortuna ci sono. E se dobbiamo occuparci di motivare i più fragili e di aiutarli, nello stesso tempo dobbiamo offrire tutta la nostra competenza per sostenere i più bravi, per non deluderli e aiutarli a raggiungere i loro obiettivi. E meglio se sono ambiziosi. I ragazzi capaci ci sono, insomma.
E sugli insegnanti, soprattutto i più giovani, cosa mi dici?
Rossi: Anche qui il panorama è cambiato, a volte non in meglio. Ci sono docenti competenti e motivati, che hanno scelto di diventare insegnanti per passione e perché credono nel loro lavoro, ma qualcuno svolge il suo lavoro senza confrontarsi con i colleghi, facendo il minimo indispensabile e creando un netto distacco tra vita e lavoro. È una caratteristica sempre più diffusa in ogni ambito lavorativo e presenta sicuramente anche aspetti positivi, ma ci sono lavori e lavori, mestieri e mestieri: non si può fare l’insegnante senza passione, non è un lavoro che può essere un ripiego, non si può stare dietro una cattedra e pretendere attenzione senza amare e rispettare gli studenti. Non è un lavoro che si può fare “per tirar quattro paghe per il lesso”; come tanti altri, certo, ma l’idea di considerarsi investiti di una missione non guasta, in ambito educativo. E soprattutto è fondamentale che noi docenti per primi rispettiamo la scuola come istituzione, nonostante spesso le decisioni politiche che ci riguardano sembrino provenire da chi della scuola e dei suoi problemi non ha nessuna conoscenza.
Il reclutamento dei docenti, per esempio, è farraginoso e complesso, soprattutto spesso avviene con due pesi e due misure. C’è chi viene assunto a tempo indeterminato solo dopo prove severissime e chi invece senza aver dovuto dimostrare le proprie capacità in nessun modo, quasi ope legis. Ci sarebbe molto da rivedere sotto questo aspetto, ma spesso i governi che si alternano non sembrano interessati ad affrontare seriamente il problema.
Quando ho lasciato la scuola si poneva già, soprattutto fra i ragazzi di prima, il problema della difficoltà di relazionarsi non solo con gli adulti, ma anche con i propri coetanei. E la domanda: “Ma prof, come faccio a capire se sono innamorato/a veramente o no?” mi era già stata posta più volte. Oggi la situazione com’è?
Rossi: Anche qui direi peggiorata, pur naturalmente senza fare di ogni erba un fascio. Ci sono ragazzi che si mettono insieme e vivono la loro esperienza amorosa senza problemi, spesso persi l’uno negli occhi dell’altro, come a sedici anni sarebbe giusto che fosse. Ed esistono gruppi classe o ragazzi che praticano il medesimo sport che si incontrano in luoghi diversi e si divertono insieme o altri che coltivano interessi comuni in gruppi affiatati. Esiste anche la bella esperienza Peer to peer, in cui ragazzi più bravi e competenti aiutano i più deboli a superare le loro difficoltà nelle diverse materie, spesso in ambito linguistico per gli studenti stranieri che si inseriscono nelle nostre classi. Ma la tendenza purtroppo è quella di preferire la solitudine nella propria camera davanti ad un pc (magari collegati con compagni di classe!) piuttosto che invece incontrarsi di persona con gli amici. “Gli anni delle immense compagnie” di Max Pezzali sembrano purtroppo passati. Molti poi hanno paura davanti alla possibilità di un vero rapporto di amicizia o magari amoroso; temono il rischio connaturato con l’aprirsi all’altro e la diffusa tendenza, spesso provocata dall’ansia dei genitori, verso il perfezionismo, blocca tanti adolescenti sulla strada del completamento della propria individualità.
E qui veniamo ad un altro problema: scuola e genitori dovrebbero trovarsi dalla stessa parte per aiutare gli adolescenti, ma oggi spesso non è così. Al contrario spesso ci sono contrasti e difese ad oltranza dei ragazzi, a volte ingiustificate. Un’insufficienza difficilmente è percepita per quello che è. Cioè una segnalazione che quell’argomento non è stato capito e quindi va rivisto, magari rispiegato e studiato meglio. Il voto negativo è visto come attribuito alla persona, allo studente, non alla sua prova e i genitori tendono ad incolpare l’insegnante dell’insuccesso. Una posizione che certo non aiuta a risolvere i problemi, anzi li ingigantisce e non aiuta certo i ragazzi a crescere e ad assumersi le proprie responsabilità. Noi lavoriamo per invertire questa tendenza, ma non è facile, in una società in cui la considerazione per l’insegnante, la cultura in generale e l’istituzione scuola è sempre più bassa. E pensare che la scuola è alla base di qualsiasi progresso sociale ed economico del paese!
E sulla sessualità tra gli adolescenti cosa mi dici? E sulla questione gender?
Rossi: Immagino che per molti il sesso non sia un problema e sia vissuta serenamente. Ma so di tanti che preferiscono il porno, nella loro camera, davanti al pc. Una situazione a mio avviso triste e pericolosa, che allontana i ragazzi dalle relazioni affettive vere, li infragilisce ancora di più e li confonde. Noi teniamo da anni corsi sull’affettività, sul rispetto delle donne e delle diversità, ma il porno, con le sue nefaste conseguenze, sembra dilagare sempre di più.
Quanto alla questione gender, ci tengo a chiarire una cosa. Sento spesso dire che nella scuola pubblica sarebbe in atto la pratica di influenzare bambini ed adolescenti spingendoli verso la strada della non appartenenza ad un sesso piuttosto che ad un altro. E che gli psicologi presenti a scuola sarebbero lo strumento per attuare tale pratica. Mi fa davvero piacere rispondere qui pubblicamente che non c’è niente di più falso: la scuola pubblica, in quanto tale laica e di stato, rispetta ognuno per quello che è e si guarda bene dall’influenzare chiunque, né a livello di pensiero né tanto meno di orientamento sessuale. Anzi, promuoviamo il rispetto per qualsiasi diversità da parte del personale e dei compagni, come deve essere in una istituzione libera e laica.
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