La cronaca di uno de misteri dell’Italia “sentimentale”
Alle tante definizioni che sono state date alla nostra repubblica, dopo la lettura delle vicende inerenti la “pilotata fuga” di Herbert Kapper potremo aggiungere l’aggettivo “sentimentale”, tralasciando momentaneamente cosa ha comportato la presenza a Roma di questo personaggio ed il pesante ruolo da lui esercitato.
Kappler comandante dalla Gestapo a Roma riuscì a fuggire dall’Ospedale del Celio nella notte tra il 14 e il 15 agosto del 1977.
La storia dell’ufficiale nazista è strettamente legata all’Italia e in particolare a Roma, città nella quale giunge nel 1939, ufficialmente come consulente presso l’ambasciata tedesca, in realtà come spia con il compito di sorvegliare l’attività della polizia italiana. La Città eterna affascina il giovane ufficiale, tanto da definirla una seconda patria.
Alla fine della guerra Herbert Kappler viene arrestato dalle truppe alleate, trasferito a Roma e condotto nel carcere di Regina Coeli. Il processo si apre dieci mesi dopo, nel maggio del 1948, sempre nella capitale. Con lui vengono messi sotto accusa due suoi ufficiali e tre sottoufficiali. Manca il capitano Priebke che, dopo essere fuggito da un campo di prigionieri di guerra a Rimini, ha fatto perdere le sue tracce, probabilmente nascondendosi come molti altri gerarchi nazisti, in Sudamerica.
Kappler, come gli altri imputati, è accusato del massacro delle Fosse Ardeatine di cui il colonnello è considerato l’organizzatore. Sulla sua testa pende anche una seconda accusa, quella di aver estorto cinquanta chili d’oro agli ebrei romani. L’ex colonnello delle SS si difende dal crimine delle Ardeatine con forza e determinazione. Respinge ogni responsabilità diretta, sottolineando come abbia soltanto eseguito degli ordini.
Sostiene anche l’illegittimità dell’attentato gappista di via Rasella, ordito dal gappista Franco Calamandrei, futuro deputato del PCI e per questo e altri attentati, decorato con la medaglia d’argento al Valor Militare, al contrario della rappresaglia nazista che ritiene del tutto legale, anzi perfettamente logica.
La linea difensiva di Kappler non è certo una novità. L’ufficiale viene condannato all’ergastolo per l’eccidio delle Fosse Ardeatine e a quindici anni per l’estorsione commessa ai danni della comunità ebraica. Dopo una breve detenzione nel carcere romano di Forte Boccea, Kappler viene trasferito nel penitenziario di Gaeta, all’interno del medievale Castello Angioino.
La prigionia per il responsabile della morte di 335 innocenti non è particolarmente pesante. Kappler, infatti, beneficia delle norme previste dalla Convenzione di Ginevra riguardanti i prigionieri di guerra. Gode di un alloggio piuttosto ampio, con tanto di piccolo acquario. Può ricevere visite, corrispondenza e pacchi. Inoltre, consuma un vitto adeguato, una prigionia molto diversa da quella che anni addietro, avevano subito molti detenuti fatti arrestare per ordine dello stesso Kappler.
Il 12 marzo 1976, l’allora ministro Arnaldo Forlani, sospende formalmente la condanna emessa nei confronti di Kappler. La firma sul provvedimento viene apposta dall’esponente democristiano in presenza anche dell’ambasciatore tedesco in Italia. D’altra parte, da alcuni anni dalla Germania arrivano richieste bipartisan volte a concedere la grazia a Kappler che, però, vengono ogni volta respinte al mittente. Da notare che in quegli anni il Movimento Sociale Italiano, capitanato da Giorgio Almirante era all’opposizione, emarginato dal così detto “Arco Costituzionale”. La fuga del criminale nazista è quindi un’ affaire tutta democristiana.
L’inaspettata decisione ministeriale è legata, formalmente, alle condizioni di salute del detenuto di Gaeta. L’ex ufficiale ha un tumore al colon e necessita di cure adeguate. Per questo viene trasferito presso l’ospedale militare del Celio, a Roma. Nel nosocomio Kappler fa il suo ingresso di fatto da uomo libero, visto che, al provvedimento firmato da Forlani, è seguita l’ordinanza di scarcerazione del prigioniero emessa dal Procuratore Generale militare. Tale decisione scatena la dura reazione di ampi settori della società con la conseguenza che la disposizione del giudice militare viene revocata. Ma di fatto Kappler al Celio è poco più che un paziente. Inizia così l’ultima pagina della vita del colonnello nazista, la più misteriosa.
Quel 15 agosto 1977 quando suor Barbara entra nella stanza di Kappler per le quotidiane pulizie, l’ufficiale nazista non c’è. Sulle prime lo cerca in giardino ma del malato non c’è traccia. Immediatamente riferisce al responsabile del nosocomio capitolino l’incredibile sparizione ma, solo alle 10.45 scattano le ricerche.
A quell’ora, però, Kappler, è già molto lontano. Si trova al sicuro nella casa di Soltau, al civico 6 di Wilhelmstrasse e da lì, anche volendo, nessuno lo può portare via. L’articolo 16 della Costituzione della Germania dell’Ovest vieta l’estradizione di qualsiasi cittadino tedesco. Cosa sia effettivamente successo nella notte fra il 14 e il 15 agosto nell’ospedale del Celio rimane un mistero.
La moglie di Kappler, nel corso degli anni ha fornito circostanze diverse, a dir poco picaresche. Tra le altre, aveva affermato di aver chiuso il marito, molto dimagrito a causa della malattia, dentro una valigia che poi aveva calato grazie a una carrucola e a una fune nel giardino sottostante. Dopo di che aveva caricato il pesante bagaglio nel baule di una Fiat 132, lasciando indisturbata la struttura ospedaliera.
Pochi chilometri dopo, abbandonata l’auto, era salita con il marito su un’altra vettura, una Opel Commodore, guidata dal figlio, Ekerard Walther. I tre, del tutto indisturbati, avevano attraversato il confine del Brennero arrivando a destinazione, in Germania. Un racconto decisamente inverosimile, anche se, nella stanza di Kappler, vengono ritrovati pezzi di corda e altre tracce, probabilmente lasciate appositamente da frau Annelise per avvalorare il suo rocambolesco racconto.
Quando la notizia della fuga di Kappler è nota a tutti, inizia il solito, inevitabile balletto di accuse con associato corollario di giustificazioni. I primi ad essere chiamati in causa sono i due carabinieri di guardia quella notte.
Sono l’appuntato Luigi Falso e il carabiniere Oronzo Pavone. Questi si giustificano con motivazioni che sembrano surreali, ma che sono assolutamente vere. Precisano che non esiste un ordine scritto di sorveglianza della stanza dove si trova l’ex ufficiale nazista. Aggiungono, fra lo stupore generale, che in quella stanza non potrebbero neppure entrare. Anzi non dovrebbero neanche affacciarsi, tanto che giorni prima un carabiniere solo per averlo fatto, ha subito dal maresciallo un vibrante rimprovero.
In realtà da quando Kappler si trova al Celio nella sua stanza entrano in molti, forse in troppi. Nelle ore successive cadono le prime teste. Il Comandante Generale dei carabinieri Mino trasferisce ad altre sedi diversi ufficiali più o meno coinvolti nella vicenda, fra cui Norberto Capozzella, comandante della Compagnia Celio da cui dipendono Falso e Pavone.
Ma la testa più importante a saltare è quella del ministro democristiano della Difesa Vito Lattanzio, subentrato a Forlani nel nuovo governo Andreotti III. Lattanzio è un parlamentare barese di lungo corso con molti incarichi governativi alle spalle. Viene attaccato da più parti, specie dai radicali di Marco Pannella che lo accusano di coprire il ruolo dei Servizi segreti nella singolare fuga di Kappler.
Anni dopo il radicale Mauro Mellini, in un’intervista al Giornale, parlò di accordo sottobanco fra DC e PCI per “liberare” Kappler, un gesto necessario per venire incontro alla volontà tedesca. In ballo fu tirato anche il debito pubblico italiano che necessitava degli appoggi e sostegni da parte della finanza germanica.
Il montare della protesta per la fuga di Kappler spinge Lattanzio a rassegnare le dimissioni. Quel gesto, tuttavia, viene premiato, segno evidente che il barese non si era macchiato di nessuna colpa. Il presidente del consiglio Giulio Andreotti pochi giorni dopo gli affida l’interim della Marina mercantile.
Trent’anni dopo quella incredibile fuga Vito Lattanzio farà qualche timida ammissione. Confesserà di non essere mai riuscito a saper con esattezza se fosse stato Moro, Andreotti o Forlani (tutti leder di peso della Democrazia Cristiana) a dare l’ordine di allentare la sorveglianza su Kappler. “Ricordo solo che in quelle ore il governo fu preso dal panico e io pagai per placare l’ira popolare”.
Si parlò, nel corso degli anni, del coinvolgimento dei servizi segreti, del gruppo Odessa (l’organizzazione che dalla fine della guerra aveva messo in salvo decine di nazisti fra cui Josef Mengele e Adolf Eichmann), ma la verità, a distanza di quarantasette anni dalla fuga di Kappler, rimane ancora avvolta nel mistero, con buona pace della Comunità ebraica di Roma.
La fuga di Herbert Kappler scosse l’opinione pubblica ma solo per un brevissimo tempo. L’attenzione mediatica per quel caso durò qualche settimana per poi finire definitivamente archiviata tra i tanti Misteri di questo paese irrisolti e di cui non sapremo mai i nomi dei responsabili e dei colpevoli.
Infine, il 9 febbraio del 1978 mori in una tranquilla città della Bassa Sassonia Herbert Kappler, portandosi nella tomba i tanti misteri.
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