Sorge il 23 febbraio 1003 su iniziativa di Guglielmo da Volpiano
Fra le nebbie storiche dei secoli che precedono l’Anno Mille, San Benigno non esiste ancora. Fra l’Orco e il Malone si estende il “Fructuariensis Locus”, ai margini delle foreste Gerulfia, Walda e Fullicia si vive con fatica nei villaggi di origine longobarda (Vigolfo e Castrum Longobardorum).
Questa zona fa parte del “Praedium Vulpianum”, retto da una nobile famiglia da cui nascerà il fondatore dell’Abbazia di Fruttuaria, Guglielmo da Volpiano, Abate di San Benigno di Digione e grande figura religiosa e culturale a cavallo dell’Anno Mille, quando si attendeva la fine del mondo.
La sua costruzione inizia, secondo le fonti a disposizione, il 23 febbraio 1003, per volontà di Guglielmo.
Occupiamoci di lui, prima di proseguire la narrazione. L’abate-costruttore Guglielmo da Volpiano nasce nel 962, ad Orta, nel castello dell’isola di San Giulio, dal conte Roberto e dalla nobile Perinzia, tenuto a battesimo dall’imperatore Ottone I e dalla moglie Adelaide, quasi a preconizzare il suo fulgido futuro. Poco più che bambino, entra nel monastero di San Genuario presso Crescentino; nel 987 si trasferisce a Cluny. Ordinato sacerdote e poi eletto abate dell’abbazia di San Benigno di Digione, Guglielmo ricostruisce in forme grandiose l’abbazia, su incarico di Brunone Vescovo di Langres; nel corso dei lavori, qui viene ritrovata la tomba del martire Benigno.
L’abate Guglielmo è una figura di primo piano nel panorama europeo a cavallo dell’anno Mille. Fonda un movimento monastico molto vicino a quello di Cluny, con caratteri autonomi, che sarà denominato “fruttuariense” (1).
Alla sua morte, avvenuta a Fécamp, in Normandia, il 1° gennaio 1031, Guglielmo ha riformato circa quaranta monasteri tra Italia settentrionale, Borgogna, Champagne, Lorena, Normandia, mentre al suo seguito ha raccolto circa milleduecento monaci.
Fruttuaria sarà sempre la sua abbazia prediletta, costruita, secondo il biografo Rodolfo il Glabro, su terre disabitate di proprietà paterna alla confluenza dell’Orco e del Malone. La consacrazione avviene nel 1006, per mano del vescovo Ottobiano, alla presenza di Re Arduino, di sua moglie Berta e di numerosi dignitari laici ed ecclesiastici. L’Abbazia è dedicata alla Beata Vergine Madre di Dio e a San Benigno; parallelamente acquisterà la denominazione di Fruttuaria dal luogo ove sorge, pur con l’aggiunta di un significato più ampio legato alla concezione benedettina “ora et labora”: terra di frutti dello spirito e delle messi. Nel tempo, a nord del complesso monastico, si sviluppa un centro abitato, che viene ad assumere la forma del ricetto, ancora oggi il nucleo originario del centro storico di San Benigno Canavese.
Fruttuaria segue la Regola Benedettina con una propria interpretazione, descritta nelle Consuetudines Fructuarienses, il suo codice di vita che si diffonde in Europa, fino a Cracovia; avrà un vasto numero di dipendenze nell’Italia settentrionale, secondo l’esempio di Cluny; le sue Consuetudines si diffondono anche in abbazie che mantengono l’indipendenza, secondo una visione del monachesimo propugnata da Guglielmo.
Fruttuaria gode del privilegio dell’esenzione: l’abate è eletto dai monaci e l’abbazia è posta sotto il “patrocinio della Santa e Apostolica Madre Chiesa”, indipendente dalla Diocesi di Ivrea, nel cui territorio è ubicata. Guglielmo non sarà mai Abate di Fruttuaria per segnare la distinzione con Digione; primo Abate è un tale Giovanni “Homo Dei”, cui ne seguiranno una sessantina di altri.
La carica spirituale che si espande dall’Abbazia è notevole e contagiosa, attrae giovani di tutti i ceti sociali. Il caso più clamoroso riguarda la Beata Libania (2).
Guglielmo si impegna fin dall’inizio ad ottenere donazioni in denaro e privilegi giuridici che, per secoli, rendono Fruttuaria indipendente dal punto di vista spirituale e politico: il suo abate governa direttamente le terre abbaziali di San Benigno, Lombardore, Feletto e Montanaro, che vengono a creare un piccolo stato con leggi proprie e diritto d’asilo. Per garantirne l’indipendenza e lo sviluppo futuro, Guglielmo riesce a far sottoscrivere, tra il 1015 e il 1016, da 324 firmatari in tutta Europa un documento in cui sono narrati i particolari della fondazione e l’aiuto ricevuto da Re Arduino.
Il Marchese d’Ivrea e Re d’Italia, dopo la sconfitta subita dall’imperatore Enrico II nel 1014, si ritira a Fruttuaria, dove muore l’anno successivo. Il Cronichon attesta la sua sepoltura in abbazia, nella cappella di San Giovanni Battista, accanto all’Abate Alberto. Successivamente le sue spoglie, secondo una tradizione secolare, vengono trasportate nel castello dei Conti di San Martino ad Agliè. Nella seconda metà del Settecento, con l’acquisizione della dimora da parte di Casa Savoia le spoglie del Re d’Italia sono trasferite nella cappella del castello dei Valperga a Masino.
L’Abbazia, centro di irradiazione della riforma monastica benedettina, attraverso la diffusione delle Consuetudines Fructuarienses, è posta sotto la protezione dell’imperatore e gode dei privilegi papali.
Entriamo in chiesa e vediamo da vicino l’impianto abbaziale. La chiesa ha tre navate corte e tagliate da transetto, sul quale si aprono cinque absidi. La soluzione, secondo il modello di Cluny, permette la realizzazione di più altari, dando la possibilità a più monaci di concelebrare in contemporanea. Dell’impianto originario si conservano le due absidi attestate sul transetto e le basi degli altari. Le tre absidi corrispondenti alla navata centrale e a quelle laterali, modificate nel corso dei secoli, vengono distrutte per costruire la cripta (scurolo) settecentesca.
Nella crociera, all’incrocio tra la navata centrale e il transetto, sorge l’altare della Santa Croce, alle spalle del quale, in posizione ribassata, viene costruita la Rotonda del Santo Sepolcro: un monumento circolare, copia simbolica del Santo Sepolcro di Gerusalemme, costruito nel IV secolo dall’imperatore Costantino, sulla tomba di Cristo scavata nella roccia. Il Santo Sepolcro di Fruttuaria è databile ai primi anni dopo il Mille, è il più antico modello di Sepolcro conservato, affrescato all’interno, e trova confronto con l’analogo, in pietra, della cattedrale di Aquileia. Nel XIII secolo si procede alla sua demolizione; si sono ritrovati frammenti di intonaco dipinto con resti di una decorazione a intreccio e parte di un ciclo figurato, nel quale spicca una Madonna in trono col Bambino, ora conservato al Museo di Antichità di Torino.
L’area intorno all’altare della Santa Croce era pavimentata, con mosaici a motivi vegetali e animali entro riquadri. Ai lati dell’altare si conservano due coppie di animali affrontati. Il riquadro nord, molto lacunoso, conteneva due leoni, quello sud due grifoni rampanti separati da un tralcio vegetale. Una seconda fascia di mosaici, a un livello ribassato entro riquadri e rombi, presenta piccoli uccelli e grifi in tessere bianche e nere, con inserti policromi. Nel complesso, i suoi mosaici sono annoverati tra i più antichi dell’area piemontese.
Le pareti del transetto conservano decorazioni ad affresco con motivi a finto marmo stilizzato e vivacemente colorato, che ricordano la chiesa romanica di Santo Stefano di Sessano a Chiaverano.
Nelle prime fasi dell’Abbazia un grande avancorpo si addossava alla facciata della chiesa, una struttura a due piani tipica dell’ambito cluniacense.
Nel XV secolo Fruttuaria attraversa una fase di declino a cui segue la soppressione; dal 1585 è trasformata in collegiata. Verso la fine del Cinquecento, in occasione di consistenti interventi edilizi, vengono fuse nuove campane; di tale operazione rimane traccia nella fossa allestita per la fusione, rinvenuta presso l’antico ingresso della chiesa.
La torre campanaria è, insieme a parte della manica est del chiostro, l’unica struttura del secolo XI risparmiata dalle ricostruzioni volute dal Cardinale delle Lanze, che vedremo fra poco; in origine allineata con la facciata della chiesa medievale, ha una pianta quadrata di 10 m. di lato e un’altezza complessiva di 39,90 m. Curioso l’impianto delle aperture: feritoie per i primi tre registri, monofore per il quarto e bifore per gli ultimi due. L’illuminazione dello spazio interno è ottenuta da minute feritoie, poste in prossimità degli angoli, e dalle aperture poste lungo le rampe. Questa torre, per le caratteristiche costruttive, la scala ricavata nello spessore della muratura e l’abside, guarda al modello della torre civica di Pavia, crollata nel 1989, e ad alcune torri campanarie delle chiese dell’area torinese e canavesana (Cattedrale e Santo Stefano a Ivrea, Santa Maria di Andrate e Sant’Andrea alla Consolata di Torino).
La rinascita di Fruttuaria si deve al citato Cardinale Carlo Vittorio Amedeo delle Lanze, alto prelato e intellettuale legato all’ Arcadia romana, figlio di Agostino, Conte di Sale e di Vinovo, e della Contessa Barbara Piossasco di Piobesi. Egli viene investito del titolo di Abate di Fruttuaria con Bolla papale del 5 agosto 1749, a firma di Papa Benedetto XIV. Al suo insediamento, secondo documenti coevi, le strutture dell’Abbazia e dell’annesso chiostro “si trovavano molto guaste e in deperimento”.
A testimoniarne le condizioni vi è una sola rappresentazione pittorica, seicentesca, conservata all’interno del castello di Aglié.
Il Cardinale decide di rifondare il complesso, già sede dei Cardinali di Savoia Amedeo e Maurizio, sul modello di San Pietro a Roma, vi si stabilisce e crea un seminario, avvia un’opera di ristrutturazione ed ammodernamento in chiave tardo – barocca, che coinvolge la chiesa parrocchiale, il nuovo palazzo, gli ambienti riservati ai seminaristi e il chiostro, sorto sul luogo di quello benedettino, i quali vengono a sovrapporsi alle residue strutture di epoca medievale.
Sulle scelte di carattere culturale, politico e religioso nell’opera di rifondazione avrà influenza la sua frequentazione romana, sin dal 1730, con il cardinale Alessandro Albani, collezionista di arte antica, legato alle scoperte archeologiche di Ercolano e Pompei e al Winckelmann.
Nel 1770, su progetto iniziale di Bernardo Antonio Vittone, inizia il nuovo cantiere di lavoro. Vittone muore quasi subito, gli subentra l’architetto Mario Ludovico Quarini. Il chiostro attuale risale a quella fase di ricostruzione del complesso.
Alla morte del Cardinale delle Lanze, nel 1784, le fonti descrivono un chiostro formato da diciotto arcate di portici voltati “formanti figura ottagonale” con una terrazza scoperta percorribile, pavimentata a bitume, protetta da un pavimento in mattoni sopra l’estradosso delle volte del primo ordine. Questo pavimento è descritto “in pessimo stato” e, per effetto delle infiltrazioni, risultava “bisognoso di riparazione per scongiurare l’imminente rovina”.
La realizzazione della galleria superiore con i pilastri in asse a quelli sottostanti risulta posteriore al 1784 e trova conferma nella data incisa in un coppo datato 1785, rinvenuto nel corso dei restauri.
In un recente restauro delle murature sono emersi elementi della fase romanica: quattro piccole arcate in muratura, rette da capitelli sostenuti da una colonnina. Il ritrovamento delle antiche strutture ha permesso di cogliere la complessità dell’edificio, ora visitabile attraverso un percorso museale didattico, grazie alla Associazione Amici di Fruttuaria.
Note
1) Nel 995 Guglielmo intraprende un primo viaggio in Italia, incontra a Roma Papa Giovanni XV, che gli conferma la potestà e il controllo dei monasteri da lui fondati.
2) Libania nasce a Barbania da Armerico (o Ermerico), signore di Barbania, Corio, Busano, Rocca e Rivara, di discendenza longobarda. Emerico rende co-signora di Rivara la figlia Libania; a 15 anni lei rifiuta le nozze previste e fugge a San Benigno di Fruttuaria, dove riceve l’abito benedettino dalle mani di Guglielmo da Volpiano. Il padre fonda per lei e le sue compagne il monastero di Busano, dedicato a san Tommaso e dipendente dall’abbazia di Fruttuaria; Libania ne diventa la badessa. Il monastero avrà ospite Agnese, madre dell’imperatore Enrico IV. Si narra che, prossima alla fine, un angelo venisse alla cella e la conducesse in chiesa, dove “l’anima se ne distaccò dal corpo per puro amore”.
Muore l’8 aprile 1064, viene sepolta in un luogo segreto nella chiesa di San Tommaso, per evitarne la deturpazione a scopo di trarne reliquie.
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