Di Alessandro Mella
Sono innumerevoli ed infinite le bellezze lacustri italiane ed il Lago Maggiore, diviso tra Piemonte e Lombardia, ne ospita moltissime. Proprio il lato lombardo, nel territorio di Leggiuno di Varese, permette di scoprire un angolo davvero paradisiaco tra quiete, riposo dello spirito ed incantevoli paesaggi: L’Eremo di Santa Caterina del Sasso.
Lasciata l’auto nell’ampio parcheggio, ci si può avvicinare all’ingresso dal quale parte una scalinata di 250 gradini. Normalmente, per anziani, disabili ed invalidi, è disponibile un ascensore che mi si è detto essere a pagamento (1 euro). Non ho sperimentato, essendo in manutenzione, quindi non posso dare conferma della tariffa e mi limito a darne cenno come notizia percepita.
Scendendo lentamente le scale si cammina lungo un piacevole percorso sul lago con panorami meravigliosi in mezzo a piante e natura. Le prospettive, le luci, rendono le acque di un azzurro intenso tale da farsi quasi blu vivo.
Il monastero vero e proprio, del resto, fu eretto proprio a strapiombo sul lago e letteralmente aggrappato alla parete scogliosa.
Secondo la leggenda la sua edificazione si deve a tal Alberto Besozzi il quale, nel XII secolo, fece naufragio durante un passaggio assai difficile sul lago. (1)
Nativo di Arolo, assai benestante e di famiglia in buona situazione economica, egli aveva fatto voto a Santa Caterina d’Alessandria. Promise di farsi eremita, di vivere in povertà, lungo la costa in caso di salvezza. Ebbe fortuna e sopravvisse per cui si ritirò come promesso dando origine alla piccola cappella, nucleo primario del complesso:
L’occhio del pio viaggiatore trova qui non senza difficoltà la rupe su cui si disegna pittoresco l’eremo di Santa Caterina del Sasso, uno di quei santuari, tanto magnificato dal secentista fraticello di Pallanza, e che merita di esser visitato, se non per devozione, certo per la magnifica vista che si gode di lassù su quell’erto dirupo, fiancheggiato da un pittoresco torrente che scende mugghiando nel lago.
Fu tra quei dirupi che, così vuole la leggenda, il nobile e dissoluto Alberto da Besozzo, fece naufragio, e salvatori in uno speco, si pentì di ogni suo peccato, e fece voto di darsi in quell’antro stesso a vita devota ed austera.
Regalò ogni suo avere ai poveri e visse ivi da eremita della carità dei passanti. Fu vivente questo eremita, poi dalla Chiesa beatificato, che si incominciò una prima cappella dedicata a Santa Caterina, dove si collocò, alla sua morte, il corpo del beato Alberto, la cui vita in realtà tanto misteriosa che mentre alcuni lo fanno morire l’anno 1330, altri lo dicono morto nel 1195, e che molti non ostante il suo nome, lo vogliono nativo di Milano, mentre scrive il Meriggia: «In Arrolo v’è un ceppo nobile di casa Besozza, tutt’uno con quello di Moallo (Monvalle) dal quale si ritiene che uscisse il Beato Alberto».(2)
Il fondatore del prezioso santuario, tra l’altro, riposa ancora oggi nella chiesa esposto alla devozione dei fedeli:
Dopo la prima cappelletta votiva a S. Caterina fu poi deliberato di innalzare una maggiore chiesa, l’attuale, che conserva nel suo interno la primitiva cappella.
Il 15 luglio 1535, scavandosi le fondamenta per la nuova chiesa, fu trovato un sepolcro con dentro un corpo intatto come se vi fosse posto da qualche mese appena. Era la tomba in cui era stata collocata per la pace eterna la spoglia dell’eremita Alberto da Besozzo. (3)
Nei secoli successivi sorse un piccolo monastero munito di incantevoli portici, locali per la preghiera e la vita quotidiana, chiese ed opere d’arte davvero pregevoli:
In tempi posteriori alla cappella si aggiunsero un convento e una chiesa che racchiude l’antica cappella. Nell’interno si veggono alcuni bei dipinti e sotto il porticato esterno un antico affresco che rappresenta una danza macabra, soggetto caro ai pittori nordici, e raramente dipinto da artisti italiani.
Ma più che la danza macabra, più della chiesa, del convento e delle antiche torri, interessa ili visitatore il così detto Sasso Ballarci, cioè un gruppo formato da cinque grossi macigni, i quali caduti a precipizio sulla volta e sfracellatala vi rimasero miracolosamente sospesi e in apparenza isolati, e ancora vi rimangono non ostante i terremoti, i turbini e le scosse prodotte dalle mine fatte scoppiare fra le sottostanti roccie.
Lasciamo alla fede o alla scienza la, spiegazione del fenomeno, e riprendiamo il nostro tragitto (…). (4)
Furono diversi gli ordini che si succedettero nella conduzione del monastero e nel tempo ognuno segnò in qualche modo le opere e le strutture.
Un luogo, tra l’altro, condizionato anche dalla posizione che, seppur suggestiva, l’espose sempre al rischio di frane e cedimenti. Nel corso dell’Ottocento il sentiero cinquecentesco fu interrotto ma maggiormente invasivo fu lo smottamento che riversò sulla chiesa massi che rimasero in “sospeso” nella volta fino al 1910 quando vi si staccarono autonomamente.
Queste situazioni complesse, unitamente al frazionamento del complesso tra vari parroci di zona, concorsero ad un temporaneo periodo di decadenza dell’eremo il quale, fortunatamente, venne quantomeno formalizzato come monumento nazionale nel 1914.
Con il passaggio della proprietà, nel 1970, alla Provincia di Varese fu possibile avviare una serie di restauri di primaria importanza e tali da restituire questa meraviglia alla popolazione nel 1986. Permettendo contestualmente il ritorno di ordini monastici: prima dominicani, poi benedettini ed oggi francescani. (5) Insomma, Santa Caterina resta un luogo meraviglioso per tutti. Religiosi e turisti, semplici appassionati e curiosi. Una bellezza condivisa.
Alessandro Mella
NOTE
(1) Parte delle notizie di questo breve articolo proviene dai pannelli esplicativi esposti.
(2) La Gazzetta del Lago, 102-106, Anno XVI, 25 dicembre 1923, p. 6.
(3) La Stampa della Sera,88, Anno LXIX, 15 aprile 1935, p. 3.
(4) La Gazzetta del Lago, 102-106, Anno XVI, 25 dicembre 1923, p. 6.
(5) Riguardo all’arrivo dei dominicani si veda: Corriere della Sera, 28 febbraio 1986, p. 33.
© 2024 CIVICO20NEWS – riproduzione riservata
Scarica in PDF