Riflessioni sulla recente riproposizione di Jacques Ellul
Non so quanti lettori abbiano in questi ultimi anni percepito un fenomeno crescente, insidioso e fastidioso che va sempre più riempiendo la nostra vita privata e pubblica: la propaganda.
Non si tratta di cosa nuova: da sempre il potere ha piegato a sé le menti e i cuori dei suoi sottoposti -non importa se sudditi dell’ancien régime o cittadini dello stato post-rivoluzionario, liberale o democratico- con una pluralità e varietà di mezzi più o meno coercitivi. Da sempre il potere tende a una qualche forma di assolutismo e di totalitarismo e da sempre sta al cittadino respingerne gli assalti: si tratta di un’antica dialettica mai sopita.
Oltre ai mezzi brutali della repressione materiale, che vanno dal carcere alle esecuzioni singole e di massa, dalle deportazioni ai genocidi, il potere ha sempre avuto come strumento imprescindibile delle sue peggiori tendenze la propaganda, cioè la veicolazione di contenuti mentali ed emozionali e la creazione continua di états d’esprit predefiniti nel più grande numero possibile di persone.
Il fenomeno è stato studiato da molti: Gustave Le Bon, il precursore della psicologia delle masse, il cui testo fondamentale -si dice- fosse particolarmente apprezzato da Mussolini; Edward Bernays, nipote di Sigmund Freud; Marshall McLuhan e la sua analisi dei mezzi di comunicazione; Vance Packard con la nuova idea dei persuasori occulti, e molti altri.
Ma c’è uno studioso che forse non ha avuto la notorietà che merita e che è stato riscoperto in Italia solo recentemente: Jacques Ellul (1912-1994), sociologo, giurista e teologo francese, sostenitore dell’anarchismo cristiano, dalle opinioni in buona parte sovversive e non sempre condivisibili. Tuttavia la sua analisi della propaganda del 1962 è sicuramente affascinante ed è stata riproposta in questi giorni da un piccolo editore come PianoB: un lavoro datato ma che ha intuito aspetti del fenomeno latenti all’epoca, oggi diventati però macroscopici e inquietanti e che sono sotto gli occhi di tutti, o almeno degli occhi di chi vuole vedere.
Intanto Ellul distingue fra propaganda “di agitazione”, che serve ad affermare una nuova visione del mondo, e propaganda “di integrazione” che è quella finalizzata a mantenere l’assetto ideologico e di potere corrente, proprio delle nazioni evolute. E’ certamente quest’ultima quella che più ci interessa oggi e che vediamo, o forse sentiamo, crescere progressivamente, una propaganda sempre più invasiva delle menti e dei cuori, fatta di idee e immagini a larga diffusione, ripetitive, ricorrenti e infine ossessive.
A questo tipo di propaganda non si sfugge: dalla pubblicità di un aperitivo a un principio etico condiviso, dalla promozione di un libro a quella di un partito politico, da un percorso turistico all’idea della società inclusiva, dalla pubblicità automobilistica a una concezione geopolitica, mondialista o green. Tutto è propaganda.
Se poi si va a toccare temi “sensibili” come il razzismo, l’omofilia, l’immigrazione, il conflitto ucraino o la maternità surrogata, o altro ancora, la propaganda, sospinta dalle lobbies e dai vari poteri organizzati, diventa quasi propaganda di guerra dove i toni salgono oltre ogni razionalità.
Gli esempi recenti della narrazione pandemica e della guerra nell’Europa orientale hanno sfiorato, e spesso oltrepassato, la soglia dell’isteria collettiva: vaccinismo e antiputinismo obbligatori, a un pelo ormai dalla caratterizzazione penale, dando luogo alla degenerazione più pericolosa del fenomeno propagandistico, la criminalizzazione del dissenso.
La propaganda “di integrazione”, per usare l’espressione di Ellul, nel tentativo di stringere la gente attorno alle idee del potere assume qui aspetti del tutto autoritari e illiberali, mascherandosi spesso da difesa di valori liberali e democratici.
Ma c’è un altro spetto interessantissimo nell’analisi di Ellul che ci apre la mente sul fenomeno propagandistico di oggi. Ellul sostiene che la propaganda agisce molto più rapidamente, efficacemente e profondamente sulla mente delle persone più istruite e più acculturate. Sono le classi più in alto nella scala sociale a risentire degli effetti nefasti dell’attività propagandistica, mentre la gente semplice, meno istruita, meno alfabetizzata è più difesa dagli attacchi dei mezzi di comunicazione.
La propaganda, scrive il sociologo, “funziona tanto meglio quanto più l’ambiente in cui si trova è agiato, colto e meglio informato. L’intellettuale è più sensibile alla propaganda di integrazione di quanto non lo sia il contadino. Condivide maggiormente, in effetti, gli stereotipi della società, anche quando è politicamente all’opposizione”. In altri termini, “affinché possa ricevere la propaganda, l’individuo deve aver raggiunto un minimo di cultura”.
Sostanzialmente Ellul ritiene che l’istruzione sia il presupposto per l’efficacia della propaganda, essa “mette l’uomo a disposizione della propaganda (…) Il risultato più evidente dell’istruzione primaria del Diciannovesimo e del Ventesimo secolo è stato quello di aprire l’essere umano alla grande propaganda”.
Un fenomeno, questo, che si basa anche su quella che egli chiama la “manipolazione dei simboli” la quale ha una potenza psicologica molto superiore alla manipolazione delle idee che, bene o male, devono in qualche misura superare il giudizio critico della ragione individuale e collettiva.
Torna in mente, per certi versi, quel che scriveva Prezzolini nel 1905 su La Cultura: “Le scuole sono la cristallizzazione della coltura, presso a poco come il diritto lo è della morale, e il ghiaccio lo è dell’acqua. Perciò le scuole sono quasi sempre in arretrato sulla coltura e richiedono ritocchi e spinte per farle andare avanti”. Dimenticando forse di dire che le scuole, quasi marxianamente, sono anche lo strumento di conservazione e trasmissione delle ideologie imposte dalle classi dominanti.
Teniamo conto che Ellul scriveva nel 1962, sessant’anni fa, in un’epoca dove i mezzi di comunicazione si riducevano alla carta stampata, al cinema, a un principio di televisione. Possiamo immaginare quale potenza di fuoco essi hanno sviluppato durante questo periodo?
L’idea che le élites colte, o almeno istruite, siano le più fragili rispetto alla propaganda spiega comunque alcune cose: il tono spocchioso dei giornali, dei talk show, delle televisioni, il narcisismo degli opinion leaders e dei padroni del discorso che pensano di pensare e di far pensare gli altri.
Tentativo spasmodico di far passare eleganti idiozie per raffinate verità ma, sopratutto, bullismo intellettuale verso la gente semplice che prova a ragionare con la sua testa sulla base di opinioni derivate dalla realtà, ma anche verso tutti coloro che orgogliosamente vogliono restare fuori dai suoni e dai rumori del circo mediatico, che siano pastori delle vallate alpine o borgatari romani. Purché conservino ancora in sé qualche resto genuino di quella antica cultura popolare che può permettersi di mandare al diavolo i direttori di telegiornali e i tenutari, e le tenutarie, delle susseguenti trasmissioni serali.
© 2023 CIVICO20NEWS – riproduzione riservata