Quando l’anima parla.
Vorrei raccontarvi una breve storia. La storia del mio fugace rapporto con un ragazzo conosciuto in adolescenza. Un bel ragazzone, corpulento, sportivo, di temperamento discreto, taciturno, piuttosto restìo a mettersi in mostra, anche se, suo malgrado, finiva per trovarsi spesso al centro dell’attenzione.
Nei nostri frequenti discorsi la sua sensibilità emergeva cristallina, senza forzature né orpelli, semplice e sincera, scevra da ogni maschera. Questo, per sua ammissione, gli causava grandi inquietudini, non potendo ancora attingere, a causa della sua giovane età, a tutto quel bagaglio di esperienza vissuta che gli avrebbe consentito di colloquiare in maniera più consapevole con le sue grandi profondità d’anima.
Invece questo non accadeva. Il ragazzo era sballottato in continuazione tra mille sentimenti ed emozioni contrastanti, di cui non capiva né la provenienza, né il senso. Un giorno, stanco di questo gioco, mi salutò e mi disse: «Caro amico, è giunto per me il momento di andare. Non so verso quali cammini, ma so che è ora di partire. Un giorno tornerò, più canuto e plasmato dalla vita. Quel giorno non avremo bisogno di parole per intenderci. Saranno le nostre anime a dialogare tra loro direttamente».
Con queste parole ed un abbraccio mi lasciò. Da allora, non volsi ad incontrarlo mai più. Può essere che tornerà, che un giorno me lo ritroverò davanti all’improvviso, così come all’improvviso, oltre nove lustri or sono, spari dalla mia vista. Nessuno può saperlo. L’ultima cosa che fece, prima di partire, fu di lasciarmi il quaderno delle sue poesie adolescenziali, che da allora conservo gelosamente, come fosse il bene più prezioso che mi sia mai stato affidato.
Di tanto in tanto le leggo, le medito, le pondero e torno a leggerle nuovamente; e ad ogni rilettura, qualcosa di più profondo mi si disvela, come se fosse sempre stato lì, in attesa finalmente di un mio cenno di risveglio.
Ve ne voglio proporre qui una, senza fatui commenti.
S’intitola: “La battaglia”. Eccola:
«Senti mai, o capitano,
venir quel rumore su dalla valle;
è qui vicino, no è lontano!
È il nemico che attacca alle spalle.
Son sotto la luna e lo vedo salire,
da sopra l’altura lo vedo attaccare
e nella notte lo sento morire,
morir per qualcosa che non sanno accettare.
Mentre gli sparo in questa battaglia,
giocavo anch’io alla guerra quand’ero bambino,
eppur ora falciandoli con la mia mitraglia,
distruggo negli altri il mio stesso destino.
Sono anch’essi ragazzi che han lasciato una terra,
la famiglia, la donna, i ricordi lontani,
che adesso nel corso di questa guerra
vedo cadere allargando le mani.
C’è un ragazzino che è caduto più in basso.
Vado a vedere, non ha ancora vent’anni;
l’ho visto cader, tirato giù come un sasso,
sol perché vestiva diversi miei panni.
Gli scopro il volto rigato di sangue,
con altre parole mi chiede un aiuto.
Al chiaror della luna m’accorgo che piange;
ma non è il dolore, è il suo commosso saluto.
Mentre lo tengo e lo vedo morire,
mi sorprendo pensare ciò che faccio e che sono;
io l’ho ucciso e non riesco a capire
la vera ragione del suo perdono.
Così tutto assorto nei miei pensieri,
non sento quel fischio e vedo solo un bagliore.
La schiena l’ho in pezzi, ora sono guai seri,
ma per la vita che esce non sento dolore.
Ancor sotto il furore di quella battaglia
sento una mano stringermi forte;
è il ragazzino, che in quella boscaglia
si era incontrato con la sua morte.
Adesso ho capito! In quello sfiorire
ho visto il simbolo dell’innocenza,
di chi ha fatto la guerra senza capire,
di chi ha sempre cercato la benevolenza.
A quanto pare anche per me è finita.
La testa mi gira, non so più respirare.
È la punizione per questa mia vita?
Oppure il premio per non aver voluto accettare?
Voluto accettare le assurdità
di questa guerra che sto combattendo
ed esser premiato con le beltà
di quella Vita che guadagno morendo!»
Con immensa gratitudine, arrivederci un giorno, amico mio!
luca rosso
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