C’è chi è curioso e vuole semplicemente conoscere. C’è chi invece vorrebbe subito sapere tutto e anche di più. Alcuni cercano la conoscenza assoluta per giungere alla comprensione più profonda e alla suprema verità. Chi, in fondo, non ha mai provato il desiderio e la fame di conoscenza?
Poiché la testa dell’uomo possiede due organi dell’udito, due della vista, due dell’odorato e uno della parola, e sarebbe inutile aspettarsi di parlare dalle orecchie o di udire dagli occhi, allo stesso modo ci sono stati tempi in cui la gente vedeva, in cui udiva e tempi in cui ha odorato. Entro breve tempo verrà l’epoca, che si avvicina a grandi passi, in cui toccherà alla lingua ricevere l’onore di esprimere tutto ciò che si è visto, udito e odorato in passato. Dopo che il mondo si sarà risvegliato dal suo sonno di ebbrezza bevuto dalla coppa avvelenatrice, l’uomo andrà incontro al Sole nascente, alla nuova alba, con il cuore aperto, il capo scoperto e i piedi nudi, gioioso e felice.
Confessio Fraternitatis, Cap. VIII
Tutti noi vogliamo conoscere. Il sapere ci rassicura, rende il mondo prevedibile, ci protegge e ci tranquillizza. La conoscenza domina, supervisionando ogni cosa e controllando il caos. Il sapere è un solido appoggio, una corazza contro l’ignoranza; costruisce dei muri intorno a sé e si pone come un bastione a difesa dell’imponderabile ignoto.
Il sapere pone all’esistenza delle condizioni: se manteniamo un impiego, se siamo in buona salute, se abbiamo un tetto sulla testa, allora… Ma anche condizioni meno materialistiche: se siamo onesti, giusti, autentici, umili, assennati, miti, equilibrati, allora… Allora tutto andrà bene, ci suggerisce la nostra “comprensione intelligente” del mondo. Comprensione intelligente che tenta di porre la nostra esistenza su basi solide e sicure e si sforza di colmare e soddisfare la nostra vita.
Allo stesso tempo, però, esiste il non-sapere. Da sempre ci rode silenziosamente dall’esterno come dall’interno. Dal tormento del non-sapere ci difendiamo volgendo lo sguardo altrove, nascondendo la testa sotto la sabbia o semplicemente alzando le spalle. Ma il non-sapere è paziente, e ci raggiunge dalle strade più inattese. Finché un giorno capita che ci troviamo immersi totalmente in esso. Prima o poi, di fronte alle grandi questioni esistenziali, la nostra comprensione intelligente ci abbandona.
Chi non ha mai sentito il disagio, la sofferenza, la vergogna e l’umiliazione, quando la nostra fame di conoscenza e comprensione non può più essere soddisfatta e dobbiamo ammettere che non abbiamo una risposta? In ogni modo, tutti abbiamo provato l’esperienza del non-sapere o del “non-sapere più”.
Non-sapere non significa una mancanza di educazione o di cultura generale, come non essere in grado di riparare una macchina o non conoscere la risposta ad un quiz. Il non-sapere inteso qui non ha nulla a che fare con il mondo fisico nel quale viviamo. Non è neppure dovuto a una inadeguata educazione, a una insufficiente quantità di nozioni accumulate e possedute, a fatti un tempo conosciuti e poi dimenticati. Qui non si intende il banale, insignificante non-sapere dell’esperienza quotidiana. Il non-sapere cui ci si riferisce è il non-sapere silente, il quale non risponde alle nostre appassionate, superficiali, impazienti domande sulle profondità abissali e sulle più alte vette della nostra esistenza. Nessuna porta si aprirà in risposta al nostro prepotente bussare. La verità non può essere manipolata dalle nostre aspettative né dalle condizioni che noi stessi vorremmo porre.
Riferendoci al non-sapere, distinguiamo nettamente tra il nostro banale, insignificante non-sapere e il Grande Inconoscibile che appartiene a un altro regno. Il Grande Inconoscibile non può essere definito ricorrendo ai nostri consueti parametri. È ovunque, aperto, illimitato, al di là di tutte le negazioni, oltre il positivo e il negativo. Il Grande Inconoscibile, irraggiungibile dalla nostra coscienza dialettica, racchiude in sé uno straordinario potere, un potere sotteso a tutto. Questo potere è l’essenza di ogni cosa, la forza sostanziale di tutto ciò che è, un potere che il nostro intelletto non può cogliere né comprendere.
Che cos’è dunque questa forza, questo potere? Come possiamo metterci in relazione con essa? Potremmo mai comprenderla? Una canzone per bambini racconta del meraviglioso regno degli angeli, dove tutti noi vorremmo andare, ma il cancello di quel regno è chiuso a chiave e la chiave è rotta. Chi può riparare quella chiave? Il Grande Inconoscibile, l’essenza di ogni cosa, potrebbe essere questa la chiave del regno degli angeli, del Nirvana? È il cammino verso il regno divino? Qual è la chiave che apre quella serratura? Quale sapere dovremmo utilizzare per aprire quel cancello? Non certo il nostro sapere intellettuale.
Ammettere che non abbiamo risposte ci costringe a una ricerca. Quante volte abbiamo pensato di possederle e quanto spesso ci siamo disillusi. Alla fine, dobbiamo ammettere che non siamo in grado di trovare le risposte. Non è facile accettare che, dopo averle provate tutte, non siamo venuti a capo di nulla. Non abbiamo trovato alcuna risposta. Più cose sappiamo, più conoscenze abbiamo accumulato nel corso del tempo, e maggiore è l’impatto con la consapevolezza che nessuna di esse può aiutarci a rispondere alle domande fondamentali della vita. Il “voler sapere” si inabissa nelle infinite profondità del non-sapere. Rimane soltanto “io non so”. L’io si arrende, capitola.
A questo punto restiamo con tutta la nostra conoscenza accumulata nel corso degli anni, con tutte le esperienze vissute, senza tuttavia sapere nulla sull’essenziale, trascinati verso la disperazione; sussurrando, col cuore spezzato, una preghiera supplice. Il non-sapere diventa quindi il punto di svolta del nostro viaggio.
Scendi più in basso, scendi sino al mondo della solitudine perpetua.
Un mondo che non è un mondo, ma un non-mondo,
oscurità interiore, privazione e destituzione di ogni proprietà,
offuscamento del mondo dei sensi, svuotamento del mondo della fantasia.
T.S. Eliot, Quattro Quartetti
Se restiamo calmi e sereni, e non fuggiamo verso il porto sicuro del nostro sapere consueto – di solito è il primo impulso – possiamo scoprire quanto grande e spazioso e ricco di ossigeno possa essere il non-sapere. Abbiamo la possibilità di fermarci e respirare, senza fretta – seppure tremanti ed esitanti – e di sopportare di non-sapere, restando immobili in questa immensità di idee, di ideologie, di principi e di immagini.
Quando siamo spinti dal nostro io che pretende di sapere tutto, quando siamo tentati di comprimere tutto entro schemi prestabiliti che hanno un senso per noi, quando il nostro io si prepara alla prossima battaglia contro il Grande Inconoscibile, allora dobbiamo mantenere la calma e perseverare.
Ho detto alla mia anima:
sii silenziosa e lascia
che l’oscurità ti pervada.
Sarà l’oscurità di Dio.
T.S. Eliot, Quattro Quartetti
Restare nel non-sapere non significa arrendersi. Il non-sapere esige un ardimento non comune. Il non-sapere vuol dire ampliare lo scenario, spalancare la porta, iniettare nuova linfa, predisporre una apertura per il rinnovamento, per l’Altro.
Il non-sapere implica la lucida consapevolezza che in questo mondo ogni cosa ha il suo opposto, che ogni fenomeno ha un rovescio della medaglia e che tutti i suoi aspetti non sono in realtà separati, poiché tutto procede dall’Unità.
Il non-sapere non è un gioco, tuttavia si potrebbe qualificarlo come leggero, rilassante, smascherante, disarmante. Ma si tratterà allora del sospiro liberatore della rana tronfia del proprio sapere?
Rimanete quindi vigili: nel non-sapere cosciente risiede anche il pericolo di saper imitare e di trasformare tutto ciò che non ha fondo in un fondo. Il non-sapere non è qualcosa da realizzare, non può essere compreso nelle nostre agende, non si lascia raggiungere seguendo tappe precostituite secondo buone abitudini e una saggia direzione. Solo quando il nostro ego, con tutta la sua energia e forza di volontà, ha provato di tutto per trovarlo; solo quando il nostro ego esausto si arrende, solo allora il non-sapere può essere trovato.
Non-sapere è povertà di spirito. La potenza della materia si indebolisce. Per l’io, il non-sapere annuncia una fermata, che non è il capolinea. Non-sapere è una soglia, un passaggio o una transizione, l’inizio di un cammino. Questo cammino ha molte deviazioni e può richiedere molto tempo per essere percorso.
L’ego è un bruco che attende in un bozzolo di non-conoscenza.
Quanto è davvero importante non può essere realizzato o afferrato dall’io. Occorre aspettarlo. Nel non-sapere rinunciamo al controllo e ci abbandoniamo nelle mani dell’Altro.
Nel non-sapere dimorano miracolo e mistero. Non-sapere è una grande benedizione.
Nel non-sapere, il cercare e il trovare arrivano al termine; siamo noi a essere cercati e trovati. Là, aspettare significa continuare. E così, all’improvviso, possiamo fare l’esperienza di un Sapere proveniente da un altro regno. Un Sapere di un’altra natura, un Sapere che non ha origine nell’io ma nell’Altro. Il nostro piccolo, insignificante sapere non è in grado di penetrare nel grande Sapere, anche se essi sono inseparabili. Aspettiamo quindi la farfalla. Qui, nella terra di nessuno.
Ho detto alla mia anima: sii silenziosa, nell’attesa senza speranza.
Per la speranza sarebbe speranza mal risposta, nell’attesa senza amore.
Per l’amore sarebbe amore mal risposto.
Resta ancora ancora la fede.
Ma la fede, la speranza e l’amore sono tutti in attesa.
Attendi senza pensare, perché non sei pronta per il pensiero:
così l’oscurità sarà luce, e la quiete danza…
T.S. Eliot, Quattro Quartetti
Articolo tratto dalla rivista Pentagramma – Edizioni Lectorium Rosicrucianum
Scuola Internazionale della Rosacroce d’Oro
https://www.lectoriumrosicrucianum.it/
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