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Una vita in due terzine
Nel quinto canto del Purgatorio Dante e Virgilio incontrano le anime dei “morti per forza”, cioè di coloro che morirono di morte violenta e si pentirono dei loro peccati solo un attimo prima della fine. Vedendo giungere i due poeti le anime si rivolgono a loro gridando:
Noi fummo tutti già per forza morti,
e peccatori infino a l’ultima ora;
quivi lume del ciel ne fece accorti,
sì che, pentendo e perdonando, fora
di vita uscimmo a Dio pacificati,
che del disio di sé veder n’accora.
Le anime, stupite di vedere nell’oltretomba uomini ancora vivi, si rivolgono a Dante perché preghi per loro; le preghiere dei vivi sono infatti efficaci nel Purgatorio, perché possono diminuire il tempo della pena da scontare prima di poter salire in Paradiso. La prima anima a parlare è quella di Iacopo del Cassero, uomo politico all’epoca molto noto, ucciso nel 1298 dai sicari del suo nemico Azzo VIII, signore di Ferrara, alle cui mire espansionistiche si oppose con decisione quando era podestà di Bologna; la seconda è quella di Buonconte da Montefeltro, che combatté, con gli aretini, nella battaglia di Campaldino del 1289 tra guelfi fiorentini e ghibellini di Arezzo, dove fu sconfitto e morì. Anche Dante, guelfo fiorentino, partecipò alla celebre battaglia. La terza è Pia dei Tolomei, la seconda donna che parla con Dante nel suo viaggio nell’oltretomba :
“Deh, quando tu sarai tornato al mondo,
e riposato de la lunga via”,
seguitò ‘l terzo spirito al secondo,
“ricorditi di me che son la Pia
Siena mi fé, disfecemi Maremma:
salsi colui che ‘nnanellata pria
disposando m’avea con la sua gemma”.
Anche lei, come Francesca da Rimini, si rivolge a Dante come una castellana cortese dal cuore nobile; solo dopo che sarà tornato nel mondo dei vivi e si sarà riposato, e solo allora, l’anima gli chiede di ricordarsi di lei nelle sue preghiere. E racconta la sua vita in una terzina, quella sopra riportata, una delle più ricche e retoricamente elaborate della Commedia.Il luogo di nascita e quello di morte sono posti alle due estremità del verso, al centro del quale l’espressione “mi fè” e il suo contrario “disfecemi” sono vicine, ma separate e quasi contrapposte dalla virgola che le divide e dal pronome, separato nel primo caso e unito al verbo, invece, nel secondo. Una struttura chiastica e un artificio retorico che rendono questo verso quasi una epigrafe funeraria efficacissima per un odioso femminicidio. Pare che Pia dei Tolomei, appartenente ad un’importante famiglia senese, sia andata sposa a Nello dei Pannocchieschi, podestà di Volterra e di Lucca, vissuto almeno fino al 1284. L’uomo, non si sa se per un’infedeltà della moglie o per passare a nuove nozze, la rinchiuse nel castello della Pietra, dove la uccise o la fece uccidere da dei sicari, facendola precipitare da un balcone del castello. Ancora oggi la tradizione indica un dirupo su cui sorgono le rovine del castello come il “Salto della contessa”. E come ricorda Pia dei Tolomei l’uomo responsabile della sua morte?
Non lo nomina; di lui rievoca, più che il momento del matrimonio, quello del fidanzamento. “Disposare” significa infatti esprimere la volontà di sposarsi, “inanellare” dare un anello come segno di tale volontà. Pia ricorda quindi quella lontana promessa d’amore, quell’anello, quella gemma preziosa, quell’uomo che forse aveva continuato ad amare. Ma ormai siamo in Purgatorio;
le anime sono pentite dei loro peccati, sono quasi dimentiche del mondo e pronte ed espiare le loro colpe in attesa del premio che le aspetta in Paradiso.
La storia di Pia e le sue parole sono passate intatte, nella loro perfezione stilistica, attraverso i secoli. La sua storia è stata ripresa nella letteratura popolare e colta, come nella pittura dei preraffaelliti di Dante Gabriele Rossetti, in un film del 1910 e in un altro del 1958, fino, tanto per concludere con una nota leggera, ma artisticamente molto riuscita, all’opera rock che le ha dedicato Gianna Nannini. La cantautrice ne fa un un’eroina romantica e disperata, chiusa tra le mura del castello della Pietra, privata della libertà e dell’amore del marito, verso cui prova ancora una bruciante passione. In realtà non sappiamo molto di questo personaggio e le diverse rivisitazioni che ne sono state fatte nel tempo trovano la loro giustificazione nell’arte e nella sensibilità dei vari autori. Ma la sua attualità è fuori discussione: i versi di Dante proiettano Pia dei Tolomei nel nostro secolo, nel nostro paese, dove solo nel 2023 sono state uccise centoventi donne, di cui sessantaquattro da mariti, compagni, ex. E dal gennaio all’8 marzo di quest’anno ci sono state altre venti vittime, diciotto in ambito familiare ed affettivo, otto per mano del partner o ex. Diamoci tutti da fare perché Pia de Tolomei rimanga un meraviglioso esempio di poesia immortale, ma appartenga ad una realtà ormai cancellata dal nostro mondo. Forse qualcosa lo possiamo fare tutti.
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