Gli appunti di un conservatore doc
In un pamphlet di alcuni anni fa Alfredo Mantovano cercava di spiegare che cosa sia un politico conservatore, il testo prendeva il titolo di “Ritorno all’Occidente. Bloc-Notes di un conservatore”, edizioni Spirali (2004). Presentando il libro, Giovanni Cantoni, sollecitava i lettori a non turbarsi del termine,“conservatore” e per l’occasione citava,“un brano di uno dei fondatori del Partido Conservador colombiano, José Eusebio Caro Ibáñez (1817-1853): “Siamo conservatori — scriveva il 4 ottobre 1849 — e ci denominiamo così con orgoglio perché vi è molto da conservare, va conservato l’individuo, va conservata la dignità della persona umana, va conservata la famiglia, va conservata la proprietà, va conservato il diritto, va conservata la giustizia, va conservata la società, va conservata la repubblica. Il nome conservatore significa che quanti appartengono al partito vogliono conservare la civiltà, la cultura e i valori essenziali della nazionalità”. (Giovanni Cantoni, Presentazione di «Ritorno all’Occidente», 6.2.2005, Cristianità, n. 327). L’esponente colombiano propone un manifesto sintetico dei conservatori.
Ho riletto il libro di Mantovano e mi sono convinto, che oltre ad essere profetico, potrebbe dare un grosso contributo al dibattito che si è aperto negli ambienti della Destra per la nascita di un eventuale partito conservatore.
Introdotto dal giornalista Giuliano Ferrara, lontano culturalmente dalla fede di Mantovano, ma nello stesso tempo è riuscito a descriverne le qualità meglio di chiunque: “Una persona seria, documentata, che fa una cosa alla volta, che si prepara…Ha una fede cattolica non invasiva però mai assente, mai in fuga…Scrive bene, con uno stile asciutto ma non burocratico, perché ha letto, conosce i classici antichi e moderni…”
Sarei tentato di scrivere che forse la premier Giorgia Meloni dopo aver letto queste righe, lo ha scelto come suo sottosegretario alla Presidenza del Consiglio. Ferrara, considera Mantovano, “il Violante del Centrodestra”, anche per la sua esperienza, vissuta con rigore e tormento di magistrato. “Mantovano sa esemplificare senza ricattare moralmente alcuno, sa raccontare storie e non soltanto esporre opinioni, ciò che fa di lui uno scrittore da leggere per l’interesse politico delle sue posizioni…” Continua Ferrara,“Del conservatore moderno ha quel sentimento un po’ antico che è la compassione, ma conosce l’itinerario del rispetto, sa parlare delle donne, che sono il centro di una furiosa battaglia di civiltà e di grandi equivoci nel campo delle tensioni religiose del nostro tempo…”.
Mantovano in queste pagine presenta una Destra che probabilmente non trovate in altre parti. “Tollerante, ma non ignara, benigna e anche paludata ma aggressiva nelle questioni che contano, informata e colta”. Una Destra così è necessaria per l’Italia e per l’Europa. La prefazione del libro è di Gianfranco Fini, allora segretario e presidente di Alleanza Nazionale. “Ritorno all’Occidente”, è un libro di 312 pagine che si legge tutto d’un fiato. Mantovano alla visione tecnicistica della politica, contrappone una visione realistica, una visione “conservatrice”, che si riappropria della migliore tradizione europea.
Fini nota che dopo il Manifesto di “Prezzolini, questo di Mantovano sia l’unico libro nel quale un protagonista di primo piano nella politica nazionale rivendichi a voce alta il diritto di definirsi conservatore e il dovere di professare ‘verità’ che non da tutti sono più avvertite come tali e che anzi, in alcuni casi, suonano come politicamente scorrette”. Il testo è anche una sfida al politicamente corretto, per la storia del nostro passato come il Risorgimento e la formazione dello stato unitario. “Parlare male di Garibaldi”, non significa non amare la Patria.
Fini individua la necessità di un “pensatoio” nella Destra per discutere i temi alti, che superi le correnti partitiche, per dare una scossa alla politica italiana. Quello del “pensatoio” nella Destra è un progetto di vecchia data, ma che non parte mai.
“Mantovano non si tira indietro. Non solo egli ritiene che il pensiero conservatore sia nel giusto”. Ma pensa che, “le vere riforme può farle solo un conservatore. La riforma è un aggiornamento della tradizione, altrimenti è utopia. Tradizione, dal latino “tradere”, significa portare avanti”. (Gianfranco Morra, Sul Bloc notes di Mantovano gli appunti di un conservatore doc, 3.1.2005, Libero)
Mantovano apre il volume partendo dal diritto naturale, da un quadro di valori, la cui esistenza non dipende dai mutamenti della storia, dai conflitti di classe o di razza, dalla costruzione di mondi utopici, ma da valori che sono iscritti in modo stabile e immutabile nella natura dell’uomo; regole essenziali valide in ogni epoca e in ogni luogo. Per superare la degenerazione politica e del relativismo etico dell’Occidente, il sottosegretario propone una nuova forma mentis sul modello di quella dei neo conservatori americani. Ritorno all’Occidente è un testo documentato, le citazioni sono scelte con cura, soprattutto quelle tratte dall’alto magistero di quel gigante della Storia che è Sua Santità Giovanni Paolo II: “una democrazia senza valori si converte facilmente in un totalitarismo aperto, oppure subdolo, come dimostra la storia”.
Mantovano inizia da un lungo riferimento alla trilogia de “Il Signore degli Anelli”, del grande narratore e scrittore inglese John Ronald Reuel Tolkien: “Non tocca a noi dominare tutte le maree del mondo; il nostro compito è di fare il possibile per la salvezza degli anni nei quali viviamo, sradicando il male dai campi che conosciamo, al fine di lasciare a coloro che verranno dopo terra sana e pulita da coltivare”. Così spiega Gandalf ai compagni di avventura, alla vigilia della battaglia decisiva contro le armate di Sauron.
Il Signore degli Anelli è un romanzo che per decenni ha riempito il cuore di tanti giovani di Destra che hanno il senso dell’onore e amore per la terra, coraggio e disprezzo per la difficoltà, esaltazione dell’amicizia e gerarchia di valori fondati sulla tradizione. Tolkien, ma anche Thomas Stearns Eliot e di Clive Staples Lewis, una scuola di letterati inglesi di orientamento conservatore che erano apprezzati negli ambienti culturali e giovanili della destra, dai campeggi tematici, i campi Hobbit, per i militanti del Fronte della Gioventù. La gioventù di destra ispirandosi alle gesta di Frodo e Aragorn, hanno ricordato i tempi in cui coerenza e coraggio si traducevano in una difficile testimonianza quotidiana nelle scuole e nelle università, ma anche nei luoghi di lavoro e nelle sedi politiche.
Tanti gli argomenti affrontati da Mantovano, cercherò di fare una selezione, privilegiando quelli che a mio parere, possono dare un contributo al lavoro, al “Laboratorio” di Alleanza Cattolica sul conservatorismo. Per parlare di conservatorismo non si può prescindere dall’itinerario del processo rivoluzionario, che per secoli è stato protagonista nella Storia dell’Occidente. Un processo che svestito a poco a poco l’uomo e la società, descritto lucidamente dal pensatore cattolico brasiliano Plinio Correa de Oliveira.
Esiste una connessione strutturale secondo Gramsci tra la Riforma protestante e la Rivoluzione francese, due tappe fondamentali del processo, che si generano a vicenda. In pratica in queste rivoluzioni c’è una comune convinzione ideologica che il mondo è stato fatto male; così com’è non va, va cambiato alla radice, nei suoi elementi strutturali. Però non tutti possono dare il contributo per il cambiamento, saranno chiamati a farlo una ristretta cerchia di persone, le avanguardie della rivoluzione, dai capi giacobini ai dirigenti del partito comunista. Tuttavia, il processo unitario richiamato da Gramsci alla fine implode e finisce in un vicolo cieco. L’esito è il crollo del Muro, le pietre rotolano, e così va in crisi nel suo insieme l’itinerario del fondatore del PCI.
IL LIBRO NERO NON E’ BASTATO A FARE I CONTI CON IL COMUNISMO.
I Vescovi europei nel 1991 a conclusione del Sinodo per l’Europa hanno dichiarato: “il crollo del comunismo, mette in questione l’intero itinerario culturale e sociopolitico dell’umanesimo europeo, segnato dall’ateismo non solo nel suo esito marxista”. L’implosione dei regimi totalitari dell’Europa centrale e orientale è la certificazione storica della falsità della tesi di fondo del processo rivoluzionario sfociato nel comunismo. La logia, secondo Mantovano, imporrebbe risalire indietro, fino a scoprire dove si è sbagliato strada: “non per riprendere ad andare a cavallo invece che in aereo, ma per cogliere quei presupposti remoti, culturali e politici, che hanno condotto senza soluzione di continuità all’universo dei gulag”.
Questo finora non è stato fatto, o è stato fatto in modo incompleto e parziale. La sinistra non riesce a rinunciare alla sua creatura ideologica. Il Libro Nero del Comunismo di Stephane Courtois non è bastato a criticare l’intero iter rivoluzionario e le sue basi. Il costo umano del comunismo quantificato dal grande scrittore cattolico Eugenio Corti è spaventoso, circa 200 milioni di morti. Pertanto, la Sinistra oggi dopo il fallimento comunista è dovuta arretrare al trinomio del 1789, con le dovute attualizzazioni.
Infatti, una parte della sinistra arretra di una tappa di quel processo rivoluzionario, che peraltro reca in sé per intero i germi (e non solo i germi) del socialcomunismo. Del resto non c’è tanta differenza fra l’egalitè giacobina e il livellamento realizzato dai comunisti, o fra la ghigliottina uguale per tutti e il Gulag. Per Mantovano si tratta di un arretramento tattico che consente di evitare l’abiura della struttura profonda del processo rivoluzionario.
IL SUICIDIO DELL’EUROPA.
Il III capitolo, offre diversi spunti (La sindrome di Pilato) che riguarda la nostra Europa, che quasi sempre sugli argomenti sensibili se ne lava le mani. Rifiuta la verità e condanna a morte tanti innocenti anche se con l’Ucraina ha avuto un sussulto di dignità. Qui Mantovano tocca la grave questione dell’aborto, i vari Parlamenti europei che hanno introdotto l’aborto libero finanziato dal servizio pubblico.
Oggi dopo la scomparsa delle ideologie totalitarie marxiste si rischia di cadere in altre derive totalitarie, non meno gravi, come quelle dei fondamentali diritti della persona umana: “è il rischio dell’alleanza fra democrazia e relativismo etico, che toglie alla convivenza civile ogni sicuro punto di riferimento morale e la priva, più radicalmente, del riconoscimento della verità”. Sono parole di Giovanni Paolo II. Il Papa polacco conosce bene che cosa è stato il marxismo quante ferite incalcolabili ha provocato al suo popolo. “Paragonare la negazione dei diritti della persona causata dal comunismo – scrive Mantovano – che ha seminato il novecento di lutti e di tragedie, e la negazione dei diritti della persona che deriva dal relativismo etico significa mettere in guardia da un rischio che è tanto più forte e reale quanto più è subdolo e veste abiti di apparente democrazia”.
Le pagine del libro affrontano le questioni sensibili come quelle della bioetica e il rapporto che esiste con lo Stato totalitario. La democrazia ha dei limiti, ci sono dei valori e dei principi che non possono essere messi ai voti, Anche se questo non significa che si vuole imporre ad altri la propria opinione. La natura dell’uomo e l’oggettività dell’essere, prescindono dai voti e dalle maggioranze.
Il GULAG e la PROVETTA.
Mantovano cita Aldous Huxley, autore de “Il Mondo Nuovo”, ma anche “1984” di George Orwell o “Il Padrone del mondo” di Robert Hugh Benson, per descrivere le caratteristiche dello Stato totalitario che assomiglia molto a quello socialcomunista che controlla anche i momenti intimi della vita privata. Fino ad arrivare a pianificare la società attraverso al manipolazione genetica. Tuttavia, la società totalitaria che descrivono questi libri è più subdola e insidiosa di quella che volevano creare Marx, Lenin, Hitler. Del resto la meccanica di ogni totalitarismo è stata sempre quella di chiudere il mondo, o porzioni di esso, in un immenso lager/gulag, allo scopo di evitare in questo modo inquinamenti esterni, la realtà trasformata in una grande campo di concentramento si realizzano le condizioni per fare l’uomo nuovo.
Fondamentale il DIRITTO alla VITA e il DIRITTO NATURALE. Secondo Mantovano una battaglia d’avanguardia che la Destra è chiamata a combattere in prima linea, è quella della tutela e la promozione della vita sempre e comunque, con intelligenza, anche perché chiaramente, “la provetta non impressiona come il carro armato con la Stella rossa”. E’ una battaglia di resistenza e di coraggio. Attenzione a tenere distinta in questa battaglia la sfera confessionale religiosa da quella politica e giuridica, “si che parlare di difesa della vita equivale automaticamente a salire sull’altare, a indossare i paramenti sacri, e a iniziare un’omelia”.
La difesa della vita non è una questione di catechismo. La contrapposizione non è tra cattolici e non cattolici. Ma tra chi intende la natura un dato certo e normativo e chi un mero postulato culturale e quindi soggetto a contrattazione. Collegato a questo contesto c’è la sana laicità che dovrebbe rifiutare il relativismo di matrice giacobina e non comprimere la libertà religiosa. Il fondamento di tutto è il DIRITTO NATURALE, un quadro di valori e di istituti come il matrimonio e la famiglia, la cui esistenza non dipende dai mutamenti della Storia, dai conflitti di classe o di razza, dalla costruzione di mondi utopici…
La Destra non inventa nulla, fa esplicito riferimento al “realismo” contrapposto alla utopia della sinistra. Chi difenda la vita umana, chi propone la famiglia naturale tra un uomo e una donna, viene definito integralista, confessionale, se non “fascista”. Mantovano si concentra sul trasformismo politico del PCI, dal centralismo monolitico si passa al relativismo etico. Il partito nato dal Pc diventa una specie di supermarket, un partito radicale di massa.
Nel V° capitolo (Un’anima per l’Europa) si affronta il tema tanto discusso del rifiuto delle radici cristiane, si fa riferimento all’Esortazione apostolica “Ecclesia in Europa” nel quale Giovanni Paolo II parla di apostasia silenziosa della cultura europea, frutto di un plurisecolare processo di secolarizzazione. L’Europa non esisterebbe se si eliminassero le sue radici che sono cristiane. Nessuna imposizione, ma conoscere e capire da dove veniamo. Del resto, ogni Paese o nazione europea è stata fondata da un Santo. Non si può non fare accenno a S. Benedetto e ai suoi monaci, che “aravano e seminavano i campi e le coscienze dei popoli europei”.
L’Europa, l’Occidente sta morendo perché abbiamo negato e rotto con la nostra lunga Storia e la nostra civiltà. Mantovano su questi temi si affida allo storico delle civiltà, lo svizzero Gonzague de Reynold. Mantovano accenna al grande problema demografico del nostro continente, che sta mettendo in atto un vero e proprio suicidio demografico, come più volte ha sottolineato Giovanni Paolo II.
Naturalmente il libro accenna alla questione dell’immigrazione senza controllo, alla difficile integrazione soprattutto dei soggetti di religione musulmana, ma per farla bisogna avere una forte identità.
IL REVISIONISMO STORICO.
Il VI° capitolo (La Destra per una Storia condivisa) La Storia ha bisogno del revisionismo, conoscere la vera Storia: “La Verità è l’unica carità concessa alla storia” diceva Jaques Cretineau- Joly. Occorre andare alle radici del totalitarismo, ma la sinistra non lo vuole fare. Bisogna avere il coraggio di mettere in discussione i presupposti filosofici che hanno condotto al Gulag. Si crede ancora che l’arcipelago “è stato il frutto della follia o della cattiveria di singoli, e non l’esito coerente di ben determinate premesse di principio”. Parlando di Storia, si apre la questione dell’egemonia culturale di destra, in sostituzione a quella di sinistra, all’insegna del “governiamo noi, e quindi riscriviamo i libri di Storia”. Sempre in questo contesto si apre un’altra questione , quella dei Miti FONDATIVI Artificiali e la RICERCA della Reale IDENTITA’ Italiana. In pratica, “Fare i conti con la Storia”.
“A centocinquant’anni dall’unificazione e a sessant’anni dalla resistenza, non è forse giunto il momento di accertare se il mito di fondazione e il mito di rifondazione della nostra nazione hanno rispettato la sua vera identità?” Era il quesito che aveva posto Luciano Violante, costruire una storia unica della nostra Repubblica, nella quale tutti possano riconoscersi. Il problema per Mantovano non è una riscrittura dei manuali e delle monografie ad opera del Ministero dell’Università, come una sorta di “Storia di Stato”.
La sfida invece che interpella la Destra come la Sinistra è di provare a intendere una storia unica con le caratteristiche di “storia oggettiva”, “cioè di storia come descrizione fattuale di tutto ciò che è realmente accaduto, lasciando da parte le lenti dell’ideologia”. A questo punto Mantovano fa qualche esempio di storia che prende in conto i fatti. Certamente l‘Italia non nasce nel 1861, inoltre l’unità risorgimentale è stata imposta con la forza militare. Sempre per rimanere ai fatti, Mantovano ricorda la bellissima pagina storica delle Insorgenze del popolo italiano contro gli eserciti invasori francesi di Napoleone.
RISCOPRIRE L’IDENTITA’, RITROVARSI ITALIANI. Certamente l’unità d’Italia non si può cancellare. Studiare e recuperare tutte le pagine di storia non dev’essere una operazione nostalgica: “nessuno intende sostituire l’inno borbonico a quello di Mameli, né eliminare le lapidi commemorative di Garibaldi o di Cavour…”. E non basta recuperare solo la memoria delle foibe. Gli elementi di connessione fra storia, cultura e politica sono tanti…”La buona conoscenza della storia ci unisce, la cattiva conoscenza ci divide”. Non bisogna cancellare niente, apriamo tutti gli archivi, non soltanto quelli del PCUS, ma anche quelli del PCI.
Un importante capitolo da studiare è l’VIII° (Terrorismo, “questione religiosa” e libertà religiosa) Occorre vincere l’antiamericanismo residuale, è un monito sempre attuale. Qui Mantovano fa riferimento agli studi di Giovanni Cantoni e Massimo Introvigne e poi alla Dottrina Sociale della Chiesa che ci indica la distinzione tra politica e religione. Stando attenti a non separare totalmente la politica, la cultura dalla fede. Giovanni Paolo II ha più volte ricordato che una fede che non diventi cultura non è fedelmente vissuta. Questo tema porta a trattare la spinosa questione islamica in Occidente.
“MAGNA EUROPA”.
Salto qualche tema come quello del terrorismo (Capitolo IX°) e passo al X° capitolo (La Destra italiana nella “Magna Europa”) Siamo eredi di un patrimonio dilapidato. “L’Italia esiste almeno da Mille anni come unità culturale, frutto dell’eredità romana, forgiata in un crogiolo di lingue e di stirpi, la cui complessità si manifesta nel nostro caratteristico particolarismo”. Piaccia o non piaccia l’elemento unificante di tale composito quadro è stato nel corso dei secoli l’attaccamento al successore di Pietro.
Attenzione, l’Europa e quindi la Magna Europa frutto della cultura europea diffusa nel mondo, poggia su tre colli: il Partenone, il Campidoglio e il Golgota. Lo ha scritto il giurista austriaco Paul Koschaker (1879-1951). L’America non è quella di Hollywood, ci sono radici comuni con l’Europa, è figlia di Gerusalemme, Atene e Roma. Qui Mantovano cita lo splendido e documentato libro del professore argentino Alberto Caturelli, “Il Nuovo Mondo riscoperto. La scoperta, la conquista, l’evangelizzazione dell’America e la cultura occidentale”, edizioni Ares 1992
Dalla cultura della “MAGNA EUROPA” alla sua difesa. Mantovano chiude con la straordinaria testimonianza degli 800 martiri di Otranto, tutti decapitati dai turchi nel 1480. Ottocento martiri che in pratica hanno salvato Roma. Il 5 ottobre 1980, cinquecento anni dopo, Giovanni Paolo II si reca a Otranto per ricordare il sacrificio degli Ottocento. Nell’occasione rivolge un invito: “non dimentichiamo i martiri dei nostri tempi”. Il sacrificio di Otranto non è importante soltanto sul piano della fede.
Le due settimane di resistenza della città salentina hanno un grande significato anche per l’europeo di oggi, sovente disorientato, nella Storia della cristianità non sono mai mancate testimonianze di fede e di valori civili. Mantovano mette a confronto la “naturalezza” del sacrificio di Otranto e la “stanchezza dell’Occidente”.
A Otranto cinque secoli fa nessuno ha esposto i drappi arcobaleno, né invocato risoluzioni internazionali, o ha chiesto la convocazione del Consiglio comunale, nessuno si è incatenato sotto le mura per “costruire la pace”.
Il testo si chiude con un invito che potremmo fare nostro anche oggi: “Cercasi uomini (e donne) disposti a “correre qualche rischio per le proprie idee”.
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