
Fino al 2 febbraio 2025 in mostra alla Reggia della Venaria Reale (TO)
William Blake (Londra, 28 novembre 1757 – Londra, 12 agosto 1827) è un personaggio fuori dall’ordinario, nell’arte e nella letteratura britannica. Un artista romantico e spirituale, isolato e ignorato quando è in vita, produce opere visionarie in pittura, stampa e acquerello, che ispirano generazioni successive e sono ora riconosciute come un contributo unico alla cultura mondiale, ancora ispiratrici della nostra contemporaneità inquieta.
La mostra alla Reggia di Venaria Reale, visitabile fino al 2 febbraio 2025, propone una selezione delle sue opere più significative, provenienti dalla collezione della Tate UK, inserite nel contesto di un momento convulsivo dell’arte, dell’immaginazione e della storia britannica.
Segnaliamo che l’installazione video “William Blake: Re-Imagined Visions” è prodotta da BLINKINK e diretta da Sam Gainsborough.
La mostra segna, inoltre, la terza collaborazione tra la Reggia di Venaria e la Tate UK, dopo John Constable. Paesaggi dell’anima (2022) e Turner. Paesaggi della mitologia (2023).
Blake si forgia per sette anni, dal 1772, come apprendista incisore a Londra, nei quali ritrae dal vivo particolari delle chiese gotiche londinesi. Nel 1782 conosce lo scultore e disegnatore John Flaxman (York 1755 – Londra 1826, illustratore di Iliade, Odissea e Divina Commedia), che sarà il suo mecenate, e Catherine Boucher, che sarebbe diventata sua moglie. Verso il 1800 si trasferisce in un cottage, nel West Sussex, dove scrive il poema Milton: a Poem (pubblicato tra il 1805 e il 1808), ma già nel 1802 ritorna nella capitale. Realizza i ritratti dei personaggi de I racconti di Canterbury di Chaucer. A 65 anni inizia a lavorare alle illustrazioni del Libro di Giobbe, in seguito molto apprezzate da Ruskin, che lo paragona a Rembrandt. Nel 1824 riceve l’incarico di illustrare l’Inferno di Dante: le illustrazioni da lui realizzate non sono solo un accompagnamento al testo, ma sembrano rivederlo criticamente e fungere da commento degli aspetti spirituali e morali dell’opera, così come avviene con il Paradiso perduto di Milton.
Nell’ultimo giorno di vita ritrae la moglie, ma il quadro è andato perduto. Dopo la sua morte, molti suoi manoscritti vengono bruciati, in quanto ritenuti eretici.
William Blake, dunque: egli che, fin da giovane, sostiene di avere visioni, vive in parte nel periodo rivoluzionario, che vede la Rivoluzione francese sconvolgere gli assetti sociali e politici dell’umanità, cui segue un’epoca di radicale trasformazione delle idee sull’arte e l’immaginazione, in cui gli artisti hanno veicolato la loro creatività verso territori immaginari nuovi e inesplorati.
Le immagini senza tempo di Blake sono esposte accanto a quelle degli artisti che più lo hanno ispirato, tra cui Henry Fuseli, Benjamin West e John Hamilton Mortimer.
La mostra, che presenta Blake e gli artisti che ha ammirato e che ha ispirato, offre una visione entusiasmante di un’epoca di straordinaria originalità e innovazione dell’arte britannica.
Egli si considera un profeta, un visionario inascoltato, e tale è stato: sempre alla ricerca del sublime, attraverso la paura e lo stupore che emanano dalle sue immagini, ci illustra l’angoscia e il tormento dell’anima.
Ogni sezione tematica della mostra è incentrata su una selezione di opere chiave di Blake accanto a opere strettamente correlate di altri artisti, secondo categorie intese a illustrare una diversa dimensione dell’immaginazione poliedrica di William Blake, che dipinge soggetti inquietanti, visi sconvolti e corpi contorti che provocano turbamento nell’osservatore. Si susseguono Incantesimi, Creature fantastiche, Orrore e Pericolo, Il Gotico, Uno sguardo romantico al Passato, Satana e gli Inferi.
Due opere come “Casa della morte” (1795 – 1805) e “La notte della gioia di Enitharmon” (1795) trasmettono emozioni contrastanti, incantano gli occhi, nel superamento delle convenzioni.
Nel mondo del fantastico, Blake si immerge nel profondo in questa ispirazione soprannaturale, ci restituisce una visione della realtà che non può lasciare indifferenti, pone domande che scavano dentro, ieri come oggi. Le creature fantastiche da lui disegnate ci conducono nel mondo del soprannaturale, del sorprendente e del mostruoso, nel quale l’irrazionale e l’ultraterreno appaiono più interessanti del progresso materiale e tecnologico.
In questo percorso straordinario incontriamo anche fate e spiriti, che derivano da un immaginario collettivo e individuale ai suoi tempi ancora tutti da sondare. “La fata della fontana” , opera del 1845 di William Etty, sembra anticipare i pre – raffaelliti. William Blake e Henry Fuseli evocano e danno vita al mondo delle fate e degli spiriti, spesso interpretato in seducenti sembianze femminili. Ed è quasi una “immaginazione al potere” ante litteram, dando spazio alla libertà creatrice, al di là del bene e del male.
La concezione di un passato romantico che si riverbera sul presente emana da “Stonehenge”, di William James Muller (1840), che restituisce una immagine classica delle rovine oggi famose di un tempio megalitico diventato famosissimo, a quel tempo niente di più che un rudere dimenticato.
Anche il gotico trova un giusto spazio di rappresentazione, a partire dal “Priorato di Guisborough, Yorkshire (1801) di Thomas Girtin, un vero precursore di uno stile estetico. L’incontro di Blake con il gotico si perfeziona presso l’Abbazia di Westminster, a quell’epoca decorata con armature, dipinti di scene funerarie e variopinte statue di cera.
Il gotico, per lui, diventa un’arte spirituale e una dimensione senza tempo, che discende dallo studio del Medioevo, epoca che suscita ancora emozione ed ammirazione come nessun’altra.
La sezione Satana e gli inferi ci fa toccare con mano una diretta conseguenza del clima post rivoluzionario, con alcune opere dal significato diretto e immediato.
Una frase, da lui scritta in una lettera al citato John Flaxman il 12 settembre 1800, è emblematica: «Terrori apparvero nei cieli sopra e nell’inferno sotto, e un potente e terribile cambiamento minacciò la terra».
Il quadro di Blake “I giganti primordiali affondati nel terreno” (1824 – 1827) può richiamare passi dell’Antico Testamento. «C’erano sulla terra i giganti a quei tempi – e anche dopo – quando i figli di Dio si univano alle figlie degli uomini e queste partorivano loro dei figli: sono questi gli eroi dell’antichità, uomini famosi» (Genesi 6,4) e ancora « (…) e vi abbiamo visto i giganti, figli di Anac, della razza dei giganti. Di fronte a loro ci pareva di essere cavallette; e tali sembravamo a loro» (Numeri 13,33).
Mi viene in mente che i giganti io li ho visti, nella ex chiesa del Tau di Pistoia, dove ciascuna delle dodici vele a copertura è dedicata ad un episodio della Genesi, della Creazione del Cielo e della Terra, dei Giganti. Sulle sue pareti si sviluppa un ciclo di affreschi, databile al 1372, di scuola fiorentina sui modi di Andrea Orcagna. Il complesso era un convento degli Antoniani, in cui si praticava la cura del fuoco di Sant’Antonio, in un intreccio di sacro e di profano dal sapore medioevale.
Penso, quindi, che tutto si tiene e il tempo perde di significato quando la scuola dell’arte supera la realtà e interpreta i moti dell’animo umano, in ogni epoca e sotto qualunque cielo.
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