
Vico Canavese, 1900, Archivio Gabinio, Fondazione Torino Musei
Ai primordi dell’alpinismo, è tra i fondatori del Club Alpino di Torino (Oggi C.A.I.)
Richard Henry Budden nasce a Stoke Newington, nei pressi di Londra, il 19 maggio del 1826. Di famiglia agiata, rimane orfano molto presto e viene inviato a studiare in collegio all’estero, prima a Bonn e poi a Parigi. Al termine degli studi, grazie alla sua posizione agiata, viaggia a lungo in Europa e decide infine di stabilirsi in Italia: è a Nizza, allora parte del Regno di Sardegna, poi a Genova, infine a Torino. Inizia a conoscere le montagne della Val d’Aosta che, a quel tempo, è la sola area montana visitata dagli alpinisti inglesi che scelgono di preferenza, come sede per le loro ascensioni, il villaggio di Courmayeur.
Anche Richard Henry Budden rimane affascinato da Courmayeur, tanto da promuovere nel 1865 una sottoscrizione, che avvia con un suo cospicuo contributo di cinquecento lire; lo scopo è quello di migliorare le condizioni di soggiorno e abbellire questo paesino ai piedi del Monte Bianco, affinché gli alpinisti vi possano sostare anche per lunghi periodi. La sua iniziativa non trova immediato seguito da parte delle autorità locali, che sono diffidenti nei confronti di colui che considerano uno straniero. Alcuni amici gli consigliano di rivolgersi al neonato Club Alpino di Torino, che sorge nel 1863 con la salita al Monviso ad opera di Quintino Sella, Giovanni Barracco, Paolo e Giacinto di Saint Robert; conosce in questo ambiente Giovan Battista Rimini e Bartolomeo Gastaldi, che accolgono con entusiasmo le sue idee e il suo ingresso nel Club Alpino.
Assieme al Canonico Georges Carrel dà vita alla succursale di Aosta, di cui sarà Presidente Onorario (presso la attuale Sezione C.A.I. di Aosta è conservato l’epistolario intercorso fra Carrel e Budden).
Sulla scia dello spostamento della Capitale del Regno da Torino a Firenze (e della nascita di una Sezione del Club Alpino nel capoluogo toscano), è tra i fondatori della Sezione fiorentina, dal 1869; diventerà, succedendo a Lorenzo Ginori Lisci nel 1874, uno dei Presidenti più duraturi, fino alla morte. L’Italia diventa, quindi, la sua seconda patria, la patria d’adozione, mentre il Club Alpino Italiano è la sua famiglia.
Nel 1868 il Consiglio Comunale di Courmayeur, vinta la diffidenza nei suoi confronti, farà realizzare diverse opere stradali e Courmayeur diventerà la più rinomata stazione di soggiorno e di cura del Regno d’Italia e un centro alpinistico di fama internazionale. L’attenzione di Budden si allarga verso altre regioni montuose, sostenendo l’apertura di alberghi e rifugi, promuovendo rimboschimenti e l’apertura di piccole industrie in loco. Sono i tempi d’oro dell’alpinismo e dell’esplorazione, nei quali i pionieri compiono grandi imprese affidandosi a equipaggiamenti artigianali e insufficienti: un bastone, un sacco in spalla e qualcosa da mangiare in tasca.
Il suo pensiero sulla montagna è innovativo: secondo Budden, l’alpinismo non deve essere soltanto l’arte di arrampicarsi su alte e difficili vette, ma il mezzo per raggiungere nobili ideali: la montagna è una palestra di educazione morale e intellettuale, il luogo in cui gli alpinisti possono cooperare per migliorare le condizioni economiche e sociali delle popolazioni locali.
Egli arriva ad immaginare un’organizzazione delle guide alpine attraverso l’opuscolo Observations aux guides des vallées Italiennes.
Si impegna nell’impresa di istituire osservatori meteorologici sugli Appennini, riuscendo a contribuire alla realizzazione di una decina di osservatori che rimangono in collegamento con la cosiddetta “corrispondenza meteorologica italiana alpina – appennina” diretta da Padre Francesco Maria Denza del Real Collegio Carlo Alberto di Moncalieri.
Poliglotta, intrattiene relazioni con tutte le associazioni alpinistiche europee e d’oltreoceano, molte delle quali lo eleggono loro socio onorario, considerandolo come il “Ministro degli Esteri” del C.A.I. Per queste ragioni, e in virtù delle sue numerose pubblicazioni sulla stampa italiana ed estera e su giornali locali, viene definito “Apostolo dell’Alpinismo”.
Alla sua memoria sono intitolate due vette sulle Alpi:
– Punta Budden (3.683 m) nel gruppo del Gran Paradiso, tra l’Herbetet e la Becca di Montandayné;
– Punta Budden (3.630 m) nelle Grandes Murailles, tra la Valtournenche e la Valpelline. La prima ascensione ad essa risale all’estate del 1904, ad opera di Ugo De Amicis e Guido Rey, con le guide Aimé e Ange Maquignaz e Joseph Pession.
Il suo testo Une excursion dans la vallée de la Chiusella è stato pubblicato in lingua francese sul Bollettino del Club Alpino Italiano n. 18, vol. V (1871).
La sua ultima apparizione in pubblico avviene il 17 novembre 1895, a Torino: molti alpinisti, in occasione del trentesimo anniversario di iscrizione al Club Alpino di Budden, organizzano una grande festa in suo onore.
Egli muore nella notte tra l’11 e il 12 dicembre 1895 per una emorragia cerebrale.
Commemorandolo tre giorni dopo, nel suo discorso all’Assemblea dei Delegati, il Presidente del C.A.I. di Aosta, Antonio Grober, così lo ricorda: «Uomini come il nostro Budden sono l’incarnazione dei più alti ideali dell’umanità, non muoiono; essi sopravvivono allo sfacelo della materia nei loro ideali stessi, che sono immortali. Se l’Apostolo dell’alpinismo abbandonò le sue forme terrene, rimane fra noi imperituro il suo vangelo. E nella venerazione degli alpinisti italiani nel Pantheon dei benemeriti della nostra istituzione il posto di Riccardo Budden è accanto a Quintino Sella e a Bartolomeo Gastaldi».
Il Museo Nazionale della Montagna Duca degli Abruzzi C.A.I. di Torino è depositario di un suo carteggio, comprendente 82 lettere scritte fra il 1871 e il 1893. In questo corpo epistolare, Budden viene menzionato da altri illustri precorritori dell’alpinismo, e da Quintino Sella in maniera critica. Siamo all’indomani del settimo congresso del Club Alpino svoltosi a Torino il 10 agosto 1874: un appuntamento importante che ha coronato il decennale della fondazione, Quintino Sella è stato chiamato a presiedere l’assemblea dei rappresentanti delle sezioni del Club, che sono ormai venti, per un totale di 2.100 soci. I resoconti dei giornali evidenziano un intervento dell’abate Antonio Stoppani, elogiativo verso Budden per il suo operato a favore del sodalizio. Tornato nella quiete di Biella, Quintino Sella, punto sul vivo dai resoconti dei giornali, reagisce con una lettera polemica e quasi astiosa verso Budden, diretta al vicepresidente della associazione, il giovane geologo Giorgio Spezia, dalla quale emerge una miscela di sciovinismo e chiusura allo straniero.
«Biella, 12.8.74
Pregiatissimo collega in excelsis.
Stoppani nel suo bellissimo ed opportuno brindisi al Budden disse che il Budden fece l’apostolato del Club Alpino in Italia, mentre nessuno in Italia pensava all’alpinismo. Io lasciai correre la frase senza osservazioni: mi parve un’innocua esagerazione di cortesia verso un uomo così benemerito, così amato da tutti. Il Budden non rifletté certamente alla portata della frase.
Ma ho veduto che tutti i giornali di Torino si sono affrettati a riprodurre proprio quella frase lì.
Tutto ciò può introdurre l’opinione che se il Club Alpino in Italia si è fondato lo si deve all’apostolato del Budden. Se anche ciò si vuol credere non me ne cale molto per la mia persona, ed avrei ben volentieri alzato le spalle su questa come su tante altre false credenze.
Ma qui è in scena un po’ l’onore e molto l’interesse del Club Alpino. L’onore, o se si vuole un po’ di vanagloria nazionale, giacché se abbiamo fatto il Club ad imitazione degli stranieri, non abbiam aspettato che gli stranieri venissero personalmente a stimolarci.
Io conobbi il Budden soltanto dal 1865 o nel 1866 a Firenze o forse anche più tardi. Nel primo elenco dei 200 soci del 1863 che ho sott’occhio il Budden non c’è. Come non è il suo nome nell’elenco dei 40 che offrirono doni per il primo impianto. Il Club era arcifondato quando il Budden cominciò ad occuparsene. (…)
Insomma gli stranieri nella fondazione del Club non ci sono proprio entrati in nulla. … L’interesse del Club può aver danno dall’accreditarsi della voce che l’apostolato straniero abbia creato l’alpinismo in Italia. Non dimentichiamo che il vincolo più forte per legare le varie sezioni del Club è la gratitudine verso Torino come culla e autore del Club. Se invece la gratitudine devesi all’apostolato straniero questo vincolo vien meno. Ed Ella capisce tutto il pericolo dello spezzamento di questo vincolo. (…)
Corpo di un cane! Han fatto troppo gli stranieri perché si attribuisca loro anche ciò che non hanno fatto.
Sono certo che lo Stoppani in piena buona fede disse la sua frase immaginandosi che dal 1853 al 1863 io facessi dell’alpinismo perché avevo il Budden ai reni, e così fosse di tanti altri che all’enunciato del Club Alpino presero fuoco e che già avevano fatto ascensioni.
Suo devotissimo Sella».
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