
Notizie al tempo della Cirenaica italiana (di Alessandro Mella)
Nota dell’autore – Negli anni ’10 di questo secolo chi scrive fu autore di molte opere ed articoli relativi alla storia dei servizi antincendi italiani. Nel 2014, per ragioni personali, egli scelse di non dedicarsi più al tema e di non produrre, progressivamente, più testi ex novo. Il molto materiale prodotto all’epoca, tuttavia, fu caro a molti lettori, i quali hanno più volte espresso il desiderio di riaverlo fruibile. Alcuni articoli datati, dunque, vengono riproposti a loro beneficio confermando che, lo scrivente, non si occupa più, con nuovi studi, dell’argomento. Limitandosi a riutilizzare quanto scritto nel passato onde evitare che quel patrimonio vada disperso.
Premessa
Raccontare le pagine di storia dei servizi antincendi nelle colonie dell’Africa Orientale o nelle province della Libia è impresa molto ardua a causa della ridottissima documentazione giuntaci. In terra d’Africa erano poche le amministrazioni che s’erano dotate d’un corpo dedicato e spesso tale servizio era espletato da reparti del genio del Regio Esercito Italiano.
Tra le città più avanti in questo settore c’era senz’altro Bengasi, in terra di Libia, nel cuore della Cirenaica. La Libia era stata occupata militarmente dalle armate italiane nel 1912 in seguito alla vittoriosa campagna con l’impero turco. Tuttavia, per molti anni la guerriglia dei resistenti indigeni aveva dato grossi pensieri alle autorità italiane e gli anni di governatorato del Maresciallo Graziani le violente rappresaglie avevano comprensibilmente causato un distacco molto forte tra gli italiani ed i libici. Un distacco che parzialmente si colmò con la successiva gestione del maresciallo Italo Balbo, di gran lunga più umana e più indirizzata a creare rapporti pacifici e costruttivi con la popolazione locale di fede islamica. Il reciproco rispetto ed una seria politica basata sull’integrazione e la pacificazione permise un netto miglioramento delle condizioni di vita di tutte le comunità. In generale la gestione di Balbo galvanizzò quelle province e creò il clima per la nascita di grandi servizi, opere ed infrastrutture. In questo contesto il servizio antincendi trovò un decisivo impulso.
Già nel 1912 un primo corpo era stato costituito per volontà del sindaco Cav. Cavallini con circa trenta militi reclutati tra gli indigeni e muniti di attrezzatura e dotazioni necessarie dopo essere stati formati per il servizio che dovevano compiere (Deliberazione Municipale di Bengasi, approvata dal governatore il 31 agosto 1912, recante le norme per funzionamento del corpo dei pompieri in Ministero delle Colonie, Ordinamenti della Libia gennaio 1913-gennaio 1914, Tipografia Nazionale di Giovanni Bertero & C., Roma, 1914, pp. 894-895).
Anche la rassegna settimanale Tripoli e Cirenaica, nel numero 102 del 15 settembre 1912, parlando dei progressi a Bengasi scrisse: “Sono state inaugurate le pompe da incendio: le prime che Bengasi abbia viste: ed egregiamente, con un finto incendio, hanno fatto le prime prove anche i pompieri, che sono poi i zaptie“.
Una piccola caserma era stata anche inaugurata nella Festa dello Statuto. Sembra incredibile; eppure, pare che proprio un’aliquota di Zaptiè dei Reali Carabinieri fosse stata addestrata alla lotta antincendi e munita di mezzi ed attrezzature per questo servizio proprio a Bengasi. Gli stessi vestivano la regolare uniforme di quel corpo con tanto di fregio della benemerita sulla takia. Tuttavia, fu negli anni ’30, ed a partire dal 1935, che iniziò una vera e costruttiva opera destinata a rilanciare e rimettere in moto un sodalizio dedito all’attività pompieristica di cui seguiremo le vicende cronologicamente fino al 1938.

La difesa dagli incendi a Bengasi dal 1935 al 1937
Una prima traccia ci è data da un breve appunto del 1935 pubblicato in relazione all’emanazione di un bando di concorso per un posto di sottocapo del corpo.
A quel tempo il “Reparto Pompieri” si trovava inquadrato nel corpo dei Vigili Urbani della città di Bengasi (da poco riorganizzato per via dell’importanza assunta dal capoluogo della Cirenaica) dal cui comandante dipendeva.
Lo stesso, tuttavia, delegava il controllo degli stessi ad un Sottocapo cui spettava il coordinamento di dodici militi presenti in due turni di sei unità (diurno e notturno) più il capo squadra.
Il reparto disponeva di una piccola officina, ma ancora non aveva a disposizione una vera e propria caserma che tuttavia era già allo studio ed i cui progetti erano in via di sviluppo. Il progetto prevedeva una struttura con un cortile interno di 35×50 metri ed un castello di manovra di tre piano per le esercitazioni.
A quel tempo ai componenti spettavano tutte le competenze dei vigili urbani come l’assegno massa vestiario di 500 lire annue, il corredo gratuito di divise, un’indennità giornaliera di 4 lire ed altre per i servizi di prevenzione, teatrali e via discorrendo.
Il parco mezzi si componeva invece di due carri autopompe attrezzati FIAT TAMINI con serbatoi da 1500 litri di acqua ciascuno, una motopompa trainabile e scarrabile, una autoinnaffiatrice TAMINI da 3000 litri, due autocarri, un’autolettiga ed una vettura comando. Le tubazioni da incendio erano del tipo con semiraccordi “ITALIA” da 70 e 50 mm (le norme UNI erano ancora da venire!). In caso di necessità il già potente parco mezzi poteva essere integrato con le autobotti utilizzate dall’impresa della nettezza urbana.
Già a quel tempo il Comando Truppe della Cirenaica aveva manifestato la disponibilità di quindici soldati ed un sottufficiale da istruirsi alla lotta antincendi al fine di affiancare, con squadre proprie, i dipendenti del comune. Il primo corso fu effettivamente avviato ed il 17 maggio 1936 nella caserma dei Vigili Urbani si tenne un saggio ginnico e professionale con gli allievi civili e militari prontamente formati dal comandante geom. Rotella.
Alla manifestazione erano presenti importanti autorità: il commissario generale Mischi, il comandante militare della Libia Orientale gen. Gigliarelli, il vice commissario generale comm. Egidi, il podestà comm. Monastero, il vice segretario federale avv. Epifani e molti altri ufficiali e funzionari civili.
La manovra, comprendente il montaggio di scale italiane al castello, la salita del castello con scala a ganci, le scale italiane controventante e simulazioni d’incendio e calata con funi al castello di manovra, stupì tutti i presenti. Non mancò naturalmente il salto nel telo!
Successivamente tutte le autorità visitarono la caserma con le sale di studio, i dormitori, la mensa, gli uffici e così via complimentandosi con il geom. Rotella per l’efficienza raggiunta dai militi e la perfetta organizzazione del corpo rimesso in efficienza in tempi brevissimi. Analogo plauso fu rivolto al serg. magg. Mario D’Alessandro sottufficiale del nucleo militare.
Pochi giorni dopo il Podestà si espresse in tal modo per iscritto:
“L’Illustrissimo Sig. Commissario Generale si è compiaciuto inviarmi la seguente lettera di plauso che con piacere trascrivo: Ho provato la migliore impressione dalle esercitazioni del Corpo Pompieristico di questa città, cui ho assistito ieri mattina, vivamente compiaciuto per l’alto grado di addestramento e di abilità tecnica da esso raggiunta. Nel manifestarle quanto sopra, la prego, Sig. Podestà, di voler far giungere la mia parola di elogio e di plauso al Comandante dei Pompieri ed ai militi tutti, insieme ai voti più sinceri che mi è grato formulare per le migliori fortune del Corpo. Colgo l’occasione per manifestare l’ottima impressione che anch’io ho riportata nell’assistere all’esecuzione del saggio finale pompieristico, che mi ha dimostrato l’altro grado di addestramento e di abilità raggiunta dal Corpo. Pertanto, unisco a quella del Commissario Generale la mia parola di elogio per i componenti tutti del Corpo dei Pompieri e il mio incondizionato plauso al Comandante, Geom. Rotella Alfredo, per l’elevato spirito di abnegazione e per l’indiscussa abilità tecnica, con cui ha saputo organizzare in breve tempo questo delicato e vitale organismo cittadino.”
Il Podestà, occorre dire, aggiunse un premio di 200 lire per il miglioramento del vitto dei bravi militi che ottennero un uguale premio con identica finalità dal generale comandante delle truppe il quale concesse 500 lire. Di lì a poco iniziarono i primi importanti incendi oggetto di un dedicato paragrafo a seguire.
Un secondo corso di formazione destinato a sedici genieri del II° Battaglione del I° Reggimento Genio Coloniale iniziò il 14 giugno 1937 e terminò il 19 settembre con un saggio di fine corso presso la caserma di Bengasi. Nel cortile, imbandierato di tricolori sabaudi, erano presenti il prefetto, il vice segretario federale del PNF, il podestà e le più importanti autorità civili e militari che furono spettatori, con la folla presente, di un’esercitazione di circa un’ora di durata.
I bravi militi si dilettarono nell’esecuzione di esercizi ginnici, atletici e professionali tra cui montaggio e salita al castello con scala italiana ed a ramponi, manovra collettiva con tre scale controventate, figurazione al castello di manovra inneggiante al duce ed al Re, salvataggi con telo a slitta e salto nel telo e manovra d’incendio con tutti i mezzi e tutto il personale munito di maschere antigas. Particolare scalpore destò il salto da 17 metri sul telo dedicato.
Una finale manovra con sedici getti d’acqua, riproducenti il tricolore, lasciò esterrefatti i presenti che in seguito visitarono la moderna caserma con il potente parco mezzi e le più moderne attrezzature.
Nella sala convegno i convenuti ebbero modo di ammirare l’apparecchio radio donato dall’amministrazione comunale di Bengasi ai propri soccorritori.
Prima di lasciare la caserma il prefetto volle complimentarsi con il geom. Rotella per l’eccellente addestramento impartito agli allievi militari e civili distintisi per disciplina, ardimento e preparazione.

Il servizio antincendi a Bengasi nel 1938
Nel 1938 il corpo di Bengasi era diventato una struttura efficiente e perfettamente funzionante. Si componeva di un comandante (avente anche la funzione di comandante dei vigili urbani), di un capo dei vigili (ufficiale subalterno), di due vigili dcelti con funzioni di apo squadra, di sedici militi effettivi e di sedici del Genio con un loro sottufficiale. Questi ultimi venivano aggregati al servizio dopo ogni corso d’addestramento tenutosi ad ogni fine ferma militare. Il totale della forza era di trentasei uomini che si dividevano in due squadre di diciassette unità in servizio su turni alternati di ventiquattro ore. Si garantivano così una prima ed una seconda partenza costantemente.
Se si considera che la città aveva, in quell’anno, una popolazione di circa sessantamila abitanti tra italiani e libici si può valutare il rapporto come un milite ogni milleottocento abitanti.
Il personale, eccetto gli ammogliati, era accasermato in comode camerate e si nutriva presso la mensa del corpo. Tutti i giorni feriali i soccorritori si addestravano con manovre professionali o lezioni teoriche oppure si occupavano (essendo quasi tutti patentati) della manutenzione e riparazione degli automezzi secondo le indicazioni del capo officina.
La caserma disponeva di un castello di manovra a tre piani per le esercitazioni pompieristiche, d’un officina, d’un vascone pieno d’acqua per il lavaggio dei tubi o la prova delle pompe o utilizzabile come riserva d’acqua, di camerate, di rimesse e d’una sala convegno con biblioteca, giochi ed apparecchio radio. I bravi militi indossavano la divisa utilizzata in Italia e proposta a suo tempo dalla Federazione Tecnica Pompieri d’Italia.
Al corpo era affidato il compito di prevenire e spegnere gli incendi in città e, su disposizione del podestà nei comuni della provincia nonché di trasportare malati e feriti con l’autolettiga od intervenire nelle solennità pubbliche e ricorrenze militari. Il comandante del corpo era parte della commissione di vigilanza per i locali pubblici e le installazioni industriali. Non a caso i militi si occupavano anche del servizio di vigilanza nei locali di pubblico spettacolo con squadre di turno libero da otto a dodici tra civili e genieri.
Il corpo disponeva poi di una linea di soccorso (numero 2222) e di due linee per i servizi d’istituto (numeri 2032 e 2932).
All’arrivo d’una chiamata di soccorso il telefonista chiamava le squadre con una campana elettrica posta in tutti i locali della caserma che di notte venivano immediatamente illuminati con un comando unico.
Nel 1938 Bengasi sorgeva su una superficie piana a pochi metri sul livello del mare e su un territorio molto vasto con pochi edifici che s’estendessero oltre i 20 metri di altezza. Le risorse idriche erano per lo più affidate ad un acquedotto a bassa pressione alimentato da molti impianti di sollevamento d’acque freatiche. Per il servizio s’era provveduto ad installare ventisei pozzetti di prelevamento e tre idranti a colonna.
Il parco mezzi era decisamente moderno e funzionale poiché il servizio era stato riorganizzato nel corso del triennio precedente e si componeva di due autopompe FIAT 621 (a benzina con serbatoio, tubazioni, lance, funi, badili, mazze, chiavi, torce a vento, fasciatubi, reggitubi, raccorderie, estintori, asce, scale, maschere antigas, piantina della città con indicazioni di prese d’acqua ed altra attrezzatura), tre autocisterne FIAT 621 a nafta con piccola scorta di materiale, una motopompa TAMINI su carrello rimorchio, un carrello trainabile con cassoni intercambiali per le varie necessità (servizio foamite per incendi di infiammabili, servizi di salvataggio con teli, sacchi, coperte dedicati etc etc.., servizio di puntellamento e varie), una autolettiga con due barelle ed armadio farmaceutico per primo soccorso, una autovettura FIAT 524, una autovettura FIAT 525, una autovettura FIAT 1500, una autovettura FIAT BALILLA per il comando del corpo, due camioncini BALILLA per autotrasporti, un camion ARDITA, tre motociclette e dodici biciclette per i componenti impegnati nei servizi teatrali.
Un grande magazzino conservava abbondanti scorte di attrezzature, dotazioni, materiali, ricambi ed accessori per gli automezzi nonché beni di consumo. Una piccola stazione di servizio collocata nella caserma permetteva la distribuzione di petroli, nafta e benzina.
Ma il 1938 non fu solo l’anno della piena, gioiosamente ostentata, efficienza raccontata dalle pubblicazioni del tempo, ma fu anche l’anno in cui il corpo affrontò il suo primo lutto.
Durante un incendio in un negozio di tessuti, nella notte del 27 febbraio, ravvivato dal forte soffiare del “Ghibli”, il vigile Omero Faccioli rimase coinvolto nel crollo del solaio. Soccorso e sottoposto ed intervento chirurgico (dopo aver rifiutato fino a fine intervento il ricovero!) presso l’Ospedale Coloniale di Bengasi, malgrado le cure dei sanitari e le costanti attenzioni dei colleghi, si spense il successivo 23 aprile a causa delle complicazioni dovute ad un’infezione sopraggiunta.
Accompagnato al cimitero dalla popolazione e da tutte le autorità militari venne solennemente sepolto in un loculo offerto dall’amministrazione comunale la quale s’era fatta carico di tutte le spese del funerale. Il Faccioli era in servizio fin dal 1936 ed era stato volontario nella Campagna Libica ed in quella dell’Africa Orientale.
La sua scomparsa lasciò un grande vuoto tra i militi che ne apprezzavano il carattere schietto ed appassionato.

Gli Incendi più rilevanti
Nel corso dei suoi anni di attività il servizio antincendi di Bengasi ebbe modo di affrontare centinaia di interventi di soccorso e d’incendio. Abbiamo già accennato l’incendio di negozio che costò la vita al povero Faccioli.
Altri furono raccontati dalle cronache dell’epoca. Vale la pena ripercorrere per completezza i più interessanti svoltisi nel 1936.
Il 9 aprile verso le 19,25 giunse un allarme per un incendio, di grandi dimensioni, scoppiato nel parco foraggi del Campo Villari alla Berka. Immediatamente si recarono verso il sinistro la prima e la seconda partenza mentre, date le dimensioni del rogo, s’allertavano anche i militi in servizio teatrale, liberi da servizio ed i genieri. Giunto sul posto il geom. Rotella constatò che l’incendio minacciava l’abitato sottovento e chiedeva il supporto dei pompieri della Regia Aeronautica che con le proprie botti (ben dodici da cinquemila litri l’una) garantirono il costante rifornimento idrico tramite gli idranti ed il mare.
Frattanto i militi si prodigarono per allontanare paglia e fieno dalle fiamme divoratrici alimentate dal “Ghibli”. Solo verso le 3 del mattino s’ebbe modo di scongiurare il pericolo anche grazie all’aiuto prestato dai molti volonterosi intervenuti e grazie alle trincee di contenimento sopravvento scavate dai genieri che coprirono anche di terra svariati focolai soffocandoli. Due sole abitazioni indigene non furono, purtroppo, salvate malgrado i tanti sforzi. Tuttavia, l’opera d’estinzione del grave incendio proseguì per vari giorni, con grande impegno dei militi civili e dei genieri, fino alle 22,00 dell’11 aprile.
L’incendio, che causò circa un milione di lire di danni dell’epoca, fu probabilmente causato dall’autocombustione dovuta forse ai violenti acquazzoni dei giorni precedenti. Tutte le autorità militari e civili lodarono ed elogiarono i soccorritori.
Un altro sinistro molto simile si verificò pochi giorni dopo quando andò a fuoco il deposito di paglia del campo sperimentale dell’Ufficio Agrario Governativo al Feuhiat, accadde il 27 aprile. I militi accorsero con due autopompe e grazie alle vasche per l’irrigazione riuscirono ad attaccare il rogo su due fronti ed a procedere allo spegnimento ed allo smassamento per lo spegnimento minuto. Il serg. D’Alessandro del Genio ed il comandante Rotella coordinarono l’intervento guadagnandosi l’elogio del podestà con i militi Del Carlo, Fares e Fiorito.
Il 30 maggio un altro incendio, dovuto ad autocombustione in un parco foraggi, coinvolse circa 200 quintali di fieno sotto una tettoia di cemento armato circondata da magazzini di vario materiale. Tale fu la violenza del rogo che un vasto orizzonte della città fu arrossato dalla luce sprigionata dalle fiamme. L’opera d’estinzione prosegui per diciotto ore grazie anche al contributo dei pompieri dell’aviazione ed a dodici autobotti rese disponibili dall’Autocentro dell’Intendenza del Corpo d’Armata.
Conclusioni
L’ammirazione per tali soccorsi valse ai militi antincendi del capoluogo della Cirenaica l’onore di partecipare, la prima domenica di giugno del 1936, alla rivista militare passata dal governatore generale maresciallo dell’aria Italo Balbo alle forze presentate dal comandante del corpo d’armata Pintor. I militi vi presero parte con sei automezzi meritando un encomio dal governatore Balbo e dal generale Pintor stessi.
Non si sa molto delle attività successive al 1938 ma è certo però che il corpo rimase attivo fino al 1941 quando il suo comandante geom. Rotella rientrò in Italia. Egli raggiunse Roma nel dicembre 1941, il mese dopo l’occupazione inglese dell’Etiopia. Viene da chiedersi se quell’evento, la perdita dell’Impero, avesse causato il precauzionale rimpatrio di molti funzionari civili anche dalla Libia considerato, tra l’altro, che anche nell’Africa Settentrionale si combatteva. E non mancarono certo gli incendi procurati dal nemico come riportò il bollettino di guerra del 18 settembre 1940: “Il nemico ha effettuato incursioni notturne su Bengasi e Derna, provocando nel porto di Bengasi l’affondamento di un pontone e di una torpediniera e qualche incendio prontamente domato”.
D’altra parte, da una lettera del Rotella del 1949 abbiamo constatato che con lo scoppio della guerra i militi di Bengasi ricevettero un incremento di genieri ed ufficiali per i loro servizi, personale che quando la città fu smobilitata la prima volta nel febbraio 1941, passò alle dipendenze comunali per non essere catturato dagli occupanti inglesi che, in quanto soldati del Regio Esercito Italiano, avrebbero avuto pieno diritto a farne dei prigionieri di guerra. Successivamente, con il decreto governatoriale numero 311565 del 30 agosto 1941, il Corpo di Bengasi fu militarizzato. Voci non confermate sostengono che alla caduta di quella terra, nel 1943, i britannici avessero trasferito l’intero corpo di Bengasi ad Alessandria d’Egitto ma non si hanno certezze a riguardo. Nel dopoguerra, comunque, emersero alcune comprensibili lagnanze come si evince da una lettera scritta da Rotella e pubblicata nel 1949 dalla rivista Antincendio:
Quelli con le “stellette” tra di noi, furono e sono i “combattenti” e noi vigili invece abbiamo ricevuto questa meravigliosa risposta, proprio alcuni giorni fa, dal Comando Militare Territoriale di Firenze, a seguito di una richiesta attribuzione di benefici di guerra: “N. 9/1448 VSR Firenze 15 Aprile 1949 il personale del Corpo dei Vigili di Bengasi fu mobilitato ai soli fini penali e disciplinari. Detto personale non ha titolo ad essere ammesso a fruire dei benefici previsti dalla legge a favore dei combattenti, in quanto esso non fu alle dipendenze ed al seguito di comandi, reparti ed enti delle FF.AA. operanti”. Tutto ciò malgrado (..) avessi dimostrato che a Bengasi fummo militarizzati con Decreto Governatoriale numero 311565 del 30 Agosto 1941 e praticamente interdipendenti dal Comando Piazza Militare, con i suoi genieri persino assorbiti dal Corpo Comunale allorquando nel Febbraio 1941 fu deciso l’abbandono di Bengasi alle truppe inglesi avanzanti ed evitammo la loro cattura come militari e quindi prigionieri di guerra!
Gli inglesi non avevano nemmeno avuto il minimo rispetto per un servizio così importante per tutti come scrisse La Stampa di Torino il 12 aprile 1941:
La sera del 1° corrente, il sovrintendente di polizia inglese capitano Gentles, sotto il pretesto che un incendio di eccezionale importanza divampava a pochi chilometri dalla città, faceva partire, scortata da truppe sènussite, i mezzi pompieristici della città con tredici vigili del fuoco, un ufficiale ed il comandante del corpo. Solo più tardi si è saputo che i mezzi erano stati costretti a raggiungere Barce ove nessun incendio era stato segnalato.
Insomma, pur trovandosi nel cuore del fronte dell’Africa Settentrionale Italiana e con gli inglesi che andavano e venivano i militi di Bengasi, che tanto si prodigarono per lenire le sofferenze della popolazione di quella città, non videro riconosciuto l’ambito titolo.
Alessandro Mella