Attraverso comportamenti partecipati – parte prima di cinque
Presi come siamo nei meccanismi del nostro vivere quotidiano ogni tanto inciampiamo in quegli effetti collaterali di questo modo di agire che chiamiamo malattia. Non di rado quindi ci troviamo di fronte a specialisti di questa o quella branca della medicina, che in quel momento ci interessa particolarmente, per chiedere a loro di trovare una soluzione per farci guarire, per farci recuperare un certo stato di salute.
Ci aspettiamo la prescrizione di una medicina, di un metodo per guarire o almeno un’opinione autorevole in merito a quello che ci sta avvenendo, al perché ci sta avvenendo, e, se non siamo soddisfatti del tutto, non esitiamo a consultare altri specialisti ancora, senza badare a spese, … ne va della nostra salute, non scherziamo!
Anzi, se ancora non si ritiene sufficiente quanto ci è stato detto, siamo perfino disposti ad andare in capo al mondo, a cercare proprio quell’esperto che forse fa al caso nostro, e, come ultima spiaggia, visto che tutti sanno tutto ma si contraddicono a vicenda lasciandoci ancora più dubbiosi e costernati, a metterci a studiare noi stessi il caso in prima persona.
Ed ecco che finalmente troviamo qualcuno che ci dà retta come vogliamo noi, che prende in considerazione questa e quella informazione fondamentale senza la quale si rischia di inficiare tutto il percorso logico, che non trascura niente a partire dalla nostre vite passate, qualcuno che davvero vuole la nostra guarigione senza compromessi.
Così tra le prime opportunità ad essere presa in considerazione, quale tassello indispensabile del quadro generale che stiamo cercando di comporre per chiarire finalmente la situazione, è quella parte della medicina orientale basata su percorsi energetici manipolabili attraverso la stimolazione di alcuni punti accessibili della parte fisica del corpo.
Subito dopo è il caso di sperimentarne un’altra parte come dimostrato nelle arti marziali. In tali pratiche la ripetizione ossessiva di gesti fisici, di mantram vocali, mandala visivi, simboli magici potenti, ha lo scopo di inviare una informazione, così capillarmente pervasiva, da ricondurre, “obtorto collo”, il sistema in linea corretta. Pratiche che attraverso l’uso massivo della componente fisica permettono di risalire fino agli aspetti sottili per dominarli e ridefinirli correttamente.
Se ancora non basta andiamo oltre. Consultiamo anche cosa ne diceva in proposito Paracelso, la cui conoscenza ispirava un’arte che andava ben oltre il semplice rimedio prescritto. Egli usava il fisico come chiave operativa per ottenere la partecipazione del paziente nel suo insieme.
Quindi Hanemann (omeopatia) che utilizzava come chiave operativa l’aspetto energetico, eterico, vitale; Bach (fiori di bach), l’aspetto del desiderio, dei sentimenti, delle aspettative, l’astrale e infine Hamer (gli indicatori nel cervello) quello mentale, razionale, dei pensieri.
Non trascuriamo niente avendo preso in considerazione un percorso che si sviluppa dall’uso prevalente dell’aspetto fisico a quello mentale attraversando il piano energetico e dei desideri.
E allora come mai non riusciamo ad ottenere il risultato sperato?
E se lo conseguiamo, perché tale stato non perdura?
Dove abbiamo sbagliato?
Che cosa non abbiamo considerato?
Uno più uno fa due, non si scappa!
Se tutti gli sforzi fatti sono stati riesaminati e non risultano errori, è evidente dedurne che manca qualcosa di essenziale perché il processo di guarigione possa condurre ad una situazione di salute sufficientemente stabile.
Forse, ma solo per ipotesi balzana, non è che ci troviamo di fronte alla necessità di un ulteriore passo avanti nella possibilità di utilizzare le informazioni provenienti dal nostro sistema per permettergli di ritornare o restare in salute e in equilibrio, secondo tempi e modi propri, senza necessariamente dover ricorrere a agenti riequilibranti esterni?
Non è che magari siamo noi stessi la chiave per entrare in questo processo di riequilibrio?
Non è che siamo noi a dover diventare “coscienza cosciente”, a “dover passare da uno stato di coscienza qualsiasi ad uno stato di coscienza cosciente”, in grado di permettere tutti i processi tipici di un vero essere umano senza creare ostacoli, interferenze non desiderate, deviazioni?
Forse, ma anche questa è sempre e solo un’ulteriore ipotesi, pur potendo sempre utilizzare i rimedi delle classi precedenti, dobbiamo arrivare al punto in cui dobbiamo smettere di puntare il cannone su un obiettivo senza curarsi troppo di cosa accade intorno. Al punto di accettare consapevolmente di “lasciar nuovamente fluire dall’orchestra la musica secondo lo spartito originale, sotto la guida del direttore”.
Tempo addietro era più semplice intravedere un modello di salute di riferimento, in quanto vi era una certa omogeneità di cause ed effetti tra un certo numero di persone appartenenti a pochi gruppi caratteristici con medesime abitudini e scarse possibilità di variabili importanti.
Oggi ogni cosa o situazione interagisce con personalità fortemente individualizzate; di conseguenza, per trovare una traccia significativa di ciò che si vuole prendere in considerazione, occorre porre una grande attenzione nell’osservazione del singolo nello svolgimento della sua intera giornata e oltre (meglio sarebbero almeno tre giorni di osservazione a sua insaputa per evitare maschere, atteggiamenti e distorsioni inconsce).
Se ogni individuo ha una propria coscienza e se tale coscienza è unica, ovvero non ne esistono due uguali, va da sé che non ci possono essere situazioni sovrapponibili e quindi qualunque tipo di osservazione o intervento non può essere generalizzata o approssimato ad un modello standard. Occorrono attività specifiche per ogni individuo e i risultati, non solo non saranno direttamente utilizzabili per un altro, ma addirittura non lo saranno più, trascorsi tre giorni, anche per lo stessa persona su cui tale tipo di osservazione è stato condotto.
Risultando difficile che un estraneo possa condurre una osservazione ininterrotta per tre giorni su un soggetto specifico, se ne deduce che l’unico a poterla fare è lo stesso individuo da osservare. Egli potrà più facilmente fare confronti con comportamenti precedenti, rilevando le modifiche apportate strada facendo e traendone delle indicazioni non necessariamente vincolanti.
Certo non è semplice da impostare neppure a livello concettuale, però che alternativa abbiamo?
Così come queste osservazioni compongono un quadro biologico, così la coscienza ridefinisce tale quadro modificandolo costantemente mediante parametri vitali espressi senza vincoli o limitazioni autoimposte dagli schemi appresi o imposti dalle convenzioni.
O meglio, il qualcosa che vive nell’essere umano può liberamente usarlo adattandolo continuamente per manifestarsi strumentalmente attraverso di esso.
Che significa “il qualcosa che vive nell’essere umano”?
Non creiamo confusione, qui ci sono solo io!
Continua nella seconda parte
Schema e testo
Pietro Cartella
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