
Quale carico sulle spalle di Marine Le Pen
Oggi in Francia si vota al primo turno delle elezioni politiche dopo che il presidente Macron con un gesto ancora non completamente rubricato, ha sciolto il Parlamento.
Alle ultime elezioni europee il partito di Marine Le Pen ha più che raddoppiato il partito di Macron e questo sta generando un incubo europeo e mondiale. Perché?
Perché gli effetti di questo voto travalicano i confini nazionali e potranno cadere come un macigno sulla chiusura autoritaria degli equilibri tra gli stati dell’Ue. Le Pen è categorica sul blocco dei migranti, sulla fine della guerra in Ucraina e sugli aspetti salienti della maggioranza radical massonica che sino ad ora ha deciso scelte obbligate di stretta obbedienza gretina a danno dei cittadini europei.
La demonizzazione di Marine Le Pen è iniziata subito dopo l’annuncio dl voto. Il ministro dell’economia di Macron, Le Maire, ha immediatamente affermato che la politica economica del RN porterà la Francia fuori dall’Europa, tanto quanto succederebbe con le richieste del Fronte popolare. Entrambi gli schieramenti parlano di una cancellazione della riforma delle pensioni di Macron del 2023 che ha portato l’età pensionabile a 64 anni, per riportarla un domani a 62 o 60. Gli italiani rimarranno increduli, visti i nostri 67 anni. Poi, Standard & Poor’s ha già declassato la Francia e tutta la stampa liberal mondiale esprime giudizi negativi e preoccupati su un possibile governo del RN.
Intanto va chiarito subito che Macron ha messo in gioco il governo ma non la sua presidenza. Quindi potrebbe succedere che al governo ci potrà essere il RN con i suoi alleati e Macron resterebbe presidente fino al 2027 con vasti poteri in politica estera e difesa. Ma cosa potrebbe chiedere un governo del RN a Bruxelles in materia di procedura sul deficit?
Oggi, per l’Italia il debito aumenta per pagare le pensioni nonostante il debito sia al 141% del Pil e nessuno sembra dire più niente. Per completezza il Giappone è al 286% del Pil e nessuno dice niente, anche perché l’86% di quel debito è nelle mani di cittadini giapponesi. Mentre la Francia è ancora al 110% del Pil. Ma allora, perché tanto clamore sulla Francia?
A inizio giugno Macron portava Zelenski ai festeggiamenti per lo sbarco in Normandia e chiedeva di levare soldi alle pensioni dei francesi per metterli nel sostegno alla guerra contro Putin. Domani la Le Pen chiederebbe di chiudere la guerra e di rimettere quei soldi nelle pensioni, perché si sta ampliando in Francia, come in Europa il fronte di coloro che non vogliono più dissanguarsi per Kiev, perchè Kiev non è la Sfacteria del 2024.
In Francia si vota con un sistema elettorale uninominale maggioritario a doppio turno, grazie al quale viene eletto un solo candidato per ognuna delle circoscrizioni che, come i deputati, sono 577. La dimensione delle circoscrizioni non può superare i 150.000 abitanti. Per essere eletti al primo turno si dovrà raggiungere la maggioranza assoluta e un numero totale di voti pari almeno al 25% degli elettori registrati. Al secondo turno passano tutti i candidati che hanno superato il 12,5% di consensi, e risulterà eletto chi prende un solo voto in più degli altri.
Al Senato, rinnovato per due terzi nel settembre 2023, c’era stata la vittoria dei partiti conservatori e di centrodestra. Negli ultimi giorni di campagna elettorale, è apparsa sorprendente la dichiarazione dell’Unione dei magistrati, apertamente schierata per sostenere il voto contrario alla coalizione di centrodestra e invitando alla disobbedienza in caso di una sua vittoria.
Il clima politico è tesissimo, le forze dell’ordine, di tutto il Paese sono in allerta per i pericoli di proteste, violenze e manifestazioni d’intolleranza degli estremisti di sinistra verso partiti e uomini di centrodestra. Macron, sempre più disperato, si rivolge all’opinione pubblica deprecando il voto per uno dei «due estremi», Le Pen a destra o i comunisti del Nuovo Fronte Popolare, porterà alla «guerra civile» sostiene.
Peccato che, proprio sotto la presidenza di Macron, le rivolte popolari siano state forse le più feroci. Basterebbe ricordare quelle dei gilet gialli del 2018 e 2019. La campagna per le elezioni mostra che le sinistre francesi come le altre consorelle italiane, tedesche e spagnole, sono capaci solo di imbracciare l’arma spuntata dell’antifascismo, sostenere le ideologie omosessualiste, sessantottine e ambientaliste, nonché il sostegno incondizionato all’islamizzazione sociale del Paese.
Per tornare al futuro dell’UE, cambia la tattica ma la tracotanza antidemocratica dell’asse Macron Scholtz non fa eccezione. E’ il caso dell’atteggiamento tenuto nei giorni scorsi nei confronti del governo italiano, neppure invitato a Bruxelles nella scelta delle posizioni chiave al governo dell’Ue.
Giorgia Melloni avendo lei e il suo partito maturato decenni di presenza al governo in Italia, meglio conosce i rituali della consorteria comunitaria e poi la vittoria elettorale ottenuta in Italia è tangibile. Invece Giorgia Meloni, che sembrava destinata a “dare le carte”, cioè a guidare le negoziazioni per il rinnovo degli incarichi di vertice in Ue, si vede isolata. Nella migliore delle ipotesi, il premier italiano avrà un contentino, una vicepresidenza della commissione o un commissario più o meno importante, ma nulla più. Per uno di questi due incarichi si fa il nome di Raffaele Fitto.
E Scholz e Macron, che erano usciti con le ossa rotte dalle urne per il rinnovo del Parlamento di Strasburgo ottengono quello che speravano: la riconferma di Ursula von der Leyen alla guida della commissione di Bruxelles, emarginando Giorgia Meloni, capo di un Governo non delegittimato dal voto europeo.
Sei leader di altrettanti Paesi dell’Unione europea hanno trovato (senza di lei) l’accordo sulle nomine per i top jobs, le principali cariche del blocco: la tedesca Ursula von der Leyen alla Commissione per un secondo mandato, il portoghese Antonio Costa al Consiglio, e l’estone Kaja Kallas per l’Alto rappresentante della politica estera.
La premier italiana è stata tenuta fuori dai negoziati in quanto il suo partito europeo di riferimento, l’Ecr, non fa parte della maggioranza che dovrebbe reggere le redini dell’Ue anche per i prossimi 5 anni. La maggioranza è infatti composta dai popolari del Ppe, dai socialisti del Pse e dai liberali di Renew. Insieme a Macron (liberali) e Scholz (socialisti) c’erano anche il primo ministro greco Kyriakos Mitsotakis e il premier polacco Donald Tusk (Ppe), il leader spagnolo Pedro Sanchez (Pse) e quello olandese Mark Rutte (Renew). L’Italia è stata penalizzata perché in fondo in fondo la Meloni non è amata, ma solo tollerata a Bruxelles.
E’ l’amara conferma che l’asse franco-tedesco non è morto, anzi si presenta dominante in Ue, con tutto ciò che ne consegue in termini di ridimensionamento del potere italiano.
Il voto Francese di oggi, con l’esito ampiamente scontato, risulterà quindi essenziale per dare respiro alla posizione italiana e di altri paesi non allineati e relegati ai margini dalla morsa delle sinistre e dalle ambiguità di Popolari. Partita apertissima.
Civico20News
Francesco Rossa
Editorialista
Se l’argomento è di interesse, ogni commento è gradito, e altrettanto la sua condivisione
© 2024 CIVICO20NEWS – riproduzione riservata
Scarica in PDF