Una questione molto complessa
Colgo l’occasione della mostra dedicata alla “Monna Lisa di Isleworth”, attualmente in esposizione a Torino, per entrare nel merito di una vexata quaestio artistica che sta coinvolgendo gli ambienti accademici e i critici d’arte.
Come tutti sanno il ritratto esposto a Parigi al Louvre è quello di Monna Lisa, o meglio di Lisa Gherardini, moglie di Francesco del Giocondo (Firenze, 1465 – Firenze, 1538), nobile e mercante italiano, appartenente alla famiglia dei Giocondi.
Tuttavia questa lapidaria affermazione iniziò ad incrinarsi grazie agli studi del notissimo critico d’arte italiano Prof Carlo Pedretti, scomparso il 5 gennaio del 2018.
Partiamo dall’inizio, ovvero dal primo riferimento offerto da Giorgio Vasari (1511-1574).
Secondo Giorgio Vasari, nella sua opera “Le vite de’ più eccellenti pittori, scultori e architettori“, Francesco del Giocondo sarebbe stato colui che commissionò a Leonardo da Vinci la Gioconda, ovvero il ritratto di sua moglie, Lisa Gherardini.
Vasari osservò che il ritratto, che definì una “testa”, venne iniziato prima della Battaglia di Anghiari del 1504 e che Leonardo impiegò oltre 4 anni per concluderlo.
Il Vasari ne “Le vite” così descrive il dipinto di Monna Lisa: “…Prese Lionardo a fare per Francesco del Giocondo il ritratto di Monna Lisa sua moglie, e quattro anni penatovi lo lasciò imperfetto, la quale opera oggi è appresso il re Francesco di Francia in Fontanableò; nella qual testa chi voleva veder quanto l’arte potesse imitar la natura, agevolmente si poteva comprendere, perché quivi erano contrafatte tutte le minuzie che si possono con sottigliezza dipignere.
Avvenga che gli occhi avevano que’ lustri e quelle acquitrine, che di continuo si veggono nel vivo; et intorno a essi erano tutti que’ rossigni lividi et i peli, che non senza grandissima sottigliezza si possono fare. Le ciglia per avervi fatto il modo del nascere i peli nella carne, dove più folti e dove più radi, e girare secondo i pori della carne, non potevano essere più naturali.
Il naso, con tutte quelle belle aperture rossette e tenere, si vedeva essere vivo. La bocca, con quella sua sfenditura con le sue fini unite dal rosso della bocca con l’incarnazione del viso, che non colori, ma carne pareva veramente.
Nella fontanella della gola, chi intentissimamente la guardava, vedeva battere i polsi: e nel vero si può dire che questa fussi dipinta d’una maniera da far tremare e temere ogni gagliardo artefice e sia qual si vuole. Usovvi ancora questa arte, che essendo Monna Lisa bellissima, teneva mentre che la ritraeva, chi sonasse o cantasse, e di continuo buffoni che la facessino stare allegra, per levar via quel malinconico, che suol dar spesso la pittura a’ ritratti che si fanno…”
Come si nota la descrizione dei dettagli del ritratto leonardesco non è così aderente alla realtà, ma secondo alcuni questi dettagli avrebbero potuto essere stati modificati in corso d’opera, durante i numerosi “ripensamenti”.
Cosa più grave è che nella descrizione del Vasari mancano due importantissime informazioni: non viene specificato se il dipinto sia stato realizzato su tavola di legno o su tela e neppure il presunto anno d’inizio del Lavoro.
Carlo Pedretti pubblicò una serie interminabile di studi proprio su questo ritratto, dedicando alla “Gioconda” una mole di approfondimenti che non conoscono pari.
Pedretti nel suo testo “Leonardo ed Io” – Mondadori 2008, sostiene che una delle maggiori problematiche del dipinto sia proprio: “…chi è la donna rappresentata e quando fu eseguito”.
E’ facile rendersi conto che il “problema della datazione” rivesta una importanza decisiva, relativamente all’identificazione del soggetto ritratto.
Oltre, Pedretti prosegue con la seguente affermazione: “… Dopo aver proposto come ipotesi di lavoro ben tre nuove possibilità d’identificazione del personaggio ritratto in sostituzione di quella tradizionale della Monna Lisa Gherardini del racconto del Vasari, restavo sempre fermo, passando a distanza di tempo da una proposta all’altra, sulla mia opinione che il dipinto del Louvre è opera tarda di Leonardo, databile dopo il 1513.”.
Ovviamente, come ci si potrebbe attendere, moltissimi critici e accademici paludati si opposero a tale proposta, dando per certa l’identità di Lisa Gherardini nel ritratto del Louvre.
Tuttavia questa certezza fu messa parzialmente in crisi da un saggio dell’insigne critico e leonardista inglese, Kenneth Clark, che confermò i dubbi di Pedretti, indicando come possibile data di realizzazione il 1510.
Un altro riferimento a Lisa Gherardini venne prodotto nel gennaio del 2007, quando venne pubblicata la notizia che presso la chiesa di Sant’Orsola in Firenze venne rinvenuto un documento che confermava che proprio in quella chiesa fu sepolta Lisa Gherardini il 15 luglio 1542, all’età di 63 anni. Essendo nata nel 1479 avrebbe avuto 21 anni nel 1500 e 34 nel 1513.
Carlo Pedretti, in alternativa all’identità di Monna Lisa nel ritratto del Louvre, propone, con cautela, quella di Pacifica Brandani, amante di Giuliano De Medici, morta di parto dando alla luce Ippolito De Medici.
Sempre relativamente alla data di realizzazione del ritratto del Louvre, nel 1998 Pedretti scrive ne “Leonardo, il ritratto”: “… La Gioconda, si sa, ha fatto versare proverbiali fiumi d’inchiostro. E’ un quadro vittima di troppa erudizione, troppa filosofia, troppa psicologia e, tutto sommato troppa incomprensione. Resta lo stile. E quello ci conduce alle ultime opere di Leonardo dopo il 1510: agli studi francesi-nero su nero del1517-18. Pei drappeggi della Vergine nel quadro di Sant’Anna e ai disegni di paesaggio a Windsor che gli corrispondono, che sono del 1510 e 1511, oppure a quelli dell’Adda del 1513… Ma il richiamo più impellente è quello al carattere, se non allo spirito, del disegno di Windsor di donna in piedi in un paesaggio che s’intravvede appena nella nebbia. E’ una donna che ha il corpo, le vesti e persino il sorriso della Gioconda…”
Nel 2008, Pedretti ricevette un documento ritrovato nella biblioteca di Heidelberg, in Germania, che attestava uno scambio epistolare tra Agostino Vespucci cugino del più noto Amerigo, e un certo Cicerone della medesima biblioteca tedesca.
Nel raro documento si denunciava che nel 1503 esisteva già un ritratto della Gherardini, quando Leonardo ricevette la commissione per la battaglia di Anghiari.
A questo punto i dubbi sembrano dissolversi e Carlo Pedretti dichiara di sospettare seriamente che il dipinto del quale si parla nei documenti di Heidelberg sia proprio la Gioconda esposta al Louvre.
In un altro documento epistolare Pedretti scrive: “…Resto dell’opinione che il dipinto del Louvre” … “sia un quadro al quale Leonardo stava ancora lavorando nel 1313 e perfino in Francia…”
Nel 2005 la risposta del Louvre alla scoperta di questo documento fu la seguente:
“Léonard de Vinci était en train de peindre en 1503 le portrait d’une dame florentine qui s’appelle Lisa del Giocondo. De ça désormais on en est certain. Malheureusement, on a pas de certitude absolue que ce Portrait de Lisa del Giocondo soit le tableaux du Louvre.”
“Leonardo da Vinci stava dipingendo, nel 1503, il ritratto di una dama fiorentina di nome Lisa del Giocondo. Di questo ormai siamo certi. Purtroppo non possiamo essere assolutamente certi che questo ritratto di Lisa del Giocondo sia il dipinto del Louvre.”
Vincent Delieuvin, Curatore del Louvre, 2005.
Questa affermazione chiarisce che il Louvre è aperto all’idea che esista un altro dipinto della Gioconda di Leonardo da Vinci.
Il documento al quale si riferisce il Louvre è il seguente:
“Il pittore Apelle. In questo modo Leonardo da Vinci fa in tutti i suoi dipinti, ad esempio la testa di Lisa del Giocondo e di Anna, la madre della Vergine. Vedremo cosa farà per quanto riguarda la sala del Gran Consiglio di cui ha appena concordato con il gonfaloniere.“ Ottobre 1503.
Si tratta dell’unico documento dell’epoca in cui si dà testimonianza che Leonardo aveva iniziato a dipingere il ritratto di Lisa del Giocondo. Fu scoperto nella biblioteca di Heidelberg solo nel 2005, quando gli storici, Carlo Pedretti in testa, avevano iniziato da tempo a dubitare dell’esistenza di un ritratto la cui celebre descrizione del Vasari fa acqua da tutte le parti. E del quale fino ad allora non si era riusciti a trovare tracce documentali, ricevute d’acquisto, inventari, memorie, nulla.
La Gioconda di Heidelberg venne rinominata la La Monna Lisa di Isleworth, o come è chiamata nei paesi anglofoni Earlier Mona Lisa, ed è il dipinto ora esposto presso la Promotrice delle Belle Arti di Viale Crivelli11 a Torino.
Resta ora da capire, ammesso che sia corretta l’interpretazione di Pedretti, chi rappresenti l’immagine del ritratto presente al Louvre…
Carlo Pedretti propose, a suo tempo, il nome di Pacifica Brandani, amante di Giuliano de Medici che morì di parto dando alla luce il figlio Ippolito.
Recentemente lo storico Roberto Zapperi ha sposato l’ipotesi di Pedretti:
«A Clou, vicino ad Amboise dove Leonardo viveva il cardinale Luigi d’Aragona, che era insieme con il proprio segretario Antonio De Beatis, chiede di quei tre quadri all’artista, che di uno dice: è una donna che interessa al magnifico Giuliano de’ Medici». Ma non poteva essere Monna Lisa? Certo no: perché Giuliano, tra il 1494 e il 1512, non è mai potuto tornare a Firenze, da dove era bandito». Ma ad Aragona, Leonardo afferma che è fiorentina. «Perché Giuliano non gli ha raccontato di dove lei fosse; del resto, era sempre la madre di un figlio illegittimo; quindi, che fosse di Firenze lo arguisce lui». Quindi aggiunge: «A quei tempi gli artisti non dipingevano per proprio diletto. Lo facevano se avevano una committenza».
Zepperi dopo interminabili ricerche d’archivio inizia a convincersi della possibilità che il ritratto del Louvre appartenga proprio a Pacifica Brandani:
«Pacifica è sposata e Giuliano trascorre una decina d’anni a Urbino. Era un donnaiolo e un poeta. Al momento del parto, non c’era. E il bimbo viene abbandonato davanti a una chiesa. La madre che morirà di lì a poco, è documentato, glielo manda a dire a Roma, dove Giuliano era dal futuro papa Leone X, fratello di quattro anni maggiore: entrambi erano figli di Lorenzo il Magnifico».
In un commento ad un suo articolo, Zepperi, sostiene che Ippolito, figlio di Giuliano de Medici, abbia chiesto al proprio padre notizie della mamma.
Giuliano ha al servizio Leonardo, che vive nel Palazzo del Belvedere, in Vaticano, dal 1513 al 16 e gli commissiona un ritratto da dare al bimbo, di soli quattro anni. «Forse, Medici descrive Pacifica a Leonardo». Un ritratto inventato o, al massimo, raccontato.
Questa ultima affermazione potrebbe spiegare la forte somiglianza tra la Monna Lisa di Isleworth e la Pacifica Brandani, presente al Louvre.
… Ovviamente la storia continua…
Giancarlo Guerreri – Editorialista