Ovvero: come tentare di esorcizzare l’insonnia pensando alla musica
Molte volte, affrontando quel campo minato che è la musica definita classica, ci si ritrova dinnanzi ad una terminologia tecnica che può anche spaventare e magari far nascere la sventurata idea che, senza un’approfondita conoscenza tecnico-teorica, risulti impossibile capire il significato di ciò che si ascolta. Tutto ciò può arrivare, nei casi più “drammatici”, ad inibire la volontà di avvicinarsi al mondo della così detta “musica dotta”.
Ed ecco che ci si sente rivolgere la fatidica frase: “Ah, no, guardi: io non ho studiato musica, quindi non la capisco!”.
Accidenti, nulla di più falso! Il primo principio che insegno (o almeno tento di insegnare) durante i corsi di Storia della Musica è quello di ascoltare tutta la musica possibile e immaginabile, iniziando da subito. Penso infatti che la vera educazione musicale parta dall’ascolto diretto (a concerto) o indiretto (tramite apparati hi-fi) di ogni genere di prodotto, senza il dovere di porsi tante domande. Penso inoltre che tutta l’arte crei vibrazioni in qualsiasi individuo, più o meno “preparato” dal punto di vista teorico.
D’altronde sia la musica che il colore hanno vibrazioni proprie e quando noi, “spogliati” da pregiudizi e preconcetti, in modo semplice e diretto, ci poniamo al cospetto di un’opera d’arte, entriamo in “vibrazione” con essa, consentendo all’opera stessa di raggiungere il suo principale scopo.
Insomma, fatemi scrivere l’ennesima ovvietà: non esistono opere d’arte belle o brutte, buone o cattive, ma opere che ci piacciono (ci fanno vibrare) o non ci piacciono (ci lasciano indifferenti).
Ora è necessario fare un’ulteriore precisazione. L’ascolto crea solo un punto di partenza, seppure validissimo: quello di fare nascere in noi l’interesse su ciò che ci ha colpito. Da qui deve iniziare la nostra ricerca e il nostro studio, evitando di incaponirci per forza e a tutti costi su quello che ci lascia indifferenti.
Non è del tutto vero, dunque, che l’informazione sulla musica o l’arte in genere non serva a nulla: essa aiuta a capire un linguaggio e un mondo che per troppi anni è stato considerato, forse volutamente, elitario. Il compito degli “addetti ai lavori” a questo punto, sarà proprio quello, per così dire, di mettere la famosissima “pulce nell’orecchio” ai lettori e agli ascoltatori: tutto il resto verrà da sé, merito del potere assoluto e meraviglioso dell’arte.
Di Paolo Paglia