Un viaggio fra storia, cultura e fede
Monterosso Grana è un paese montano di circa 550 abitanti, in Valle Grana, che offre al turista bellezze artistiche e naturali, un percorso inedito fra mito e storia e un presepe sull’acqua. In montagna, direte voi? Ebbene sì, proprio fra i monti, come su un lago incantato p in un luogo di mare, per accrescerne il fascino.
Il nostro viaggio inizia da Caraglio, la patria dell’aglio (omen nomen!), nota anche per un antico stabilimento per la fabbricazione della seta, diventato sede del Museo del Setificio Piemontese (1).
Da qui, in breve tempo raggiungiamo la Valle Grana, e la nostra meta odierna, Monterosso Grana.
All’ingresso del paese incontriamo, sulla sinistra, la Cappella di San Sebastiano, risalente al XV secolo, appena restaurata grazie all’importante contributo della Fondazione C.R.C. (ex Cassa di Risparmio di Cuneo), della Sovraintendenza dei Beni Culturali e del Comune di Monterosso Grana; un restauro fortemente voluto dal Sindaco Stefano Isaia. L’esterno disadorno non corrisponde alla conformazione antica e al ciclo pittorico interno, opera di Pietro da Saluzzo (2), attribuito alla fase giovanile del pittore, intorno al 1470. Dalla volta a crociera ci osservano i quattro Evangelisti; sulla parete di destra vi sono le scene del martirio di San Sebastiano trafitto e percosso dagli sgherri; la sua decapitazione e trasporto dell’anima in cielo.
A lato della cappella parte il sentiero dedicato al mitico Sarvanot (3), figura simbolo dell’immaginario e della letteratura in molta parte dell’arco alpino. Si può intraprendere una passeggiata (o un viaggio avventuroso?) nel bosco, tenuto pulito dai volontari del paese, tra evocazioni di folletti, alberi secolari, creazioni naturali come il ”cammino dei cerchi”: si tratta di istallazioni artistiche e tronchi con cassetti segreti che si incontrano lungo il percorso, il tutto illustrato da una puntuale cartellonistica. Il percorso si snoda attraverso cinque chilometri di sentieri, dedicati al mito locale del “Petit Menin”.
La chiesa parrocchiale risale, nelle forme attuali, al 1724-1728. Dedicata a San Giacomo Maggiore, su disegno di Fra Giacinto da Poncino (4), sorge in sostituzione di un insufficiente edificio seicentesco, di cui si conservano 15 formelle di Lelio Scaffa (5), pittore attivo in area cuneese, con storie della Vergine e di Cristo per l’altare della Vergine del Rosario. Custodisce, inoltre, quattro tele del Lorenzone (6): Sacro Cuore di Gesù, Cuore Immacolato di Maria, Madonna del Buon Consiglio e San Rocco.
Ci spostiamo alla Borgata San Pietro, che si raggiunge imboccando, all’altezza della frazione Levata, il vallone di Coumboscuro, sulla sinistra della Provinciale. Qui vi è un particolare tipo di presepe, permanente; in ogni casa si svolge una rappresentazione degli antichi mestieri, e ai borghigiani e ai visitatori vengono illustrate le attività storiche, le usanze, i ferri del mestiere; in questo contesto, tutto è a grandezza naturale, rappresentato dai “Babaciu”. Siamo subito immersi in un paese senza tempo, animato da personaggi laboriosi, intenti ai loro mestieri, o alle faccende domestiche, oppure a gustarsi un bicchiere di vino a fine giornata. Silenziosi, almeno all’apparenza; se ci si ferma ad osservarli con attenzione ognuno di essi racconta storie, mestieri, vite passate, non molto diverse dalle vite di chi in montagna ancora oggi decide di fermarsi, di vivere e di lavorare.
I “babaciu” nascono nel 2003 da un’idea di Graziella Menardo per accogliere i visitatori durante la festa patronale agostana. Da allora non se ne sono più andati, pian piano hanno colonizzato la frazione ed oggi occupano portici, balconi, stalle ed locale che possa accoglierli ed offrire loro un riparo dalle intemperie. Ed a chi pensa che siano sempre fermi nello stesso posto suggerisco di tornare più volte nell’arco dell’anno per controllare di persona…
L’antica chiesa di San Pietro (in origine dedicata ai Santi Pietro e Paolo), eretta tra VIII e XII secolo dai Benedettini come Priorato dipendente da San Teofredo di Le Puy, diventa parrocchia nel XIV secolo. La prima chiesa è distrutta dai Saraceni; viene ricostruita, ma nel Seicento è incendiata, insieme al paese, dai Francesi occupanti; del periodo più antico conserva il campanile gotico, il fonte battesimale dei Fratelli Zabreri, valmairesi, (7) datato 1456, e un’antica acquasantiera in pietra con la scritta “asparges me” in caratteri gotici. Sul muro esterno una meridiana del 1824 recita “Chi dell’ora non si cura il suo ben sempre trascura”
Torniamo al capoluogo e, da ultimo, visitiamo l’annunciato presepe!
Domenica 8 dicembre 2024, al ponte sul Grana, vi è stata l’accensione delle luci del presepe sull’acqua; questa meraviglia tecnologica sarà visitabile fino al 15 gennaio 2025. Si tratta di un suggestivo presepe galleggiante, collocato al di sotto dell’arcata del ponte del Castello, composto di 9 sagome, oltre alla Natività, realizzate in compensato e dipinte da un gruppo di pittori dell’associazione Art en Ciel.
Inoltre, venerdì 3 gennaio 2025, alle ore 20,30 nella parrocchiale di San Giacomo si svolgerà la Sagra dei pastori del Bourgat, alla riscoperta delle tradizioni alpine, con Renato Lombardo. L’evento sarà accompagnato dalle note suonate dalla “banda di Bernezzo” e dai giovani della scuola di musica “Bruno Delfino”.
Per i palati più esigenti, il territorio offre assaggi di un pregiato formaggio locale, il Castelmagno. Infatti, fra i piatti tipici di Monterosso Grana si possono gustare gnocchi al Castelmagno, la Torta Matta (a base di patate locali, la Ciarda e la patata Piatlin-a).
Sacro emblema della Valle Grana è il Santuario di San Magno, visitabile in alta quota e soltanto in primavera ed estate, ma questa è una diversa proposta di viaggio, da raccontare un’altra volta, così come la storia culturale e linguistica che racchiude la frazione di Sancto Lucio de Coumboscuro.
Note
1.Costruito tra il 1676 e il 1678 per iniziativa del Conte Giovanni Girolamo Galleani, è uno dei primi impianti di produzione della seta nel Ducato di Savoia e in Europa. Ospitava tutta la filiera produttiva del filato, dalla coltivazione dei gelsi nelle campagne circostanti per l’allevamento dei bachi da seta alla lavorazione ed alla realizzazione del prodotto finito, diventando il capostipite insieme al coevo impianto di Venaria Reale (TO) e di un sistema di filande sorte in seguito in Piemonte. Dopo un lungo abbandono e degrado, nel 1999 è stato acquisito dal Comune di Caraglio e, dopo un accurato restauro, oggi ospita il Museo del Setificio Piemontese ed eventi culturali di riferimento per il territorio. È considerato uno degli insediamenti industriali conservati più antichi d’Europa.
2.Pietro da Saluzzo (Pietro Pocapaglia). Non si conosce la data esatta della sua nascita, avvenuta a Saluzzo, in seno alla famiglia di pittori Pocapaglia, di cui si hanno notizie dal XIV secolo. Le opere murali riferite a Pietro, già “Maestro di Villar”, va dal 1438, data dal Transito della Vergine in S. Maria degli Alteni a Centallo, fino al 1480.
3.Sarvanòt è il nome che la tradizione orale montana attribuisce ad un personaggio difficilmente definibile, che nell’immaginario era piccolo, brutto e peloso, aveva piedi caprini, era dotato
di intelligenza quanto e più degli uomini, allegro e chiassoso, a volte dispettoso, ma non cattivo. Pur designati da un unico termine, esistono Sarvanòt maschi e femmine, la cui unione generava figli
con i caratteri dei genitori. Conducevano vita associata, in comunità di più famiglie, organizzate come quelle umane. I Sarvanòt costituiscono una delle tipologie dell’Uomo Selvaggio, riscontrabile in ogni tempo e luogo nella mitologia popolare.
4.Fra Giacinto da Poncino era un converso domenicano, di cui sappiamo ben poco, attivo anche a Rifreddo e al Monastero della Stella di Saluzzo.
5.Lelio Scaffa. Nato a Saluzzo e qui deceduto in una data compresa tra il 7 febbraio 1687 e l’11 settembre 1691. Le prime attestazioni della sua attività sono collocate attorno al 1644/1645, grazie alle registrazioni dei conti della Confraternita della Santa Croce a Scarnafigi, sarà operante in tutta la provincia di Cuneo.
6.Tommaso Andrea Lorenzone (Pancalieri, 13 febbraio 1824 – Torino, 6 giugno 1902). Si forma all’Accademia Albertina di Torino, è attivo a Corte e pittore di arte sacra.
7.I tre fratelli Zabreri (Stefano, Costanzo e Maurizio) sono originari di Pagliero di San Damiano Macra, in Val Maira, scalpellini e scultore che nella seconda metà del Quattrocento, aprono un’officina di arredi lapidei per le chiese delle vallate alpine e dei centri di pianura del Cuneese.
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