Il ruolo dei mezzi di comunicazione di massa.
Scartabellando qua e là, per non perdere la sana abitudine, ecco che m’imbatto in un articolo interessante, apparso sul web in tempi non sospetti o, quantomeno non così sospetti come quelli attuali, in cui si delineano le dieci strategie della manipolazione mediatica attraverso i mezzi di comunicazione di massa, attribuite al noto linguista americano Noam Chomsky (https://it.wikipedia.org/wiki/Noam_Chomsky).
Il parallelismo con quanto si osserva attualmente si potrebbe definire sbalorditivo, senza timor d’esagerare. Come se stessimo assistendo alla progressiva rivelazione di un’opera teatrale, di cui noi siamo le comparse, da lungo tempo ideata, messa in opera e tenuta mascherata dietro la diffusa facciata di retorica, demagogia e perbenismo della classe dirigente di tutto il pianeta, ma che ormai non può far altro che gettare la maschera e rivelarsi per quel che è in realtà. Ovvero una finzione da palcoscenico che sta volgendo inesorabilmente al termine, essendo la sua ragion d’essere divenuta ormai palesemente anacronistica.
Secondo Chomsky, la “conditio sine qua non” è che i più grandi mezzi di comunicazione di massa siano nelle mani dei grandi potentati economico-finanziari, interessati a filtrare solo determinati messaggi. E mi pare che a questo proposito l’evidenza dei fatti attuali sia sotto gli occhi di tutti coloro che hanno potuto conservare una qualche capacità di giudizio autonomo.
Dopo di che, egli enuncia dieci principi seguendo i quali si ottiene il completo controllo delle masse, di cui, non dimentichiamolo, siamo parte integrante anche noi ogniqualvolta rinunciamo, consapevolmente o meno, alla nostra prerogativa di esseri pensanti e dotati di libero arbitrio, per conformarci all’emozione imperante del momento.
Ecco il decalogo:
1) La strategia della distrazione: al fine di mantenere l’attenzione del pubblico concentrata su argomenti poco importanti, così da portare il comune cittadino ad interessarsi a fatti in realtà insignificanti. Per esempio, l’esasperata concentrazione su alcuni fatti di cronaca, modificati ad arte.
2) Il principio del problema-soluzione-problema: si inventa a tavolino un problema, per causare una certa reazione da parte del pubblico, con lo scopo di ottenerne il consenso sulle misure che si desiderano far accettare. Ne abbiamo avuto un recente esempio allorquando una gran parte della popolazione mondiale è stata messa in ansia dando risalto all’esistenza di una pandemia, creando paura ed allarmismo diffusi, con l’obiettivo, tra gli altri, di vendere farmaci di qualità ed efficacia mai scientificamente chiarite, che altrimenti ben pochi avrebbero presumibilmente accettato di farsi inoculare.
3) La strategia della gradualità: per far accettare una misura inaccettabile, basta applicarla gradualmente, a contagocce, per anni consecutivi (cfr. finestra di Overton). È in questo modo che condizioni socio-economiche radicalmente nuove (neoliberismo) furono imposte a partire dagli anni 80 e 90: stato minimo, globalizzazioni, privatizzazioni, precarietà, flessibilità, disoccupazione in massa, salari che non garantivano più redditi dignitosi, tanti cambiamenti che avrebbero provocato una rivoluzione se fossero stati applicati in una sola volta.
4) La strategia del differimento: un altro modo per far accettare una decisione impopolare è quella di presentarla come “dolorosa e necessaria”, ottenendo, sul momento, l’accettazione pubblica, per un’applicazione futura. Ad esempio parlare continuamente dello spread per far accettare le “necessarie” misure di austerità, come se non esistesse una politica economica diversa. Oppure dando continuo risalto all’emergenza climatica, la cui conclamata oggettività è tutt’ora ancora in attesa di un’attendibile, nonché unanime conferma scientifica.
5) Rivolgersi al pubblico come se si parlasse ad un bambino: è infatti noto come, più si miri ad ingannare lo spettatore, più si tenda ad usare un tono infantile. Il motivo? Se qualcuno si rivolge ad una persona come se avesse, ad esempio, 10 anni, essa tenderà, in base alla suggestionabilità, ad una risposta probabilmente sprovvista di senso critico, come un bambino di 10 anni appunto. Ne è palese testimonianza la qualità povera e generalista della stragrande maggioranza dei programmi televisivi.
6) Puntare sull’aspetto emotivo: molto più che sull’analisi critica dei fatti. L’emozione, infatti, spesso manda in tilt la parte razionale dell’individuo, rendendolo più facilmente influenzabile. A questo scopo non si fornisce al pubblico la semplice descrizione obiettiva e fedele dei fatti occorsi, sulla base di un pluralismo d’informazione e di contraddittorio, in maniera tale che sia egli stesso a formarsi la sua propria opinione, ma gli si propongono informazioni monistiche espressamente selezionate, preconfezionate e manipolate ad arte allo scopo di condizionarne, fin dall’inizio, la ricezione emotiva ed indirizzarne il pensiero che ne scaturisce in una determinata direzione, preventivamente decisa a tavolino.
7) Mantenere il pubblico nell’ignoranza e nella mediocrità: pochi, per esempio, conoscono o s’interessano di cosa sia il gruppo di Bilderberg e la Commissione Trilaterale. E molti continueranno ad ignorarlo o a disinteressarsene, a meno che non determino personalmente di svolgere ricerche più approfondite, cosa non frequente, essendo stata la loro naturale curiosità e capacità di autonomia decisionale preventivamente compromessa attraverso i programmi di educazione scolastica di tutti i gradi e, in seguito, mantenuta sistematicamente anestetizzata per mezzo della tecnica descritta al punto precedente.
8) Imporre modelli di comportamento: controllare individui omologati è molto più facile che gestire individui pensanti. Un esempio sopra tutti: i modelli imposti dalla pubblicità sono estremamente funzionali a questo scopo.
9) L’autocolpevolizzazione: si tende, in pratica, a far credere all’individuo che sia egli stesso la maggior causa dei propri insuccessi e della propria precarietà. Così invece di suscitare la ribellione contro, ad esempio, un sistema finanziario che l’ha ridotto ai margini, l’individuo si sottostima, si svaluta o addirittura, si autoflagella. I giovani, per esempio, a cui è stato reso l’accesso al mondo del lavoro estremamente impervio, sono stati definiti di volta in volta, “sfigati”, choosy”, bamboccioni”, ecc., da chi invece avrebbe avuto l’incombenza di favorire al meglio questa transizione. In pratica, è colpa loro se non trovano lavoro, non del sistema.
10) I media puntano a conoscere gli individui (mediante sondaggi, studi comportamentali, operazioni di feed back scientificamente programmate senza che l’utente-lettore-spettatore ne sappia nulla, diffusione dei “social networks”, ecc.) più di quanto essi stessi si conoscano in realtà e questo significa che, nella maggior parte dei casi, il sistema esercita un gran potere occulto sul pubblico, maggiore di quello che lo stesso individuo esercita su sé stesso.
Riterrei superfluo, a questo punto, ogni ulteriore commento. Al lettore la facoltà di stabilire per proprio conto gli eventuali punti in comune con quanto si osserva attualmente nella conduzione del rapporto tra le istituzioni ed i cittadini degli stati che esse rappresenterebbero. È di dovere, qui, l’utilizzo del condizionale, in quanto è divenuto oggigiorno sempre meno facile cogliere delle evidenze palesi del fatto che le sedicenti istituzioni dei vari paesi del mondo siano effettivamente espressione dei cittadini che dicono di rappresentare. Ma questo è un altro argomento, nel merito del quale cercheremo d’addentrarci in una prossima occasione.
luca rosso