Settant’anni del capolavoro di William Golding
Settant’anni fa il premio Nobel per la letteratura William Golding (1911-1993) pubblicava Il Signore delle mosche (1954) lasciando una traccia indelebile nella storia della letteratura, trovando un’eco notevole tra i lettori, soprattutto nei paesi anglofoni, dove il libro ha venduto quasi quattordici milioni di copie. Anche se indicato come un libro indirizzato ai più giovani, in realtà si tratta di un’opera complessa e certamente adatta a tutti.
Incipit della vicenda, la caduta di un aereo nei pressi dell’isola deserta, probabilmente nel corso della Seconda guerra mondiale. Ma quando il fatto si verifica non sembrerebbe essere determinante ai fini dello sviluppo della storia. Al drammatico evento sopravvivono solo alcuni ragazzi inglesi, tratteggiati così da porre in rilievo le loro caratteristiche, tipiche della buona borghesia anglosassone. Alcuni sono quasi adolescenti, mentre altri sono decisamente piccoli, privati di qualunque supporto da parte degli adulti, tutti periti nell’incidente.
Comunque l’isola accoglie benevola i giovani naufraghi, il cui vociare all’inizio si contrappone ai suoni naturali di quel luogo selvaggio, ma poi, a poco a poco, diventerà parte integrante di quell’ambiente, lontano e indefinito: i sopravvissuti si trovano nella condizione di doversi organizzare, strutturandosi con una forma di autogoverno finalizzato a garantire gerarchie e regolamento.
In apparenza si tratta di una prova della loro maturità e della volontà di creare un modello di convivenza civile basato sulla solidarietà, ma quel modello idilliaco si trasforma ben presto in una realtà tragica, nella quale emergono comportamenti antisociali, irrazionalità, prevaricazione. In pratica l’isolamento diventa una sorta di catalizzatore che contribuisce a portare in superficie gli aspetti più arcaici e “bestiali”, trasformando i giovani naufraghi in “selvaggi”.
I giovani che avevano assegnato una caratura ludica alla loro esperienza, “mentre aspettiamo, possiamo anche divertirci, su quest’isola”, dovranno ben presto rendersi conto della differenza tra fantasia e realtà, entrando in un vortice nel quale saranno costretti a diventare adulti senza esserlo.
Il processo che caratterizza i ragazzi è per molti aspetti regressivo: educati e avvezzi alle buone maniere, capaci di comportarsi secondo le regole della società borghese, a poco a poco ritornano a uno stadio in cui è completamente svanita la capacità di mantenere il rispetto verso gli altri.
Un evento simbolico rilevante è costituito dal ritrovamento sulla spiaggia di una grossa conchiglia che da quel momento diventa l’oggetto di riferimento per mezzo del quale ottenere la parola: chi ha la conchiglia può esprimere il proprio parere al gruppo. Una forma di democrazia che si rivelerà più teorica che pratica.
Si determina così una gerarchia, certificata dal possesso della conchiglia: un segno di uguaglianza; Ralph, elettosi a capo, consente ad alcuni di svolgere mansioni “più elevate”, mentre altri risultano figure di minore profilo, a cui si aggiungono i bambini ancora in tenera età. Ma per certi aspetti favorisce anche l’emarginazione del fragile Piggy, grassottello e occhialuto, destinato a farsi carico di un’alterità che ne smaterializza l’identità.
La svolta narrativa è indotta da una paura che si insinua nel gruppo: nella parte più profonda dell’isola si celerebbe una creatura mostruosa la cui fisionomia non è definita, ma che riesce comunque a dare sostanza alle angosce della maggioranza. La paura del mostro determina la necessità di allestire sistemi difensivi che potrebbero rivelarsi fondamentali per sottrarsi al nuovo pericolo.
Alcuni dei ragazzi, quelli che si dedicano alla caccia, decidono di enfatizzare la loro posizione dominante dipingendosi i volti con legno carbonizzato, segni che pongono in rilievo il loro essere guerrieri, ma nello stesso tempo certificano la regressione allo stadio “primitivo”.
L’isola, che ha concesso ad alcuni naufraghi di diventare parte di quell’ambiente, misterioso ma affascinante, vivendo una simbiosi con la natura selvaggia, li trae in una trappola. E così, con l’illusione di avere il controllo globale, i giovani si lanciano all’inseguimento di un maiale selvatico, senza badare al fuoco accesso sull’altura per segnalare la loro presenza. Privo di governo, il fuoco si spegne poco prima del passaggio di una nave nello specchio di mare davanti all’isola, che non avendo motivi per fermarsi quindi transita e si allontana.
I naufraghi, illusi da fantasmi di onnipotenza senza rendersene conto, hanno perduto la possibilità di salvarsi, avendo perseguito il miraggio di una vittoria fugace e illusoria (la cattura di un maiale selvatico) credendosi ormai padroni del controllo dell’isola.
A quel punto della vicenda, anche la gerarchia perde rapidamente la propria fisionomia razionale: il gruppo di cacciatori, che fa capo al nascente leader Jack, prevale su Ralph e si slega dai modelli condivisi fino ad allora dalla comunità, abbandonandosi a un’esistenza selvaggia e consacrata a pratiche governate da una primitività che ha ormai stravolto l’umanità dei singoli ragazzi.
La lotta di potere tra Jack e Ralph indebolisce la struttura sociale del gruppo e il tessuto connettivo della ragione perde via via solidità. Si afferma così l’idea che il mostro sia una creatura marina che di notte esce dall’acqua per cercare cibo sull’isola.
In tale situazione gli eventi ben presto precipitano e il gruppo è prossimo alla scissione ambita da Jack, che intende avere una tribù tutta sua. Il progetto di separazione trova numerosi adepti, che entrano a far parte del nuovo gruppo, dopo essere stati “iniziati” attraverso riti e pratiche tribali. Nel complesso di esperienze rituali rientrano anche sacrifici in onore della bestia e il riferimento simbolico a un totem, costituito da un palo sul quale è posta la testa di un maiale selvatico.
Uno dei ragazzi, Simon, imbattendosi nel totem, lo battezza “Signore delle mosche” (uno dei nomi del diavolo, Baalzebub, significa appunto Signore delle mosche), infatti, la testa dell’animale è avvolta da questi insetti; il giovane ha l’impressione di sentirlo parlare, interpretando questo evento solo immaginato come un esempio del potere della bestia.
Ritornando verso i compagni, Simon si imbatte nei resti del paracadutista (ved. nota 3) e comprende che le paure radicate tra i membri del gruppo erano di fatto determinate da quello scheletro ancora appeso ai rami di un albero e dondolante al vento. Quando giunge nell’area dove il gruppo di Jack ha costituito il proprio regno (Castle Rock), i ragazzi stanno praticando un rito giunto ormai al parossismo: Simon non viene riconosciuto e trafitto con le lance dei suoi stessi compagni.
Con questa morte il percorso di regressione è completato: ormai il processo è irreversibile. Jack e i membri del suo gruppo decidono di distruggere l’isola e per farlo hanno bisogno degli occhiali di Piggy, con i quali poter appiccare degli incendi.
L’incursione è però destinata a trasformarsi in una tragedia: Piggy viene ucciso, i membri del gruppo di Ralph sono catturati e costretti a riconoscere l’autorità di Jack, la conchiglia è distrutta.
Solo Ralph riesce a fuggire. Dietro di lui il resto dei sopravvissuti che lo bracca per ucciderlo, mentre l’isola inesorabilmente continua a bruciare.
Il fumo attira una nave militare di passaggio. Tutti i naufraghi vengono salvati e trasferiti sull’incrociatore che li riporterà alla civiltà…
Naturalmente, ognuno di loro sarà segnato da ricordi indelebili: ricordi di un mondo selvaggio che ha fatto conoscere a dei ragazzini il volto peggiore dell’uomo.
Dominato da una vena pessimistica profonda, Il Signore delle mosche si struttura sul principio che la conflittualità esasperata dalla mancanza di risorse e dalla promiscuità coatta ha spesso il sopravvento, determinando lotte profonde per un potere dominato da istinti quasi animali.
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