Di Alessandro Mella
Tra quelli del Piemonte è senz’altro uno dei più celebri. Forse un po’ per l’asprezza del paesaggio, forse per la conservazione davvero ottimale, forse per la sua stoica resistenza a piene ed alluvioni, forse per le leggende che l’avvolgono e forse unicamente per la singolare beltà dell’opera.
Il Ponte del Ròch, o del Diavolo, sorge a Lanzo Torinese da secoli e de facto ne è forse l’icona più caratteristica ed il simbolo più rievocativo.
Lasciando le auto nei parcheggi a ridosso della galleria che porta a Germagnano è possibile portarsi a piedi nell’attuale zona parco e, tramite un comodo camminamento, raggiungere la costruzione a piedi attraverso una piacevole passeggiata. E del resto il luogo è sempre stato oggetto delle attenzioni e simpatie dei turisti e dei villeggianti anche occasionali:
I turisti vi si fermano volentieri perché offre molte comodità specialmente quanto ad alberghi, e non mancano di visitare il famoso Ponte del Roc o del Diavolo, gettato nel secolo XIV sopra l’orrida spaccatura del monte Buriasco operata dalle acque, le quali hanno pur scavato, in tempi notissimi, le meravigliose Marmitte dei giganti (…).(1)
La sua edificazione ebbe ragioni sia pratiche che politiche. Si doveva, infatti, creare un varco che permettesse l’accesso alle Valli di Lanzo evitando di dover passare da Balangero, Mathi e Villanova allora territori retti dagli Acaja o da Corio in pertinenza dei marchesi del Monferrato, i quali non erano certo in buoni rapporti con Amedeo VI di Savoia il Conte Verde il quale, attraverso i Provana, regnava su Lanzo e dintorni. Da Lanzo si doveva, con praticità, poter salire verso il castello di Viù e verso i valichi in alta montagna. Senza contare i commerci ed i mercati interessati.
A questo punto si decise di edificare il ponte, era il 1378, per un costo di 1400 fiorini da finanziarsi mediante una tassa sul vino che si sarebbe applicata per i dieci anni successivi. (2) Se ne diede disposizione nel consiglio del comune del 1° giugno, presieduto dal castellano Arasmino Provana, nella chiesa di Sant’Onofrio. (3)
Un solo arco, gotico, a dorso d’asino, lanciato tra le due sponde, sui monti Buriasco e Mombasso, per unirle ed aggirare le ostilità dei nemici politici rendendo finalmente pratici i collegamenti tra il capoluogo ed i comuni in quota. Prese il nome di Ponte del Ròch (poiché con quest’espressione in lingua piemontese si indicano rocce e pietre) salvo poi ricevere anche quello di Ponte del Diavolo. La luce misurava e misura 37 metri, l’altezza 16 (secondo altri 23), la lunghezza 16 e la larghezza tocca i 2.27. (4)
Nell’estate del 1564 fu innalzata un’edicola al centro per poter chiudere il passaggio, mediante una porta ivi installata, ai forestieri nel timore che potessero portare la peste che dilagava nella bassa Val di Susa. Non a caso a lato fu edificata, qualche anno prima, la cappella dedicata a San Rocco storicamente ritenuto il protettore dalle epidemie il cui culto, in quella sede, fu autorizzato dal vescovo il 27 agosto 1503. (5)
Il soprannome Ponte del Diavolo fu dato alla costruzione per via di una celebre leggenda che, molti anni fa, il sottoscritto apprese gioiosamente ai tempi delle scuole elementari. Si disse, infatti, che due tentativi di costruire il ponte si fossero rivelati vani. Dopo i due crolli un sacerdote raggiunse un accordo sacrilego con il demonio, il quale si impegnò ad innalzarlo in una notte in cambio della prima anima che l’avesse attraversato.
L’astuto prete fece poi transitare un cane ad opera fatta gabbando il diavolo che, per la rabbia, impresse la sua zampata su di una roccia vicina.
Questo tipo di leggenda è assai diffusa anche in altre realtà e forse fu pensata a causa dell’oblio che per anni fece dimenticare le origini del ponte. Riscoperte e chiarite solo dalle ricerche del Cibrario nell’Ottocento. (6)
Ad alimentare la leggenda, in fondo, concorsero anche le Marmitte dei Giganti. Segni profondi e circolari lasciati sulle rocce nei secoli dallo scorrere delle acque e delle sabbie da esse trascinate.
Vi fu, tuttavia, chi dette anche un’altra non peregrina interpretazione al curioso soprannome:
C’è chi vuole che si chiami «Ponte del Diavolo» perché costruito in una sola notte da Satana e dai suoi aiutanti. Chi perché il capomastro del cantiere veniva chiamato di soprannome «’l diau». Ma, molto probabilmente, il nome deriva da un’espressione usata dai lanzesi del tempo che per ben dieci anni furono obbligati a pagare un balzello sul vino per finanziare la costruzione dell’attraversamento: «Tutti fiorini buttati per quel ponte del diavolo». (7)
Con la costruzione della strada carrozzabile, che nel 1842 raggiunse Viù, il ponte perse progressivamente la sua importanza politica e la sua utilità economica e sociale. Ciò, tuttavia, gli ha permesso di acquisire un diverso valore quale sito turistico e storico rappresentando, oggidì, una delle più belle testimonianze dell’architettura medievale in Piemonte.
Alessandro Mella
NOTE
1) La Gazzetta del Popolo, 356, Anno XXXV, 25 dicembre 1882, pp. 8-9.
2) Cronaca d’Usseglio, Luigi Cibrario, Torino, 1854, p. 16.
3) Studi Storici, Luigi Cibrario, Stamperia Reale, Torino, 1851, p. 319.
4) Da Torino a Lanzo e per le valli della Stura, Carlo Ratti, F. Casanova Librario Editore, Torino, 1883, p. 95.
5) Notizie tratte dai pannelli informativi in loco presenti.
6) Le Valli di Lanzo – Bozzetti e Leggende, Maria Savi Lopez, Libreria Editrice Brero, Torino, 1886, p. 445.
7) La Stampa, 307, Anno CXXXVII, 9 novembre 2023, p. 55.
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