“Anch’io sono tuttora pieno del tuo ricordo, di te, dei giorni felici che abbiamo trascorsi lassù: ricordo che non potrà mai cancellarsi dall’anima mia. Non ti dico che ti ricordo ogni ora, che non sospiro se non d’abbracciarti e d’essere felice con te. A presto, dunque, a presto. Tutto tuo Camillo”.
L’amore è un sentimento complesso da definire, ma tutti conoscono quell’emozione, il fantasticare, l’adrenalina e la mancanza totale che spesso avvolge, nel primo innamoramento, coloro che sono stati presi dal grande morbo e che non riescono più a vivere senza l’oggetto del loro desiderio.
Gli studi sull’argomento, di origine scientifica, ma anche letteraria, come nel caso dell’amor cortese, che aveva fatto diventare di moda l’emozione dell’amore e la figura della donna eterea, si sono nei secoli sprecati ed oggi, tutti presi dalla tecnologia, produciamo programmi a tutto spiano, come immancabili app che mettono in contatto persone in base ai loro interessi, o alle località di provenienza.
Ci sono poi i profumi a base di ferormoni, i siti d’incontri che prediligono immagini a discapito del carattere, grandi maestri moderni che spiegano come attirare l’anima gemella tenendo conto del Karma e facendo un po’ di woodoo, che serve sempre.
Quanto è difficile da trovare l’amore? Parecchio, anche perché, purtroppo, dipende da noi e da quanto e come proiettiamo sull’altra persona le nostre carenze affettive, desiderata, capricci…
È sempre stato così? Proviamo ad indagare nel passato.
La frase di apertura di questo articolo è tratta da una delle numerose lettere che Camillo Cavour (non l’avreste creduto, vero?) scrisse ad Anna Giustiniani, una nobildonna genovese più grande di lui e della quale era follemente innamorato. Si conobbero nel salotto letterario di Anna, che veniva chiamata Nina e che era schierata politicamente, tanto che spesso invitava personaggi rivoluzionari, con il consenso del marito, che però riteneva, e non ne fece mistero in seguito, che la donna avesse qualche problema mentale.
Cavour, dal canto suo, giovane e in fermento, sentiva stretta la Torino di allora, piena di consuetudine e di “fare bene” e quando vide quella ragazza, non bellissima, ma piena di ribellione e cultura, s’infervorò e tra i due nacque una relazione intensa, che durò fino a quando Cavour non venne richiamato a Torino e poi confinato nel forte di Bard, con una accusa di cospirazione.
Si videro ancora negli anni seguenti, a volte scrivendosi più lettere nella stessa giornata, ma Camillo era giovane e farfallone (tanto che il padre, per non farlo soccombere al vizio, gli impose la direzione della tenuta di famiglia) e conobbe altre donne, con le quali ebbe rapporti amorosi. Nina invece soccombette al sentimento più forte di tutti, quasi impazzì, non riusciva a riprendersi, cercò di fuggire di casa per raggiungere Cavour, che la fece tornare, perché era necessario, anche se il marito sapeva tutto, mantenere il contegno (dopotutto Camillo era piemontese!).
La ancora giovane Nina, che non aveva ancora raggiunto i trent’anni, avrebbe tentato più volte il suicidio, sino a riuscirci, dopo essersi gettata da una finestra della sua abitazione, troppo malata d’amore. Le ultime righe che scrisse al suo ex innamorato, che da tempo si era dedicato ad altre appetibili donne, furono «Io non so nulla tranne d’amarti tanto. Tu sei tutto per me. Sei un essere soprannaturale. Tu assorbi tutti i miei pensieri, tu mi domini… Voglio la tua felicità prima della mia… Camillo, sono tua per sempre».
Questa vicenda, degna di un serial televisivo, lascia un sentimento di malinconia, e viene da pensare a questo grande uomo, con capacità politiche inusuali, ma con una certa insensibilità e incapacità di empatia.
Certo è che l’amore colpisce senza criterio e spesso, in una coppia, uno dei due ama di più, non ci si deve stupire che accadesse anche in passato. Inoltre, non è da sottovalutare che le storie d’amore tristi, che hanno avuto un finale tragico, sono quelle che rimangono più impresse e che sono state tramandate dalla letteratura, e prima ancora dai menestrelli e dai cantori che si spostavano da un paese all’altro, raccontando storie incredibili.
Per fare alcuni esempi: l’amore di Abelardo, evirato dai parenti di Eloisa; Romeo e Giulietta; Paolo e Francesca; lo stesso Dante, innamorato di Beatrice; il re Artù, tradito da Ginevra con Lancillotto… potremmo citare centinaia di coppie celebri, che ci fanno tornare sul punto di partenza: cos’è l’amore?
Ed è più forte se non è corrisposto?
Le festività pagane chiamate Lupercalia, dedicate al dio della fertilità Luperco, erano le antenate del San Valentino odierno, si tenevano già nell’epoca romana e forse anche prima, tra il 13 e il 15 di febbraio ed erano note per una certa licenziosità che portava persino le nobili signore per strada, dove cercavano di farsi frustare da giovani sacerdoti bellissimi, seminudi e cosparsi di grasso, in un rito propiziatorio molto amato.
Papa Gelasio I, nel 496 d.C., scandalizzato dal furore del popolo, decise di far diventare patrono della giornata, spostata al 14 di febbraio, San Valentino, per cercare di sopprimere un festeggiamento che si era quasi tramutato in carnevale e che rischiava di traviare i cristiani con le sue radici pagane.
Ancora oggi festeggiamo San Valentino con una certa continuità, dando per scontato che il 14 febbraio sia il giorno, o la notte nella quale tutti i desideri si avverano, ma purtroppo l’amore è capriccioso e volubile e non sempre accorre se lo si invoca. E forse proprio per questo è così trascinante e inscindibile dalla sensazione di sentirsi realmente e potentemente vivi.
Fotografie di Marino Olivieri e archivio.
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