Miti e simboli di Torino
Torino città magica? Forse, perché no?
La capitale sabauda, conosciuta in tutto il mondo per la bellezza della sua topografia, giocata sulle differenti sponde del fiume più lungo d’Italia, possiede un autentico patrimonio di simboli, nascosti o velati all’interno delle sue opere d’arte.
Altri simboli appartengono ai Miti, ovvero a quelle complesse metafore che raccolgono e concentrano allegorie e antichi racconti per tramandare ai posteri occulti e preziosi significati filosofici, storici e morali.
A volte i simboli possono anche dialogare tra loro, regalando all’attento osservatore suggestioni e originali scoperte che possono aprire la mente a nuove e articolate interpretazioni.
Trovare elementi comuni in opere apparentemente molto diverse può apparire un gioco intellettuale, oppure un esercizio per frantumare i muri delle più radicate convenzioni.
Prenderemo, ora, in considerazione il Mito di Fetonte e la Fontana Angelica di Piazza Solferino.
Leggendo “Le Metamorfosi” di Ovidio, incontreremo il notissimo Mito di Fetonte, legato a Torino da un sottile filo di importanti simbologie.
Alzando gli occhi al cielo, in certe notti, si potrà osservare un nastro di luce evanescente che vaga scomposto attraverso alcune delle costellazioni ormai prossime all’emisfero australe o addirittura già di proprietà esclusiva di questa parte di cielo.
Si tratta della costellazione di Eridano.
Il famoso astronomo tedesco Hevelius, nella sua tavola uranografica ha messo ben in evidenza il cerchio equatoriale attraversato da questa costellazione che varca abbondantemente la soglia celeste immettendola nella volta stellata del Sud.
Questo nastro rappresenta in realtà il più lungo fiume che scorre in Italia e che anticamente si chiamava Eridano.
Tutti oggi lo conosciamo col nome di Po e la sua immagine è annoverata fra le costellazioni grazie all’esito di una leggenda molto articolata che vide il fiume Eridano accogliere le spoglie mortali di Fetonte, figlio del dio Sole, Helios-Febo-Apollo.
Il figlio di Apollo e di Climene, regina d’Etiopia, per dimostrare al suo amico Epafo, di essere realmente figlio di un dio, implorò il padre Apollo di consentirgli di condurre almeno una volta il Carro del Sole attraverso la sua quotidiana traiettoria celeste.
Il padre cercò invano di convincere Fetonte dell’inopportunità di tale richiesta, spiegando che condurre i quattro cavalli impetuosi che trainavano il carro solare, sarebbe stata un’impresa ciclopica e difficilmente realizzabile dal giovane figlio.
Come sappiamo certi consigli sortiscono l’effetto contrario e Apollo, alla fine, cedette alle richieste di Fetonte:
“Allora il padre spalmò un sacro medicamento sul volto del figlio,
perché tollerasse le vampe voraci, gli pose sulla chioma i raggi,
e di nuovo emettendo sospiri d’ansia dal petto,
presagendo sventura, disse: “Se puoi seguire almeno questi consigli di tuo padre,
evita, ragazzo mio, di spronare, e serviti piuttosto delle briglie.
Già tendono a correre di suo: il difficile è frenare la loro foga.
E cerca di non tagliare direttamente le cinque zone del cielo.
C’è una pista che si snoda obliquamente, con una gran curvatura,
e resta compresa entro tre sole zone senza toccare né il polo australe,
né l’Orsa dalla parte dell’Aquilone. Passa di lì;
vedrai chiaramente le tracce delle ruote.
E perché il cielo e la terra ricevano pari e giusto calore,
non spingere in basso il cocchio e non lo lanciare troppo in alto nel cielo.
Spostandoti troppo verso l’alto, bruceresti le dimore celesti;
verso il basso, la terra. A mezza altezza andrai sicurissimo.
E bada che le ruote non pieghino troppo a destra, verso il Serpente contorto,
o non ti conducano troppo a sinistra, giù verso l’Altare.
Tieniti fra l’uno e l’altro. Per il resto mi affido alla Fortuna,
che ti aiuti e pensi a te, spero, meglio di quanto sappia fare tu stesso.
Mentre parlo, la Notte umida ha toccato la meta
segnata sulle coste di ponente.
Non ci è permesso indugiare, tocca a noi:
l’Aurora, scacciate le tenebre, risplende.”
(Ovidio, Metamorfosi, II, 122-144)
Il giovane con la tipica incoscienza e impulsività dell’età volle a tutti i costi guidare il carro del padre. Essendo assolutamente incapace di guidare i cavalli finì per provocare un vero e proprio disastro cosmico, culminato con l’intervento di Zeus che determinò la sua uccisione.
Fetonte, colpito dal fulmine di Zeus perse definitivamente il controllo del carro solare e precipitò rovinosamente con i suoi cavalli dopo aver incendiato la volta celeste e reso la fertile Libia arida e rovente.
Lo sciagurato finì in un fiume al di là del Mediterraneo, quindi dal lato italiano, in un turbine di fiamme e vapori che si spensero con boati spaventosi al contatto delle acque.
Si trattava del fiume Eridano, oggi noto come Po, il fiume più lungo d’Italia che bagna Torino.
“Fetonte, con la fiamma che divora i capelli rosseggianti,
precipita su se stesso e lascia per aria una lunga scia,
come a volte una stella può sembrare che cada,
anche se non cade, giù dal cielo sereno.
Finisce lontano dalla patria, in un’altra parte del mondo,
nel grandissimo Po, che gli deterge il viso fumante.
(Ovidio, Metamorfosi, II, 304-324)
Nonostante l’accaduto nessuno odiò mai quel ragazzo. Anzi, sia il padre, la madre, le sorelle e le ninfe chiamate Naiadi lo piansero a lungo ai bordi dell’Eridano.
E in quella circostanza accadde che le rive del Po si orlarono dei caratteristici pioppi che da allora lo accompagnarono nel suo lungo tragitto.
Fino ad allora le sponde del fiume erano spoglie ma in quei giorni, mentre le sorelle si battevano il petto in un pianto ininterrotto, i loro corpi si trasformarono in alberi, dapprima i piedi e poi su fino ai capelli, che divennero delle verdi fronde.
Alcuni studiosi hanno identificato nel Parco Michelotti, ex Giardino Zoologico, la zona in cui cadde Fetonte e nella quale apparvero i pioppi.
Il mito vuole comunicarci che non dobbiamo intraprendere azioni fuori dalla nostra portata, pena gravissime conseguenze…
Ma non solo…
In un notissimo dipinto di Nicolas Pussin, Elio e Fetonte con Saturno e le quattro stagioni, l’artista ci ripropone alcuni elementi presenti nei versi di Ovidio: il ragazzo è inginocchiato davanti ad Apollo, il quale è seduto sul suo trono d’oro raffigurato sottoforma di fascia zodiacale, come si nota dai segni incisi.
Attorno a lui sono chiaramente riconoscibili le quattro stagioni: alla sua destra si osserva la Primavera incoronata di fiori, alla sinistra di Fetonte invece si nota l’Estate, nuda, che portava ghirlande e spighe; addormentato ai piedi di Apollo ecco l’Autunno imbrattato di uva calpestata, e per finire, infreddolito e tremante, alle spalle di Fetonte siede l’Inverno ghiaccio, con i capelli irrigiditi.
Chronos e Kairos sono due modi diversi di interpretare il tempo: nel primo caso, Chronos, il tempo inteso come scorrere dei minuti e delle ore può diventare quello che ci travolge, ripetitivo, che non lascia spazio alla meraviglia e non basta mai, visti i ritmi frenetici del nostro momento storico.
Questo concetto è rappresentato nel quadro di Pussin, dove l’ineluttabilità dello scorrere del tempo prevale su tutto. La necessità quotidiana di traghettare il Sole lungo le vie del cielo è inevitabile, e il povero Fetonte passa dal ruolo di “reo”, in quanto responsabile dei disastri dovuti alla propria inesperienza, a quello di “vittima sacrificale”, ad opera di Zeus.
Se poi riflettessimo sul fatto che proprio Zeus sia figlio di Chronos… e che nel quadro di Pussin venga rappresentato anche Saturno che gli antichi Romani identificavano con lo stesso Chronos, il discorso si potrebbe arricchire di ulteriori, più complesse simbologie…
Diverso è interpretare il tempo come Kairos: ovvero il momento giusto perché avvenga qualcosa, un momento unico e irripetibile per chi stia sperimentando un evento che avviene proprio in quel preciso istante.
Un evento determinante nella vita come quello di un aspirante Iniziato…
Un notissimo monumento storico torinese, la Fontana Angelica situata allo sbocco di Piazza Solferino in via Pietro Micca, sembra voler rappresentare proprio il concetto di “momento singolare”, legato al concetto di Kairos.
Nell’opera, commissionata dal Ministro Pietro Bajnotti a ricordo dei suoi genitori Angelica Cugiani e Tommaso Bajnotti, venne terminata nel 1929 dopo sette anni di lavoro da Giovanni Riva.
La fontana offre una grande ricchezza di immagini simboliche ed allegoriche, tra le più note vi sono rappresentate le quattro Stagioni, ognuna delle quali messa in relazione con un preciso riferimento massonico.
La fontana ritrae due figure maschili, i giganti Boaz e Jachin, che simboleggiano l’Autunno e l’Inverno, entrambi rappresentati con due otri di roccia dai quali sgorga una cascata d’acqua.
Il significato simbolico dei due giganti è quello di “Guardiani della Soglia”, ovvero del Portale che conduce l’Iniziato alla vera dantesca Canoscenza.
Il Poeta nel Canto di Ulisse, il XXVI dell’Inferno, propone l’ingresso nel Portale difeso dalle colonne d’Ercole, al di là di esse c’è solo il pericolo e la morte.
Metafora rappresentata anche nelle Logge massoniche, dove le colonne Boaz e Jachin rappresentano l’ingresso nella Dimensione esoterica del Tempio.
Nel caso della fontana, Boaz rappresenta le tenebre e l’ignoranza, volge lo sguardo ad est dove sorge il sole in direzione di Jachin, l’altra statua maschile che rappresenta la Perfezione, la Luce e la Conoscenza.
I due giganti reggono degli otri dai quali sgorga l’acqua che simboleggia lo conoscenza con la quale gli esseri umani si abbeverano.
Anche in questo caso tra le due figure maschili si apre un varco perfettamente regolare che rappresenta la il passaggio verso la Conoscenza oltre il quale esiste qualcosa di sconosciuto ai profani.
Due figura femminili, la Primavera e l’Estate sono poste ai lati estremi della fontana. La Primavera rappresenta la Virtù e la conoscenza del sacro riservata a pochi iniziati. Estate rappresenta invece il Vizio, la conoscenza profana, rivelata a tutti ma celata attraverso i simboli.
La fontana simboleggerebbe quindi la trasformazione interiore che l’iniziato deve compiere per raggiungere la vera conoscenza, per raggiungere la perfezione.
In questo caso, a differenza di quanto osservato nel Mito di Fetonte dove il Tempo scandiva gli intervalli della ciclicità stagionale (Chronos), osserviamo l’attimo (Kronos) che apre all’Iniziato che attraversa il Portale custodito da Boaz e Jachin, l’ingresso nella Dimensione esoterico-iniziatica.
L’Arte, la Poesia e la Filosofia si nutrono di simboli e di metafore, per esprimere concetti che la nostra mente non potrebbe mai comprendere con il linguaggio ordinario.
Torino regala all’osservatore occasioni sempre nuove per raccontare aspetti simbolici, poco conosciuti o volutamente nascosti.
Sempre grande Giancarlo Guerreri!
Grazie a tutti!
Articolo molto interessante su queste due fontane torinesi accanto alle quali si passa spesso (vista la collocazione) ma in modo distratto. Anche il nome dello zucchero marca Eridania di quand’ero bambino non mi aveva mai incuriosito…fin qui almeno.
Vero! Grazie per il commento
Molto interessante, anche se sono Milanese, davvero Torino è una città intrigante e un pozzo di esoterismo. Grazie caro, riesci a farla amare con le tue parole sempre efficaci.
Grazie….
Grande piacevolezza dell ‘articolo, carico di significati profondi, come sempre, trasmessi in forma lieve e scorrevole acuisce il desiderio di visitare Torino ed i suoi simboli. Grazie Giancarlo
Grazie a te carissima Danila
Perfettamente d accordo con quanto scritto dal sig. Micomo.
Forse guardiamo tutto con troppa superficialita’ senza chiederci quanto c’e’ dietro.
Mi sembra che ci sia piu’ storia nei vecchi monumenti che in quelli piu’ recenti.
Indagheremo anche su altri monumenti 🤗