
L’Analisi a cura dell’Avv. Prof. Gianluca Ruggiero
La comunicazione di iscrizione nel registro degli indagati, prevista dall’art. 6 comma 1 della legge costituzionale n. 1/89, della Premier Giorgia Meloni, in concorso con il ministro della Giustizia Carlo Nordio, il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi e il sottosegretario di Stato Alfredo Mantovano per i reati di favoreggiamento personale e peculato (artt. 378 e 314 c.p.), a seguito di denuncia presentata dall’avv. Luigi Li Gotti, per aver rilasciato il generale libico Osama Almasri, raggiunto da mandato di cattura della Corte penale internazionale. Costui è indagato per crimini contro l’umanità (tra i quali, tortura, stupro, omicidio etc.), e crimini di guerra consumati nella prigione di Mitiga, in Libia, a partire dal 15 febbraio 2015.
La Prima Camera Preliminare della Corte dell’Aja aveva firmato il provvedimento che disponeva l’ordine di carcerazione preventiva dell’indagato il 18 gennaio 2025, e trasmesso tramite red notice dell’Interpol a sei Paesi europei. La DIGOS di Torino, a seguito dell’allerta dell’Interpol, procedeva all’arresto del generale all’interno di una stanza d’albergo del capoluogo piemontese nelle prime ore del mattino di domenica 19 gennaio 2025.
Tutta la documentazione veniva poi inviata alla Procura Generale presso la Corte di Appello di Roma, unica competente per legge, con la richiesta di statuire sulla custodia cautelare del generale libico. Ai sensi dell’art. 11, primo comma, della legge 237/2012 il Procuratore generale, ricevuti gli atti, li trasmetteva alla Corte di Appello della Capitale
Investita della questione, la Corte disponeva invece la scarcerazione dell’indagato il martedì 21 gennaio 2025, ritenendo illegittimo l’arresto operato dalla Digos di Torino, in quanto la restrizione della libertà personale in via pre-cautelare non sarebbe prevista dalla stessa legge 237/2012 (sic!).
La stessa Procura Generale non formulava alcuna richiesta di custodia cautelare del generale, perché riteneva ostativa la mancata richiesta del Ministro della Giustizia, pur previsto, in linea generale, per i delitti richiamati dagli artt. 7, 8, 9 e 10 c.p., ma non richiamato dall’art. 11 della legge 237/2012, ritenendo ostativa la mancata richiesta del Ministro della Giustizia, debitamente e prontamente informato del fermo. Liberato Osama Almasri, il Ministro dell’interno, nella stessa mattinata di martedì 21 gennaio 2025, ordinava l’immediato allontanamento dell’indagato dal suolo italiano, con rimpatrio in Libia garantito da un mezzo nella disponibilità dei servizi segreti.
Ora, volendo per un attimo sorvolare sulla “doverosità” della comunicazione della notizia di reato al Tribunale dei Ministri, l’espulsione dello straniero pericoloso è un atto tale da meritare un’accusa di favoreggiamento? Se poniamo mente al Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione, notiamo che l’art. 13 del Decreto Legislativo 25 luglio 1998, n. 286, dispone che “per motivi di ordine pubblico o di sicurezza dello Stato, il Ministro dell’interno può disporre l’espulsione dello straniero anche non residente nel territorio dello Stato, dandone preventiva notizia al Presidente del Consiglio dei ministri e al Ministro degli affari esteri”.
Ci sarebbe da spiegare, a questo punto, come un atto di alta amministrazione, facoltizzato dalla legge, possa rendere illecita la condotta di un Ministro. Di contro, il comma 2 dell’art. 6 della legge costituzionale 1/89 dice che il procuratore della Repubblica, omessa ogni indagine, comunica sì entro il termine di quindici giorni, gli atti al Tribunale dei ministri, ma che a questo devono accompagnarsi le richieste, guarda caso di favoreggiamento personale e di peculato, ipotesi di reato già ipotizzate dalla pubblica accusa.
Le perplessità aumentano se ci interroga sulla necessità della scarcerazione di Osama Elmasry Njeem, cioè se questa fosse davvero l’unica strada percorribile dalla Corte d’Appello di Roma.
Come già accennato, più di un dubbio sollevo sulla necessaria richiesta del Ministro della Giustizia, dato che l’art. 11 non la prevede proprio per evitare un’indebita intromissione della “politica” nell’attività giurisdizionale. Invero, il Ministro della Giustizia, come dice l’art. 2 della legge 237/2012, cura in via esclusiva i rapporti di cooperazione tra lo Stato italiano e la Corte penale internazionale e ad egli compete la ricezione delle richieste provenienti dalla Corte e di darvi seguito.
Una prima conclusione è che la scarcerazione del generale libico è frutto di una erronea interpretazione della legge da parte della Procura generale e della Corte di Appello di Roma.
Un secondo, grave motivo di perplessità, è suscitato dall’affermazione della Corte secondo cui la Digos torinese non avrebbe potuto procedere al fermo del destinatario di un mandato di arresto internazionale, senza l’ordinanza di custodia cautelare della Procura generale di Roma e preceduta, a questo punto, da una richiesta del Ministro della Giustizia.
Che non sia questa l’interpretazione da seguire, pena l’impossibilità di poter cooperare in materia internazionale penale (anche a fronte di precisi impegni assunti a suo tempo dallo Stato italiano), si desume dal fatto che l’art. 3 della legge 237/2012i rimanda alle norme sull’estradizione, in particolare agli artt. 715 e 716 del codice di procedura penale. Quest’ultimo dispone che: “Nei casi di urgenza, la polizia giudiziaria può procedere all’arresto della persona nei confronti della quale sia stata presentata domanda di arresto provvisorio se ricorrono le condizioni previste dall’articolo 715 comma 2”.
Senza scendere troppo nello specifico, è abbastanza chiaro che è l’Autorità giudiziaria ad aver rimesso in libertà Elmasry, non il Governo.
E per l’accusa di peculato? Certamente, mettere un individuo espulso dallo Stato italiano per motivi di ordine pubblico e/o di sicurezza collettiva su un aereo di linea è operazione che richiederebbe una buona dose di spregiudicatezza e di incoscienza. Assicurarsi che un soggetto di tal fatta rientri in patria senza ulteriori conseguenze, non sembra denotare una volontà impropriativa di risorse della pubblica amministrazione.
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Ne deduco che un procedimento penale sarà aperto dalla Procura di Perugia a questo punto.
Le specificità tecno giuridica del caso è sicuramente molto articolata e quindi difficoltosa. Molto più facile è prendere atto del perdurare nella sinistra della mancanza di senso dello Stato dando sempre priorità all’interesse di partito a prescindere. Credo però che questi comportamenti porteranno ad un classico: “DECOUPLING” cosa che mi sembra stia già accadendo.
Penso che sia veramente un fatto molto grave quello che è successo. Ritengo che la Presidente Consiglio avrebbe dovuto, dopo aver avvisato il Presidente della Repubblica, recarsi in Parlamento ed esporre apertamente tutta la faccenda. Invece così……. ha fatto un vero casino…..